Il lavoro monografico, volto a fornire un quadro di sistema della disciplina speciale della DIA edilizia, si muove su due linee di indagini diverse . Esse hanno riguardo, l’una, alla specialità della materia urbanistico-edilizia, che, come sempre è avvenuto nel nostro ordinamento, ancora una volta si pone come terreno elettivo di sperimentazione delle misure di semplificazione dell’attività amministrativa; l’altra, al rapporto tra DIA urbanistico edilizia e disciplina generale della dichiarazione di inizio di attività di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990 e alle questioni relative alla natura di quest’atto. In questo quadro, quindi, viene anzitutto affrontato il tema della rilevanza della semplificazione dell’azione amministrativa nel regime dei titoli abilitativi edilizi, per mettere in rilievo preliminarmente l’esistenza nell’ordinamento urbanistico-edilizio di un principio fondamentale, sostanziale, di diversificazione degli interventi in ragione della loro capacità o meno di trasformare il territorio, dal quale discende un principio, solo formale, di graduazione dei titoli abilitativi stessi. La configurazione di questo principio sostanziale, non colto dalla giurisprudenza costituzionale pronunciatasi sul regime di tali titoli, governa la materia permettendo di distinguere tra ciò che deve essere riservato, a monte, alle scelte pubbliche pianificatorie, da ciò che invece preesiste e si impone ad esse perché riconducibile alla fattispecie di migliore utilizzo degli immobili esistenti, rientrante nella sfera di facoltà proprietarie in forza dell’art. 42 Cost., e sottratto alle scelte dell’amministrazione perché non è in grado di incidere sull’uso del territorio, creandovi dei bisogni prima non esistenti, e si presenta come principio in grado di fungere a priori da guida nel valutare l’adeguatezza delle misure di semplificazione dei titoli abilitativi volute dal legislatore, in ragione della maggiore o minore ‘pericolosità’ dell’intervento, e dunque della relativa maggiore o minore necessità di un controllo preventivo su di esso da parte della p.A. All’individuazione di questo complesso di principi si lega anche l’approfondimento del rapporto tra potestà legislativa statale e potestà legislativa regionale in materia di governo del territorio dopo la riforma del titolo V Cost., con l’individuazione dello spazio di disciplina spettante alle regioni, ma anche con uno specifico esame della tematica dei rapporti tra norme primarie e secondarie e tra norme secondarie provenienti da soggetti diversi (Stato, Regioni, Comuni) nel loro intreccio con le competenze trasversali in materia di organizzazione ed esercizio delle funzioni riconosciute agli enti territoriali minori dall’art. 118 Cost. Sul diverso versante del rapporto tra fattispecie speciale disciplinata dal T.U. dell’edilizia e istituto generale di semplificazione di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990, viene ricostruita la disciplina edilizia alla luce di quella generale e delineato in termini organici il rapporto tra privato e amministrazione in sede di presentazione della denuncia e successivamente ad essa, per andare poi ad affrontare in modo specifico il tema della natura della denuncia d’inizio e della relativa tutela giurisdizionale, tanto dell’autore della denuncia quanto, e soprattutto, del terzo leso dall’intervento, considerati i problemi legati all’effettività di tale tutela emersi sin dal venire in essere della disciplina in esame. Tale problematica viene quindi esaminata alla luce degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali delineatisi proprio con riferimento alla fattispecie speciale della denuncia edilizia, concludendo per la sua natura di atto privato. Prese dunque in esame le varie eventualità che si danno al terzo per ottenere tutela innanzi al giudice amministrativo, si mettono in luce anche carenze e dubbi di legittimità costituzionale del sistema ricavabile dalla disciplina positiva, e proprio a questo proposito si prospetta anche una lettura originale della giurisdizione esclusiva spettante al giudice amministrativo sui comportamenti della p.A. in materia urbanistico-edilizia ai sensi dell’art. 34 d.lgs. n. 80/1998, a ridosso della declaratoria di illegittimità pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004. Portando infatti particolare attenzione alla motivazione attraverso la quale la Consulta è pervenuta alla pronuncia di annullamento, si fa rilevare che se la ratio dell’illegittimità costituzionale è costituita dal fatto che il giudice amministrativo non può essere chiamato a conoscere delle controversie nelle quali la p.A. non esercita alcun pubblico potere, nell’ipotesi in esame, nella quale fino a quel momento secondo un certo orientamento giurisprudenziale era stata ritenuta ammissibile, ai sensi del citato art. 34, l’impugnazione del comportamento omissivo del Comune che non avesse inibito l’inizio dei lavori oggetto di denuncia, il giudice amministrativo è comunque chiamato a pronunciarsi su di una ipotesi nella quale l’azione del privato conosce necessariamente dell’intermediazione del pubblico potere. In presenza, quindi, di un disposto ‘in apparenza’ completamente demolitorio della pronuncia della Consulta, che plus dixit quam voluit, e conformemente invece all’ampia articolazione della motivazione di tale pronuncia, si potrebbe sostenere che in realtà questa fattispecie non sia stata travolta dall’intervento della Corte, versandosi in una di quelle situazioni tipiche di ‘intreccio’ di diritti soggettivi e interessi legittimi che il giudice costituzionale anche in questo caso pone a fondamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e che dunque potrebbe continuare a trovare applicazione per assicurare tutela al terzo leso dall’intervento, il quale chieda l’accertamento dell’esercizio non corretto del potere di vietare l’inizio dei lavori da parte della p.A.

