In questo lavoro indagheremo i tratti peculiari del silenzio e della distanza, nell’intento di riconoscere da quale genesi si sviluppi la lontananza che produce isolamento; intendiamo aprire, in tal modo, un discorso sulle forme del silenzio in quanto “sincope” delle relazioni umane. “Atto mancato”, l’ha chiamato Freud per indicare l’ulteriorità di un discorso il cui contenuto non riesce ad affacciarsi intero alla presenza e che dunque si risolve nel sintomo in cui la sofferenza coagula. Eppure il silenzio non è solo il lontano assente; come la teologia negativa insegna, prima di ogni lettura psicoanalitica, esso è altresì il nascosto perché oscuro e insieme il nascosto perché evidente (Julien, 1998). La filosofia si è affacciata all’evidenza in ombra del silenzio considerandolo come il “non detto”, da un lato per riferirsi alla disciplinazione del dicibile (la chiarezza del metodo dell’espressione scientifica esclude e controlla l’incerto, dalla modernità fino a Wittgenstein); dall’altro lato per inglobare l’“indicibile” inteso come ciò che è impossibile disoccultare perché non può esserne intesa l’interezza e, nonostante il suo apparire parziale, neppure può esser da essa separato (Severino, 1982). Di quest’ultimo territorio – quello in cui l’interrogazione che non riesce ad ottener risposta trova nel silenzio, dice Sciuto (1984), rifugio per il contenuto indicibile – non possiamo parlare qui specificamente, pur annunciandone la presenza come sfondo sul quale si stagliano, per differenziarsene, i profili del taciuto come parola mancata. Differente è dunque il silenzio metodologico che si impone nel discorso scientifico, allorquando l’incertezza mette in luce paradossi e contraddizioni ancora incapaci di esser espressi e risolti, dal silenzio che si rivolge alla Totalità.

GLI SPAZI DEL SILENZIO E LA PAROLA COME CIVIS

TESTONI, INES
2005

Abstract

In questo lavoro indagheremo i tratti peculiari del silenzio e della distanza, nell’intento di riconoscere da quale genesi si sviluppi la lontananza che produce isolamento; intendiamo aprire, in tal modo, un discorso sulle forme del silenzio in quanto “sincope” delle relazioni umane. “Atto mancato”, l’ha chiamato Freud per indicare l’ulteriorità di un discorso il cui contenuto non riesce ad affacciarsi intero alla presenza e che dunque si risolve nel sintomo in cui la sofferenza coagula. Eppure il silenzio non è solo il lontano assente; come la teologia negativa insegna, prima di ogni lettura psicoanalitica, esso è altresì il nascosto perché oscuro e insieme il nascosto perché evidente (Julien, 1998). La filosofia si è affacciata all’evidenza in ombra del silenzio considerandolo come il “non detto”, da un lato per riferirsi alla disciplinazione del dicibile (la chiarezza del metodo dell’espressione scientifica esclude e controlla l’incerto, dalla modernità fino a Wittgenstein); dall’altro lato per inglobare l’“indicibile” inteso come ciò che è impossibile disoccultare perché non può esserne intesa l’interezza e, nonostante il suo apparire parziale, neppure può esser da essa separato (Severino, 1982). Di quest’ultimo territorio – quello in cui l’interrogazione che non riesce ad ottener risposta trova nel silenzio, dice Sciuto (1984), rifugio per il contenuto indicibile – non possiamo parlare qui specificamente, pur annunciandone la presenza come sfondo sul quale si stagliano, per differenziarsene, i profili del taciuto come parola mancata. Differente è dunque il silenzio metodologico che si impone nel discorso scientifico, allorquando l’incertezza mette in luce paradossi e contraddizioni ancora incapaci di esser espressi e risolti, dal silenzio che si rivolge alla Totalità.
2005
RESPONSABILITA' CIVICA E PSICOLOGIA DELLA CONVIVENZA
8846467701
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