L’ampia nota di commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2004 è volta soprattutto ad evidenziare e stigmatizzare la soluzione di compromesso raggiunta dalla Consulta. I vincoli derivanti dalle sentenze precedentemente emesse sull’argomento e il chiaro riparto di potestà tra Stato e regioni delineato dal nuovo art. 117 Cost. avrebbero dovuto condurre ad una ben più radicale pronuncia d’incostituzionalità del d.l. n. 269 del 2003, conv. nella l. n. 326 del 2003. Non convincono, in particolare, gli argomenti portati dalla Corte per salvare l’impianto generale del terzo condono edilizio, vale a dire la sua ragionevolezza e la rilevata sua discontinuità rispetto ai condoni precedenti. Dalla sentenza discendono, inoltre, spinose e irrisolte questioni riguardanti soprattutto i rapporti tra la disciplina statale di principio e le norme regionali di dettaglio, compresse dalla necessaria salvaguardia delle prerogative statali in materia penale o ambientale e l’esigenza di assicurare, oltre che una certa uniformità di applicazione, anche ragionevoli certezze a chi avesse nel frattempo presentato domanda di sanatoria, autodenunciandosi, o dovesse ancora presentarla e non l’avesse fatto in attesa della disciplina regionale. Di qui la soluzione suggerita dalla Corte di affidare allo Stato il compito di assegnare alle regioni un termine per legiferare in attuazione dei principi nazionali, decorso il quale avrebbe trovato applicazione in via esclusiva la legislazione nazionale. Assolutamente criticabile, però, è la situazione di incertezza determinatasi, tanto in relazione alla mancata individuazione delle norme statali di principio e di dettaglio, quanto in relazione all’introduzione, da parte del legislatore statale, di una concorrente ipotesi di sanatoria, chiamata “condono ambientale”, per nulla coordinata con quella del condono edilizio.

Il condono edilizio tra legislazione statale e regionale: osservazioni a margine della sentenza della Corte costituzionale 28 giugno 2004, n. 196

CALEGARI, ALESSANDRO
2005

Abstract

L’ampia nota di commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2004 è volta soprattutto ad evidenziare e stigmatizzare la soluzione di compromesso raggiunta dalla Consulta. I vincoli derivanti dalle sentenze precedentemente emesse sull’argomento e il chiaro riparto di potestà tra Stato e regioni delineato dal nuovo art. 117 Cost. avrebbero dovuto condurre ad una ben più radicale pronuncia d’incostituzionalità del d.l. n. 269 del 2003, conv. nella l. n. 326 del 2003. Non convincono, in particolare, gli argomenti portati dalla Corte per salvare l’impianto generale del terzo condono edilizio, vale a dire la sua ragionevolezza e la rilevata sua discontinuità rispetto ai condoni precedenti. Dalla sentenza discendono, inoltre, spinose e irrisolte questioni riguardanti soprattutto i rapporti tra la disciplina statale di principio e le norme regionali di dettaglio, compresse dalla necessaria salvaguardia delle prerogative statali in materia penale o ambientale e l’esigenza di assicurare, oltre che una certa uniformità di applicazione, anche ragionevoli certezze a chi avesse nel frattempo presentato domanda di sanatoria, autodenunciandosi, o dovesse ancora presentarla e non l’avesse fatto in attesa della disciplina regionale. Di qui la soluzione suggerita dalla Corte di affidare allo Stato il compito di assegnare alle regioni un termine per legiferare in attuazione dei principi nazionali, decorso il quale avrebbe trovato applicazione in via esclusiva la legislazione nazionale. Assolutamente criticabile, però, è la situazione di incertezza determinatasi, tanto in relazione alla mancata individuazione delle norme statali di principio e di dettaglio, quanto in relazione all’introduzione, da parte del legislatore statale, di una concorrente ipotesi di sanatoria, chiamata “condono ambientale”, per nulla coordinata con quella del condono edilizio.
2005
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