Per correggere una serie di convinzioni errate e svianti intorno all'origine della scienza moderna e al significato che essa poteva avere per gli uomini del Seicento, il saggio prende in considerazione la posizione assunta da un gruppo di intellettuali legato alla Royal Society londinese, decisi da parte loro a difendere un'idea del sapere sperimentale che in realtà costituiva una nuova forma di sapienza, tout court, più che una filosofia, ancorché empirica e sperimentale: né era solo una scienza. Ciò in quanto, per loro, il sapere sperimentale non doveva limitarsi a conoscenze settoriali o a una raccolta sistematica di dati e di informazioni intorno al mondo, da conseguire mediante le regole dell'osservazione e della sperimentazione, bensì doveva oltrepassare il puro piano conoscitivo e incidere sulle menti e sulle coscienze fino a renderle moralmente apprezzabili, devote a Dio e rispettose della fede cristiana. Inoltre, esso doveva servire per migliorare il mondo e l'uomo: doveva consistere in scoperte socialmente utili, conservare saldo il quadro politico e permettere al filosofo, identificato un po' come il professionista del gruppo, di conseguire la vera saggezza del vivere. Lavorando direttamente sulle fonti, il saggio esplora i motivi che stavano al centro di una simile strategia intellettuale in tre casi, per molti versi esemplari, come quelli di Samuel Hartlib, Robert Boyle e Joseph Glanvill; quindi analizza in che misura la concezione di una «Philosophia Christiana Experimentalis» si riflettesse in un prelato che possiamo a buon diritto considerare come il vero ideologo del gruppo: Thomas Sprat.

Dall'osservazione all'esperimento: verso una ridefinizione dello statuto e degli scopi del sapere filosofico.

GILARDI, ROBERTO
2004

Abstract

Per correggere una serie di convinzioni errate e svianti intorno all'origine della scienza moderna e al significato che essa poteva avere per gli uomini del Seicento, il saggio prende in considerazione la posizione assunta da un gruppo di intellettuali legato alla Royal Society londinese, decisi da parte loro a difendere un'idea del sapere sperimentale che in realtà costituiva una nuova forma di sapienza, tout court, più che una filosofia, ancorché empirica e sperimentale: né era solo una scienza. Ciò in quanto, per loro, il sapere sperimentale non doveva limitarsi a conoscenze settoriali o a una raccolta sistematica di dati e di informazioni intorno al mondo, da conseguire mediante le regole dell'osservazione e della sperimentazione, bensì doveva oltrepassare il puro piano conoscitivo e incidere sulle menti e sulle coscienze fino a renderle moralmente apprezzabili, devote a Dio e rispettose della fede cristiana. Inoltre, esso doveva servire per migliorare il mondo e l'uomo: doveva consistere in scoperte socialmente utili, conservare saldo il quadro politico e permettere al filosofo, identificato un po' come il professionista del gruppo, di conseguire la vera saggezza del vivere. Lavorando direttamente sulle fonti, il saggio esplora i motivi che stavano al centro di una simile strategia intellettuale in tre casi, per molti versi esemplari, come quelli di Samuel Hartlib, Robert Boyle e Joseph Glanvill; quindi analizza in che misura la concezione di una «Philosophia Christiana Experimentalis» si riflettesse in un prelato che possiamo a buon diritto considerare come il vero ideologo del gruppo: Thomas Sprat.
2004
Il mestiere del sapiente. Alle radici della cultura euro-mediterranea. A cura di Lia de Finis
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