Il tratto originale della monografia consiste in un'analisi della sentenza di non luogo a procedere in una chiave sistematica: vale a dire tenendo conto del modo in cui tale decisione si inserisce in un ordinamento processuale che si ispira ad un modello teorico ben preciso, la cui logica funzionale si ripercuote sui connotati dei provvedimenti terminativi delle varie fasi procedimentali. L'opera muove dalla considerazione che, fin dall’entrata in vigore del codice del codice di procedura penale del 1988, la disciplina della sentenza di non luogo a procedere ha vissuto un’esistenza travagliata. Numerosi sono stati, sul punto, i contrasti interpretativi in dottrina ed in giurisprudenza, mentre l’art. 425 c.p.p. è stato modificato per ben tre volte (nel 1993, nel 1999 e nel 2000), senza che, peraltro, questo intenso lavorio legislativo abbia sortito esiti di sufficiente chiarezza. Impiegando un approccio metodologico volto ad intendere l’istituto alla luce delle scelte di valore che ne stanno alla base, e muovendo dalla premessa che la disciplina in esame risulta influenzata dalle opzioni di politica legislativa adottate in merito alla configurazione della fase anteriore al giudizio, si può in primo luogo individuare la regola di giudizio che si trova alla base della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere. A tal fine è necessario rigettare le impostazioni teoriche c.d. dell’“innocenza evidente” e della “condanna probabile”, per rilevare come il vigente art. 425 c.p.p. imponga una valutazione orientata ad un canone di utilità epistemica del dibattimento. Da tale configurazione discendono rilevanti implicazioni in tema di impugnazione della sentenza, la quale deve essere contenuta in un’ottica di contenimento dei tempi dei processi, nonché in tema di efficacia preclusiva della decisione, che deve essere limitata, in via ermeneutica, all’esercizio dell’azione penale e ai soli atti di indagine che comportano la partecipazione dell’indagato. Se ne possono inoltre ricavare utili indicazioni in ordine alla natura della sentenza di non luogo a procedere, la quale sembra sfuggire alle tradizionali categorie dogmatiche del “rito” e del “merito”, confluendo in un tertium genus fondato su una prognosi di necessità del contraddittorio dibattimentale.

Profili sistematici della sentenza di non luogo a procedere

DANIELE, MARCELLO
2005

Abstract

Il tratto originale della monografia consiste in un'analisi della sentenza di non luogo a procedere in una chiave sistematica: vale a dire tenendo conto del modo in cui tale decisione si inserisce in un ordinamento processuale che si ispira ad un modello teorico ben preciso, la cui logica funzionale si ripercuote sui connotati dei provvedimenti terminativi delle varie fasi procedimentali. L'opera muove dalla considerazione che, fin dall’entrata in vigore del codice del codice di procedura penale del 1988, la disciplina della sentenza di non luogo a procedere ha vissuto un’esistenza travagliata. Numerosi sono stati, sul punto, i contrasti interpretativi in dottrina ed in giurisprudenza, mentre l’art. 425 c.p.p. è stato modificato per ben tre volte (nel 1993, nel 1999 e nel 2000), senza che, peraltro, questo intenso lavorio legislativo abbia sortito esiti di sufficiente chiarezza. Impiegando un approccio metodologico volto ad intendere l’istituto alla luce delle scelte di valore che ne stanno alla base, e muovendo dalla premessa che la disciplina in esame risulta influenzata dalle opzioni di politica legislativa adottate in merito alla configurazione della fase anteriore al giudizio, si può in primo luogo individuare la regola di giudizio che si trova alla base della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere. A tal fine è necessario rigettare le impostazioni teoriche c.d. dell’“innocenza evidente” e della “condanna probabile”, per rilevare come il vigente art. 425 c.p.p. imponga una valutazione orientata ad un canone di utilità epistemica del dibattimento. Da tale configurazione discendono rilevanti implicazioni in tema di impugnazione della sentenza, la quale deve essere contenuta in un’ottica di contenimento dei tempi dei processi, nonché in tema di efficacia preclusiva della decisione, che deve essere limitata, in via ermeneutica, all’esercizio dell’azione penale e ai soli atti di indagine che comportano la partecipazione dell’indagato. Se ne possono inoltre ricavare utili indicazioni in ordine alla natura della sentenza di non luogo a procedere, la quale sembra sfuggire alle tradizionali categorie dogmatiche del “rito” e del “merito”, confluendo in un tertium genus fondato su una prognosi di necessità del contraddittorio dibattimentale.
2005
9788834853863
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