Quello dei rapporti tra cultura e democrazia non è un problema nuovo. Fin dalle origini del pensiero politico la democrazia è stata spesso associata all’idea negativa del governo della massa, rozza e incompetente, come tale incapace di assicurare la realizzazione del buon ordine sociale e dell’unione politica della collettività. Un argomento, questo, che è stato spesso utilizzato a sostegno di concezioni oligarchiche o elitarie della politica e che sta alla base delle varie forme, antiche e moderne, di “governo dei custodi”. Vero è che non solo gli oppositori, ma anche gli stessi sostenitori della democrazia hanno sempre considerato l’istruzione dei cittadini come una condizione necessaria per la loro partecipazione alla vita politica. Il che può tuttavia significare – e storicamente ha significato – due cose diverse. Secondo un’opinione assai diffusa in Europa fino agli inizi del secolo scorso, la mancanza di istruzione deve tradursi in un limite all’accesso all’elettorato, sia attivo sia passivo, per evitare che il basso livello culturale del corpo rappresentativo si rifletta nella composizione delle assemblee rappresentative. Secondo un opposto orientamento, affermatosi per la prima volta nella Francia rivoluzionaria e prevalso nel corso del Novecento, non si tratta di escludere i soggetti meno istruiti dalla vita politica, ma di creare le condizioni affinché possano parteciparvi in modo libero, consapevole e responsabile. L’istruzione, considerata un “bisogno di tutti”, deve essere quindi assicurata con ogni mezzo, quale strumento di libertà ed eguaglianza dei cittadini e presupposto per una piena ed effettiva partecipazione del popolo al governo dello Stato. Nel solco di questa tradizione, la Costituzione italiana delinea uno specifico modello di intervento pubblico nel campo della cultura (c.d. “costituzione culturale”) che impone di: a) assicurare l’erogazione delle prestazioni scolastiche e universitarie e il generale accesso ai vari livelli di istruzione e formazione; b) rimuovere gli ostacoli alla libera produzione, circolazione e fruizione della cultura e favorirne la massima diffusione fra i cittadini; b) trattare allo stesso modo le diverse forme di espressione culturale, sostenendo e promuovendo con misure idonee quelle più deboli e meno conclamate; c) realizzare un effettivo pluralismo culturale, inteso come pluralismo tra i vari portatori di cultura e tra le più varie tendenze culturali presenti nella società. Si tratta di principi coerenti con il modello di Stato liberale, democratico e sociale previsto dalla Carta, specie nei suoi primi articoli, dove sono tracciate le linee portanti del sistema: un sistema plurale, aperto e inclusivo, che mette al centro la persona umana, nella sua dignità e nel suo sviluppo, e pone lo Stato al suo servizio. L’istruzione e la cultura, tuttavia, non bastano a formare dei “buoni” cittadini, capaci di cooperare attivamente alla gestione della cosa pubblica. A tal fine occorre anche un’educazione civica che sia in grado di trasmettere a tutti, e specialmente ai giovani, i valori fondamentali della vita democratica, permettendo loro di avere un’adeguata conoscenza delle questioni pubbliche e di decidere su di esse in piena autonomia. La mancata realizzazione di tale obiettivo – dovuta in gran parte alle lacune del nostro sistema educativo – si configura come un vero e proprio “tradimento” della Costituzione, causa non ultima della fase di decadenza che sta attraversando oggi la società italiana. Forse un buon modo di cominciare per superare questa fase e cercare di ricostruire un “senso comune” repubblicano e democratico, fondato sui principi di libertà, eguaglianza, solidarietà e partecipazione, è proprio quello di considerare la Carta costituzionale come un punto di riferimento culturale oltre che giuridico. Una Carta che non è solo la legge fondamentale del nostro ordinamento ma una delle massime espressioni della storia e della cultura del popolo italiano, con radici profonde e un valore unificante e identitario della comunità nazionale, che bisogna imparare prima di tutto a conoscere e quindi a rispettare. Affinché ciò accada occorre un serio impegno delle istituzioni (prime fra tutte, la scuola e l’università) per contribuire a formare dei cittadini “costituzionalmente colti”, cioè istruiti, informati e attenti, consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, aperti al dialogo e al confronto, disponibili a impegnarsi nella vita politica e sociale, vigili nel controllo dei propri governanti e capaci di valutarne criticamente l’operato. Si tratta di un compito difficile ma indispensabile per garantire l’esistenza di una democrazia forte, viva e partecipata, con un popolo realmente sovrano che sappia autogovernarsi in modo libero e responsabile nell’interesse della collettività e nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Cultura e democrazia tra Costituzione e realtà

