L'intervento mette a fuoco le forme e i modelli di un'epica moderna, incentrata sull'esordio seicentesco del primato della scienza e l’ambito del poema didascalico, genere modellato su Empedocle e Lucrezio , a cui Aristotele nella Poetica e la quasi totalità dei trattatisti del Cinquecento, avevano negato dignità letteraria. Le prese di posizione favorevoli a Lucrezio come si sa nel Cinquecento sono rarissime: tra queste vi è quella di Tasso, che, nel I libro dei Discorsi del poema eroico, sembra voler salvare tanto il Virgilio georgico quanto Lucrezio, teorizzando una poesia minore. Tasso, approssimandosi a un modello di poema didascalico cattolico, drammatizza la poesia esameronica mediante Lucrezio. Trasferendosi al Seicento: il più importante prodotto di poesia scientifica italiana di questo secolo è la traduzione toscana in endecasillabi sciolti del De rerum natura di Lucrezio, (avviata da Alessandro Marchetti - galileiano e discepolo di Borelli - nel 1664, rimasta inedita e affidata a circolazione manoscritta clandestina, per l’ostilità della censura e per la prudenza del Principe, fino al primo Settecento) . Il De rerum natura, nella versione del Marchetti, sembra prestare a un altro borelliano, Lorenzo Bellini, l'immagine della ciclicità universale. Tale sotterranea dinamica culturale è evidente in ambito siciliano. Borelli fu professore di matematica a Messina dal 1636 al 1656 e dal 1667 al 1672 ed ebbe il suo interlocutore privilegiato in un’ aristocrazia mercantile illuminata e repubblicana, la cui espressione culturale è l’Accademia della Fucina . I temi e motivi mediante i quali Borelli - astronomo, vulcanologo, studioso del moto degli animali - esercitò la sua influenza sugli intellettuali meridionali sono desumibili dai due Discorsi messinesi del 1646-49 (il Discorso contro il padre Pietro Emmanuele e il Delle cagioni delle febbri maligne), in cui l’ironia più corrosiva si coniuga con l'elogio dell’operatività tecnica, secondo il mito baconiano dell'Advancement of Learning Questo magistero scientifico-filosofico "modernista" e lucreziano di Borelli e della sua scuola non è privo di una sua “ricaduta” immaginativa e poetica: Giovanni Ventimiglia scrisse intorno al 1657 un sorprendente poema didascalico in ottave, contemporaneo ma indipendente dall’Autre monde di Cyrano, dal titolo Ulissea Celeste o vero il Pellegrino del Cielo", dedicato a Borelli. Più tardi, questa stessa tensione riaffiora in forme dissimuate ne l’Adamo, poema scientifico e filosofico in ottave, suddiviso in venti canti e pubblicato in due parti dal 1709 da Tommaso Campailla (1668-1740), erede siciliano di Borelli definito da Muratori «Lucrezio cristiano» . La derivazione dal De rerum natura è esplicitata nella prefazione ed è evidente fin dal titolo del primo canto (I principi delle cose), dove, tra l’altro - pur senza citare Galilei - si prende chiara posizione in favore dell’ipotesi eliocentrica copernicana, a cui si sovrappone la figura cognitiva del vortice cartesiano. Fin dal titolo, il testo di Campailla sembra promettere un poema genesiaco barocco, un conflitto, insomma, fra l’abisso e il Cielo. Invece, entro l’involucro biblico, l’aldilà cristiano perde a uno a uno i suoi puntelli sotto i colpi della nuova medicina, della nuova geologia, della nuova astronomia.
Epica della scienza: "spostamento" e "dissimulazione"
ZINATO, EMANUELE
2005
Abstract
L'intervento mette a fuoco le forme e i modelli di un'epica moderna, incentrata sull'esordio seicentesco del primato della scienza e l’ambito del poema didascalico, genere modellato su Empedocle e Lucrezio , a cui Aristotele nella Poetica e la quasi totalità dei trattatisti del Cinquecento, avevano negato dignità letteraria. Le prese di posizione favorevoli a Lucrezio come si sa nel Cinquecento sono rarissime: tra queste vi è quella di Tasso, che, nel I libro dei Discorsi del poema eroico, sembra voler salvare tanto il Virgilio georgico quanto Lucrezio, teorizzando una poesia minore. Tasso, approssimandosi a un modello di poema didascalico cattolico, drammatizza la poesia esameronica mediante Lucrezio. Trasferendosi al Seicento: il più importante prodotto di poesia scientifica italiana di questo secolo è la traduzione toscana in endecasillabi sciolti del De rerum natura di Lucrezio, (avviata da Alessandro Marchetti - galileiano e discepolo di Borelli - nel 1664, rimasta inedita e affidata a circolazione manoscritta clandestina, per l’ostilità della censura e per la prudenza del Principe, fino al primo Settecento) . Il De rerum natura, nella versione del Marchetti, sembra prestare a un altro borelliano, Lorenzo Bellini, l'immagine della ciclicità universale. Tale sotterranea dinamica culturale è evidente in ambito siciliano. Borelli fu professore di matematica a Messina dal 1636 al 1656 e dal 1667 al 1672 ed ebbe il suo interlocutore privilegiato in un’ aristocrazia mercantile illuminata e repubblicana, la cui espressione culturale è l’Accademia della Fucina . I temi e motivi mediante i quali Borelli - astronomo, vulcanologo, studioso del moto degli animali - esercitò la sua influenza sugli intellettuali meridionali sono desumibili dai due Discorsi messinesi del 1646-49 (il Discorso contro il padre Pietro Emmanuele e il Delle cagioni delle febbri maligne), in cui l’ironia più corrosiva si coniuga con l'elogio dell’operatività tecnica, secondo il mito baconiano dell'Advancement of Learning Questo magistero scientifico-filosofico "modernista" e lucreziano di Borelli e della sua scuola non è privo di una sua “ricaduta” immaginativa e poetica: Giovanni Ventimiglia scrisse intorno al 1657 un sorprendente poema didascalico in ottave, contemporaneo ma indipendente dall’Autre monde di Cyrano, dal titolo Ulissea Celeste o vero il Pellegrino del Cielo", dedicato a Borelli. Più tardi, questa stessa tensione riaffiora in forme dissimuate ne l’Adamo, poema scientifico e filosofico in ottave, suddiviso in venti canti e pubblicato in due parti dal 1709 da Tommaso Campailla (1668-1740), erede siciliano di Borelli definito da Muratori «Lucrezio cristiano» . La derivazione dal De rerum natura è esplicitata nella prefazione ed è evidente fin dal titolo del primo canto (I principi delle cose), dove, tra l’altro - pur senza citare Galilei - si prende chiara posizione in favore dell’ipotesi eliocentrica copernicana, a cui si sovrappone la figura cognitiva del vortice cartesiano. Fin dal titolo, il testo di Campailla sembra promettere un poema genesiaco barocco, un conflitto, insomma, fra l’abisso e il Cielo. Invece, entro l’involucro biblico, l’aldilà cristiano perde a uno a uno i suoi puntelli sotto i colpi della nuova medicina, della nuova geologia, della nuova astronomia.Pubblicazioni consigliate
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