Per tutto il sesto decennio del’400 Padova viveva il ruolo di protagonista nell’Italia del nord del rinnovamento dell’arte in senso umanistico. La città veneta si distingueva dagli altri centri padani, dove era di moda lo stile gotico internazionale. Il singolare primato di Padova era stato sancito da tre grandi imprese, condotte dalle botteghe di uno scultore fiorentino e di un pittore del luogo: l’altare maggiore della Basilica di Sant’Antonio e il monumento equestre del Gattamelata, pubblicati da Donatello fra il 1450 e il ‘53, e la decorazione ad affresco della cappella di Antonio Ovetari nella Chiesa degli Eremitani finita da Andrea Mantegna fra il 1456 e il 1457. La eco suscitata dai lavori dei due cantieri aveva richiamato in città un grande numero di artisti. Fra tutti, i pittori Marco di Antonio Ruggeri di Cento, detto lo Zoppo, e Giorgio Chulinovich di Sebenico, detto lo Schiavone: anch’essi, come molti colleghi, avevano scelto di fare capo alla bottega di Francesco Squarcione, quella dalla quale era uscito Andrea Mantegna. Ma nella Padova di allora si rileva l’operosità di artisti di diverse provenienza geografica ed estrazione culturale: i muranesi Giovanni d’Alemagna e Antonio Vivarini (impegnati insieme al Mantegna e a Nicolò Pizolo a firmare il contratto di appalto della decorazione della cappella Ovetari), il ferrarese Bono, Ansuino da Forlì, Girolamo di Giovanni da Camerino. Al fianco dei pittori conta l’attività degli scultori, come il donatelliano Giovanni da Pisa. E quella dei miniatori intenti, insieme a scriptores della qualità di Bartolomeo Sanvito, alla confezione dei libri delle biblioteche di umanisti, come Jacopo Marcello, Bernardo Bembo, Ludovico Trevisan. Nell’elenco sono inclusi i sostenitori degli artisti e loro clienti: umanisti, epigrafisti, “antiquari” come Ciriaco d’Ancona, il Feliciano, il Marcanova; Giano Pannonio, Galeotto Marzio da Narni; Antonio Ovetari, Gregorio Correr, il Trevisan, il Marcello; e ancora i De Lazara, i Gattamelata, i Dardani e i Roberti. Un occhio di riguardo è per le commissioni promosse dagli enti ecclesiastici e dai vescovi, Pietro Donato o Fantino Dandolo. All’inizio degli anni sessanta si allontanavano da Padova sia lo Zoppo in direzione prima di Venezia poi di Bologna, sia lo Schiavone che rientrava a casa con una riserva di preziosi disegni sottratti allo Squarcione. Le novità sperimentate nell’officina padovana cominciavano a circolare lungo le vie che univano Padova a Venezia a Ferrara a Bologna alle Marche alla Dalmazia. E alla Lombardia: nel 1460 anche Andrea Mantegna si trasferiva a Mantova alla corte di Ludovico Gonzaga. Nel 1460 in città veniva esposta al Santo la pala per l’altare della cappella Gattamelata, opera di Jacopo Bellini e dei suoi figli. Negli anni seguenti Padova avrebbe perso il primato per cederlo a Venezia, dove Giovanni Bellini avrebbe elaborato un linguaggio che, benché fondato sulla lezione padovana del Mantegna, si presentava diverso da quello del cognato. Si ripercorre la storia della cultura e del gusto che si respiravano a Padova e nelle sue botteghe d’arte nel giro ristretto dei quindici anni del soggiorno di Andrea Mantegna, che si era trovato a lavorare in un contesto storico ed artistico che ha il respiro di una scuola. Giorgio Vasari aveva capito bene che tutte le opere padovane di Andrea erano state condotte alla luce di una vera e propria “concorrenza” con i colleghi; i quali, per di più, erano in grado di esprimersi con un linguaggio altrettanto qualitativamente elevato sui temi più tradizionali o più moderni, come quelli della pala d’altare e del ritratto. Questa del Mantegna padovano è una condizione straordinaria, che non si sarebbe più verificata in seguito. E’ dal confronto con le opere dei contemporanei che emerge la grandezza delle idee, della tecnica e dello stile del giovane Andrea. L’ottica metodologica che sostiene il saggio impronta anche la mostra che lo illustra, progettata e curata da chi scrive.