GIAMPIERETTI, MARCO
2008

Abstract

Quello dei rapporti tra cultura e democrazia non è un problema nuovo. Fin dalle origini del pensiero politico la democrazia è stata spesso associata all’idea negativa del governo della massa, rozza e incompetente, come tale incapace di assicurare la realizzazione del buon ordine sociale e dell’unione politica della collettività. Un argomento, questo, che è stato spesso utilizzato a sostegno di concezioni oligarchiche o elitarie della politica e che sta alla base delle varie forme, antiche e moderne, di “governo dei custodi”. Vero è che non solo gli oppositori, ma anche gli stessi sostenitori della democrazia hanno sempre considerato l’istruzione dei cittadini come una condizione necessaria per la loro partecipazione alla vita politica. Il che può tuttavia significare – e storicamente ha significato – due cose diverse. Secondo un’opinione assai diffusa in Europa fino agli inizi del secolo scorso, la mancanza di istruzione deve tradursi in un limite all’accesso all’elettorato, sia attivo sia passivo, per evitare che il basso livello culturale del corpo rappresentativo si rifletta nella composizione delle assemblee rappresentative. Secondo un opposto orientamento, affermatosi per la prima volta nella Francia rivoluzionaria e prevalso nel corso del Novecento, non si tratta di escludere i soggetti meno istruiti dalla vita politica, ma di creare le condizioni affinché possano parteciparvi in modo libero, consapevole e responsabile. L’istruzione, considerata un “bisogno di tutti”, deve essere quindi assicurata con ogni mezzo, quale strumento di libertà ed eguaglianza dei cittadini e presupposto per una piena ed effettiva partecipazione del popolo al governo dello Stato. Nel solco di questa tradizione, la Costituzione italiana delinea uno specifico modello di intervento pubblico nel campo della cultura (c.d. “costituzione culturale”) che impone di: a) assicurare l’erogazione delle prestazioni scolastiche e universitarie e il generale accesso ai vari livelli di istruzione e formazione; b) rimuovere gli ostacoli alla libera produzione, circolazione e fruizione della cultura e favorirne la massima diffusione fra i cittadini; b) trattare allo stesso modo le diverse forme di espressione culturale, sostenendo e promuovendo con misure idonee quelle più deboli e meno conclamate; c) realizzare un effettivo pluralismo culturale, inteso come pluralismo tra i vari portatori di cultura e tra le più varie tendenze culturali presenti nella società. Si tratta di principi coerenti con il modello di Stato liberale, democratico e sociale previsto dalla Carta, specie nei suoi primi articoli, dove sono tracciate le linee portanti del sistema: un sistema plurale, aperto e inclusivo, che mette al centro la persona umana, nella sua dignità e nel suo sviluppo, e pone lo Stato al suo servizio. L’istruzione e la cultura, tuttavia, non bastano a formare dei “buoni” cittadini, capaci di cooperare attivamente alla gestione della cosa pubblica. A tal fine occorre anche un’educazione civica che sia in grado di trasmettere a tutti, e specialmente ai giovani, i valori fondamentali della vita democratica, permettendo loro di avere un’adeguata conoscenza delle questioni pubbliche e di decidere su di esse in piena autonomia. La mancata realizzazione di tale obiettivo – dovuta in gran parte alle lacune del nostro sistema educativo – si configura come un vero e proprio “tradimento” della Costituzione, causa non ultima della fase di decadenza che sta attraversando oggi la società italiana. Forse un buon modo di cominciare per superare questa fase e cercare di ricostruire un “senso comune” repubblicano e democratico, fondato sui principi di libertà, eguaglianza, solidarietà e partecipazione, è proprio quello di considerare la Carta costituzionale come un punto di riferimento culturale oltre che giuridico. Una Carta che non è solo la legge fondamentale del nostro ordinamento ma una delle massime espressioni della storia e della cultura del popolo italiano, con radici profonde e un valore unificante e identitario della comunità nazionale, che bisogna imparare prima di tutto a conoscere e quindi a rispettare. Affinché ciò accada occorre un serio impegno delle istituzioni (prime fra tutte, la scuola e l’università) per contribuire a formare dei cittadini “costituzionalmente colti”, cioè istruiti, informati e attenti, consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, aperti al dialogo e al confronto, disponibili a impegnarsi nella vita politica e sociale, vigili nel controllo dei propri governanti e capaci di valutarne criticamente l’operato. Si tratta di un compito difficile ma indispensabile per garantire l’esistenza di una democrazia forte, viva e partecipata, con un popolo realmente sovrano che sappia autogovernarsi in modo libero e responsabile nell’interesse della collettività e nelle forme e nei limiti della Costituzione.
2008
Scritti in onore di Lorenza Carlassare. Il diritto costituzionale come regola e limite al potere
9788824319010
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/164684
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