Background. La cardiomiopatia ipertrofica (CMI) è caratterizzata da un quadro clinico estremamente variabile e da un decorso in cui si alternano momenti di stabilità e benessere a riaccensioni della sintomatologia ed insorgenza di eventi precipitanti, in particolare aritmie sopraventricolari (fibrillazione atriale) e ventricolari (tachicardia ventricolare sostenuta e non sostenuta, fibrillazione ventricolare). Quale sia il meccanismo alla base di queste “hot-phase” (già descritte in altre cardiomiopatie con aritmie) non è ancora ben chiaro. Certamente un ruolo importante è attribuibile all’ischemia miocardica legata a diversi meccanismi (discrepanza richiesta-apporto di ossigeno, aumento delle pressioni telediastoliche, presenza di gradiente intraventricolare, alterazione del microcircolo, ponti intramiocardici) che è stata ben dimostrata in questa patologia e correlata a progressione di malattia. L’individuazione di indicatori di ischemia in atto potrebbe essere di grande utilità al clinico per la stratificazione del rischio ed il trattamento dei pazienti affetti da CMI. Scopo. Lo scopo di questo studio è indagare il ruolo delle troponine cardiache ad alta sensibilità in un gruppo di pazienti affetti da CMI e di correlarle ad altri biomarker e a segni clinico-strumentali di ischemia al fine di una migliore stratificazione del rischio aritmico e di evoluzione di malattia. Metodi. 64 pazienti ambulatoriali consecutivi affetti da CMI sono stati sottoposti a visita cardiologica, ECG, ecocardiogramma, Holter e prelievo ematico per la determinazione della concentrazione di troponine cardiache I e T ad alta sensibilità, NT pro-BNP, IMA (ischemiamodified albumin), PCR ultrasensibile e CPK. In 28 pazienti è stata anche eseguita risonanza magnetica cardiaca (RMC) con e senza contrasto per valutare la massa cardiaca, ricercare la presenza di edema, di difetti di perfusione e di late-enhancement, ed in 16 pazienti coronarografia. Risultati. Le concentrazioni sieriche di troponine sono risultate superiori alla norma (TnI >0.15 ng/ml e TnT >0.03 ng/ml, media Tn I 0.69 ng/ml, TnT 0.08 ng/ml) in 7 pazienti (11%). I pazienti con elevati valori di troponine avevano una frazione d’eiezione inferiore (53±6 vs 60±9%, p = 0.01) ed una massa cardiaca maggiore (120±32 vs 89±18 g/m2, p = 0.01) rispetto a quella dei pazienti con normali valori di troponine, presentavano con maggiore frequenza edema (100 vs 42%, p = 0.03) e difetti di perfusione (75 vs 12%, p = 0.004) alla RMC, sottoslivellamento del tratto ST all’ECG (71 vs 18%, p = 0.002) e lamentavano angor (57 vs 18%, p = 0.02). Quattro dei 7 pazienti con troponine elevate (57%) rispetto al 33% dei pazienti con troponine negative hanno manifestato tachicardie ventricolari sostenute e/o non sostenute e 3 sono stati sottoposti ad impianto di ICD (2 in prevenzione primaria ed 1 in prevenzione secondaria). Conclusioni. Le troponine cardiache nei pazienti con CMI possono essere un utile indicatore di fase attiva di malattia, correlano con indici di disfunzione sistolica, con la massa e con la presenza di ischemia rilevata mediante tecniche di imaging non invasivo. Il loro dosaggio è poco costoso, di facile esecuzione e può essere utile nella stratificazione del rischio aritmico e per valutare la progressione di malattia.
"Hot phase" nella cardiomiopatiaipertrofica?Ruolo delle troponine ad alta sensibilità .
CALORE, CHIARA;MELACINI, PAOLA;PESCATORE, VALENTINA;SANTI, FRANCESCA;NOVELLO, ENRICA;PLEBANI, MARIO;ILICETO, SABINO
2009
Abstract
Background. La cardiomiopatia ipertrofica (CMI) è caratterizzata da un quadro clinico estremamente variabile e da un decorso in cui si alternano momenti di stabilità e benessere a riaccensioni della sintomatologia ed insorgenza di eventi precipitanti, in particolare aritmie sopraventricolari (fibrillazione atriale) e ventricolari (tachicardia ventricolare sostenuta e non sostenuta, fibrillazione ventricolare). Quale sia il meccanismo alla base di queste “hot-phase” (già descritte in altre cardiomiopatie con aritmie) non è ancora ben chiaro. Certamente un ruolo importante è attribuibile all’ischemia miocardica legata a diversi meccanismi (discrepanza richiesta-apporto di ossigeno, aumento delle pressioni telediastoliche, presenza di gradiente intraventricolare, alterazione del microcircolo, ponti intramiocardici) che è stata ben dimostrata in questa patologia e correlata a progressione di malattia. L’individuazione di indicatori di ischemia in atto potrebbe essere di grande utilità al clinico per la stratificazione del rischio ed il trattamento dei pazienti affetti da CMI. Scopo. Lo scopo di questo studio è indagare il ruolo delle troponine cardiache ad alta sensibilità in un gruppo di pazienti affetti da CMI e di correlarle ad altri biomarker e a segni clinico-strumentali di ischemia al fine di una migliore stratificazione del rischio aritmico e di evoluzione di malattia. Metodi. 64 pazienti ambulatoriali consecutivi affetti da CMI sono stati sottoposti a visita cardiologica, ECG, ecocardiogramma, Holter e prelievo ematico per la determinazione della concentrazione di troponine cardiache I e T ad alta sensibilità, NT pro-BNP, IMA (ischemiamodified albumin), PCR ultrasensibile e CPK. In 28 pazienti è stata anche eseguita risonanza magnetica cardiaca (RMC) con e senza contrasto per valutare la massa cardiaca, ricercare la presenza di edema, di difetti di perfusione e di late-enhancement, ed in 16 pazienti coronarografia. Risultati. Le concentrazioni sieriche di troponine sono risultate superiori alla norma (TnI >0.15 ng/ml e TnT >0.03 ng/ml, media Tn I 0.69 ng/ml, TnT 0.08 ng/ml) in 7 pazienti (11%). I pazienti con elevati valori di troponine avevano una frazione d’eiezione inferiore (53±6 vs 60±9%, p = 0.01) ed una massa cardiaca maggiore (120±32 vs 89±18 g/m2, p = 0.01) rispetto a quella dei pazienti con normali valori di troponine, presentavano con maggiore frequenza edema (100 vs 42%, p = 0.03) e difetti di perfusione (75 vs 12%, p = 0.004) alla RMC, sottoslivellamento del tratto ST all’ECG (71 vs 18%, p = 0.002) e lamentavano angor (57 vs 18%, p = 0.02). Quattro dei 7 pazienti con troponine elevate (57%) rispetto al 33% dei pazienti con troponine negative hanno manifestato tachicardie ventricolari sostenute e/o non sostenute e 3 sono stati sottoposti ad impianto di ICD (2 in prevenzione primaria ed 1 in prevenzione secondaria). Conclusioni. Le troponine cardiache nei pazienti con CMI possono essere un utile indicatore di fase attiva di malattia, correlano con indici di disfunzione sistolica, con la massa e con la presenza di ischemia rilevata mediante tecniche di imaging non invasivo. Il loro dosaggio è poco costoso, di facile esecuzione e può essere utile nella stratificazione del rischio aritmico e per valutare la progressione di malattia.Pubblicazioni consigliate
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.