Andrea Mantegna e Padova. 1445 - 1460

DENICOLO', ALBERTA
2006

Abstract

Per tutto il sesto decennio del’400 Padova viveva il ruolo di protagonista nell’Italia del nord del rinnovamento dell’arte in senso umanistico. La città veneta si distingueva dagli altri centri padani, dove era di moda lo stile gotico internazionale. Il singolare primato di Padova era stato sancito da tre grandi imprese, condotte dalle botteghe di uno scultore fiorentino e di un pittore del luogo: l’altare maggiore della Basilica di Sant’Antonio e il monumento equestre del Gattamelata, pubblicati da Donatello fra il 1450 e il ‘53, e la decorazione ad affresco della cappella di Antonio Ovetari nella Chiesa degli Eremitani finita da Andrea Mantegna fra il 1456 e il 1457. La eco suscitata dai lavori dei due cantieri aveva richiamato in città un grande numero di artisti. Fra tutti, i pittori Marco di Antonio Ruggeri di Cento, detto lo Zoppo, e Giorgio Chulinovich di Sebenico, detto lo Schiavone: anch’essi, come molti colleghi, avevano scelto di fare capo alla bottega di Francesco Squarcione, quella dalla quale era uscito Andrea Mantegna. Ma nella Padova di allora si rileva l’operosità di artisti di diverse provenienza geografica ed estrazione culturale: i muranesi Giovanni d’Alemagna e Antonio Vivarini (impegnati insieme al Mantegna e a Nicolò Pizolo a firmare il contratto di appalto della decorazione della cappella Ovetari), il ferrarese Bono, Ansuino da Forlì, Girolamo di Giovanni da Camerino. Al fianco dei pittori conta l’attività degli scultori, come il donatelliano Giovanni da Pisa. E quella dei miniatori intenti, insieme a scriptores della qualità di Bartolomeo Sanvito, alla confezione dei libri delle biblioteche di umanisti, come Jacopo Marcello, Bernardo Bembo, Ludovico Trevisan. Nell’elenco sono inclusi i sostenitori degli artisti e loro clienti: umanisti, epigrafisti, “antiquari” come Ciriaco d’Ancona, il Feliciano, il Marcanova; Giano Pannonio, Galeotto Marzio da Narni; Antonio Ovetari, Gregorio Correr, il Trevisan, il Marcello; e ancora i De Lazara, i Gattamelata, i Dardani e i Roberti. Un occhio di riguardo è per le commissioni promosse dagli enti ecclesiastici e dai vescovi, Pietro Donato o Fantino Dandolo. All’inizio degli anni sessanta si allontanavano da Padova sia lo Zoppo in direzione prima di Venezia poi di Bologna, sia lo Schiavone che rientrava a casa con una riserva di preziosi disegni sottratti allo Squarcione. Le novità sperimentate nell’officina padovana cominciavano a circolare lungo le vie che univano Padova a Venezia a Ferrara a Bologna alle Marche alla Dalmazia. E alla Lombardia: nel 1460 anche Andrea Mantegna si trasferiva a Mantova alla corte di Ludovico Gonzaga. Nel 1460 in città veniva esposta al Santo la pala per l’altare della cappella Gattamelata, opera di Jacopo Bellini e dei suoi figli. Negli anni seguenti Padova avrebbe perso il primato per cederlo a Venezia, dove Giovanni Bellini avrebbe elaborato un linguaggio che, benché fondato sulla lezione padovana del Mantegna, si presentava diverso da quello del cognato. Si ripercorre la storia della cultura e del gusto che si respiravano a Padova e nelle sue botteghe d’arte nel giro ristretto dei quindici anni del soggiorno di Andrea Mantegna, che si era trovato a lavorare in un contesto storico ed artistico che ha il respiro di una scuola. Giorgio Vasari aveva capito bene che tutte le opere padovane di Andrea erano state condotte alla luce di una vera e propria “concorrenza” con i colleghi; i quali, per di più, erano in grado di esprimersi con un linguaggio altrettanto qualitativamente elevato sui temi più tradizionali o più moderni, come quelli della pala d’altare e del ritratto. Questa del Mantegna padovano è una condizione straordinaria, che non si sarebbe più verificata in seguito. E’ dal confronto con le opere dei contemporanei che emerge la grandezza delle idee, della tecnica e dello stile del giovane Andrea. L’ottica metodologica che sostiene il saggio impronta anche la mostra che lo illustra, progettata e curata da chi scrive.
2006
Mantegna e Padova. 1445 - 1460
9788876246746
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/1559142
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