La politica estera di uno Stato è il prodotto non solo di fattori strutturali e dei condizionamenti imposti dal sistema internazionale, ma anche della dialettica di soggetti politici, economici e sociali interni. Il volume analizza, sulla scorta di un’attenta disamina di fonti primarie e secondarie, l’influenza esercitata dalla Confindustria sul processo di adesione dell’Italia alla costruzione europea nel corso degli anni cinquanta. Il decennio fu caratterizzato, da un lato, dal consolidarsi di uno stretto rapporto politico tra la massima organizzazione di rappresentanza del padronato e i governi centristi, dall’altro dalla nascita, attraverso un processo per prove ed errori, delle prime comunità sovranazionali e del grande mercato europeo. In che misura e secondo quali priorità gli industriali privati riuscirono a condizionare le modalità di inserimento dell’economia italiana nel regionalismo europeo? La posizione degli industriali italiani rispetto ai problemi posti dall’interdipendenza economica dell’Europa occidentale fu soggetta ad un cambiamento, lento ma sostanziale. Partendo da una posizione che si faceva scudo di un liberismo sui generis, assai intransigente contro qualsiasi tipo di interventismo statale e nel rifiutare ogni ipotesi di creazione di autorità sovranazionali dotate di poteri di regolazione dei mercati, ma molto più malleabile in tema di protezionismo e di intese dirette tra aziende e settori produttivi, si approdò, alla fine del decennio, all’accettazione, sia pure prudente e condizionata, dell’integrazione come l’unico schema che avrebbe potuto garantire l’abbattimento delle barriere che ostacolavano il commercio intereuropeo. In tal modo si assicurava l’accesso ai mercati esteri, ritenuto vitale per lo sviluppo dell’industria nella penisola, conciliando l’apertura del mercato interno alla concorrenza straniera con le esigenze di protezione molto sentite da larghe parti dell’economia italiana.

Il liberismo a una dimensione. La Confindustria e l'integrazione europea 1947-1957

PETRINI, FRANCESCO
2005

Abstract

La politica estera di uno Stato è il prodotto non solo di fattori strutturali e dei condizionamenti imposti dal sistema internazionale, ma anche della dialettica di soggetti politici, economici e sociali interni. Il volume analizza, sulla scorta di un’attenta disamina di fonti primarie e secondarie, l’influenza esercitata dalla Confindustria sul processo di adesione dell’Italia alla costruzione europea nel corso degli anni cinquanta. Il decennio fu caratterizzato, da un lato, dal consolidarsi di uno stretto rapporto politico tra la massima organizzazione di rappresentanza del padronato e i governi centristi, dall’altro dalla nascita, attraverso un processo per prove ed errori, delle prime comunità sovranazionali e del grande mercato europeo. In che misura e secondo quali priorità gli industriali privati riuscirono a condizionare le modalità di inserimento dell’economia italiana nel regionalismo europeo? La posizione degli industriali italiani rispetto ai problemi posti dall’interdipendenza economica dell’Europa occidentale fu soggetta ad un cambiamento, lento ma sostanziale. Partendo da una posizione che si faceva scudo di un liberismo sui generis, assai intransigente contro qualsiasi tipo di interventismo statale e nel rifiutare ogni ipotesi di creazione di autorità sovranazionali dotate di poteri di regolazione dei mercati, ma molto più malleabile in tema di protezionismo e di intese dirette tra aziende e settori produttivi, si approdò, alla fine del decennio, all’accettazione, sia pure prudente e condizionata, dell’integrazione come l’unico schema che avrebbe potuto garantire l’abbattimento delle barriere che ostacolavano il commercio intereuropeo. In tal modo si assicurava l’accesso ai mercati esteri, ritenuto vitale per lo sviluppo dell’industria nella penisola, conciliando l’apertura del mercato interno alla concorrenza straniera con le esigenze di protezione molto sentite da larghe parti dell’economia italiana.
2005
9788846466280
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