Prendendo spunto da alcuni passi del trattato “Il cantore ecclesiastico” (1698) di Giuseppe Frezza dalle Grotte di Castro, il saggio esamina una serie di testimonianze tramandate da fonti inedite e da una ricca trattatistica sul canto piano dei secoli XVII-XIX, che testimoniano la persistenza e la diffusione delle polifonie semplici, per poi discuterne gli aspetti salienti e le ragioni del loro radicamento. L’analisi delle caratteristiche formali permette una serie di osservazioni relative alla notazione e al ritmo. La notazione è quella quadrata nera tradizionale, spesso piegata ai rapporti di durata secondo l’integer tactus assegnato alla breve; ma per molti teorici vale la “semplice et egual prolatione”, mentre altri si richiamano ai criteri del “Directorium chori” del Guidetti o a quelli adottati dalla Medicaea. Un aspetto tipico delle polifonie semplici in fonti tardive sono le figure ritmiche ternarie, in particolare la “tripla” e la “emiolia”, variamente interpretate e realizzate dai teorici del canto piano. Più complessa è la questione che riguarda le regole armoniche e melodiche, che vanno dai principi del contrappunto semplice o “alla mente”, all’uso massiccio di intervalli di terza e sesta fino alla struttura accordale pienamente consonante e a formali persistenze modali che caratterizzano in modo inconfondibile lo sviluppo delle melodie. Attraverso l’analisi puntuale di numerosi esempi, il saggio cerca di definire la reale natura e consistenza delle polifonie semplici in fonti tardive, facendo chiarezza di una terminologia spesso ancora arcaica, ma impiegata per giustificare una concezione tendenzialmente armonica.

Polifonie semplici in fonti e trattati italiani dei secoli XVII-XIX

LOVATO, ANTONIO
2002

Abstract

Prendendo spunto da alcuni passi del trattato “Il cantore ecclesiastico” (1698) di Giuseppe Frezza dalle Grotte di Castro, il saggio esamina una serie di testimonianze tramandate da fonti inedite e da una ricca trattatistica sul canto piano dei secoli XVII-XIX, che testimoniano la persistenza e la diffusione delle polifonie semplici, per poi discuterne gli aspetti salienti e le ragioni del loro radicamento. L’analisi delle caratteristiche formali permette una serie di osservazioni relative alla notazione e al ritmo. La notazione è quella quadrata nera tradizionale, spesso piegata ai rapporti di durata secondo l’integer tactus assegnato alla breve; ma per molti teorici vale la “semplice et egual prolatione”, mentre altri si richiamano ai criteri del “Directorium chori” del Guidetti o a quelli adottati dalla Medicaea. Un aspetto tipico delle polifonie semplici in fonti tardive sono le figure ritmiche ternarie, in particolare la “tripla” e la “emiolia”, variamente interpretate e realizzate dai teorici del canto piano. Più complessa è la questione che riguarda le regole armoniche e melodiche, che vanno dai principi del contrappunto semplice o “alla mente”, all’uso massiccio di intervalli di terza e sesta fino alla struttura accordale pienamente consonante e a formali persistenze modali che caratterizzano in modo inconfondibile lo sviluppo delle melodie. Attraverso l’analisi puntuale di numerosi esempi, il saggio cerca di definire la reale natura e consistenza delle polifonie semplici in fonti tardive, facendo chiarezza di una terminologia spesso ancora arcaica, ma impiegata per giustificare una concezione tendenzialmente armonica.
2002
Un millennio di polifonia liturgica tra oralità  e scrittura
9788815086570
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