La denuncia d'inizio di attività edilizia. Profili sistematici, sostanziali e processuali

MARZARO, PATRIZIA
2005

Abstract

Il lavoro monografico, volto a fornire un quadro di sistema della disciplina speciale della DIA edilizia, si muove su due linee di indagini diverse . Esse hanno riguardo, l’una, alla specialità della materia urbanistico-edilizia, che, come sempre è avvenuto nel nostro ordinamento, ancora una volta si pone come terreno elettivo di sperimentazione delle misure di semplificazione dell’attività amministrativa; l’altra, al rapporto tra DIA urbanistico edilizia e disciplina generale della dichiarazione di inizio di attività di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990 e alle questioni relative alla natura di quest’atto. In questo quadro, quindi, viene anzitutto affrontato il tema della rilevanza della semplificazione dell’azione amministrativa nel regime dei titoli abilitativi edilizi, per mettere in rilievo preliminarmente l’esistenza nell’ordinamento urbanistico-edilizio di un principio fondamentale, sostanziale, di diversificazione degli interventi in ragione della loro capacità o meno di trasformare il territorio, dal quale discende un principio, solo formale, di graduazione dei titoli abilitativi stessi. La configurazione di questo principio sostanziale, non colto dalla giurisprudenza costituzionale pronunciatasi sul regime di tali titoli, governa la materia permettendo di distinguere tra ciò che deve essere riservato, a monte, alle scelte pubbliche pianificatorie, da ciò che invece preesiste e si impone ad esse perché riconducibile alla fattispecie di migliore utilizzo degli immobili esistenti, rientrante nella sfera di facoltà proprietarie in forza dell’art. 42 Cost., e sottratto alle scelte dell’amministrazione perché non è in grado di incidere sull’uso del territorio, creandovi dei bisogni prima non esistenti, e si presenta come principio in grado di fungere a priori da guida nel valutare l’adeguatezza delle misure di semplificazione dei titoli abilitativi volute dal legislatore, in ragione della maggiore o minore ‘pericolosità’ dell’intervento, e dunque della relativa maggiore o minore necessità di un controllo preventivo su di esso da parte della p.A. All’individuazione di questo complesso di principi si lega anche l’approfondimento del rapporto tra potestà legislativa statale e potestà legislativa regionale in materia di governo del territorio dopo la riforma del titolo V Cost., con l’individuazione dello spazio di disciplina spettante alle regioni, ma anche con uno specifico esame della tematica dei rapporti tra norme primarie e secondarie e tra norme secondarie provenienti da soggetti diversi (Stato, Regioni, Comuni) nel loro intreccio con le competenze trasversali in materia di organizzazione ed esercizio delle funzioni riconosciute agli enti territoriali minori dall’art. 118 Cost. Sul diverso versante del rapporto tra fattispecie speciale disciplinata dal T.U. dell’edilizia e istituto generale di semplificazione di cui all’art. 19 della legge n. 241/1990, viene ricostruita la disciplina edilizia alla luce di quella generale e delineato in termini organici il rapporto tra privato e amministrazione in sede di presentazione della denuncia e successivamente ad essa, per andare poi ad affrontare in modo specifico il tema della natura della denuncia d’inizio e della relativa tutela giurisdizionale, tanto dell’autore della denuncia quanto, e soprattutto, del terzo leso dall’intervento, considerati i problemi legati all’effettività di tale tutela emersi sin dal venire in essere della disciplina in esame. Tale problematica viene quindi esaminata alla luce degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali delineatisi proprio con riferimento alla fattispecie speciale della denuncia edilizia, concludendo per la sua natura di atto privato. Prese dunque in esame le varie eventualità che si danno al terzo per ottenere tutela innanzi al giudice amministrativo, si mettono in luce anche carenze e dubbi di legittimità costituzionale del sistema ricavabile dalla disciplina positiva, e proprio a questo proposito si prospetta anche una lettura originale della giurisdizione esclusiva spettante al giudice amministrativo sui comportamenti della p.A. in materia urbanistico-edilizia ai sensi dell’art. 34 d.lgs. n. 80/1998, a ridosso della declaratoria di illegittimità pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004. Portando infatti particolare attenzione alla motivazione attraverso la quale la Consulta è pervenuta alla pronuncia di annullamento, si fa rilevare che se la ratio dell’illegittimità costituzionale è costituita dal fatto che il giudice amministrativo non può essere chiamato a conoscere delle controversie nelle quali la p.A. non esercita alcun pubblico potere, nell’ipotesi in esame, nella quale fino a quel momento secondo un certo orientamento giurisprudenziale era stata ritenuta ammissibile, ai sensi del citato art. 34, l’impugnazione del comportamento omissivo del Comune che non avesse inibito l’inizio dei lavori oggetto di denuncia, il giudice amministrativo è comunque chiamato a pronunciarsi su di una ipotesi nella quale l’azione del privato conosce necessariamente dell’intermediazione del pubblico potere. In presenza, quindi, di un disposto ‘in apparenza’ completamente demolitorio della pronuncia della Consulta, che plus dixit quam voluit, e conformemente invece all’ampia articolazione della motivazione di tale pronuncia, si potrebbe sostenere che in realtà questa fattispecie non sia stata travolta dall’intervento della Corte, versandosi in una di quelle situazioni tipiche di ‘intreccio’ di diritti soggettivi e interessi legittimi che il giudice costituzionale anche in questo caso pone a fondamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e che dunque potrebbe continuare a trovare applicazione per assicurare tutela al terzo leso dall’intervento, il quale chieda l’accertamento dell’esercizio non corretto del potere di vietare l’inizio dei lavori da parte della p.A.
2005
9788814114991
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