In alcuni versi dell’arte poetica di Marco Girolamo Vida, ( Roma 1527), si fa riferimento al furto di Prometeo per sottolineare le deliciae e le cruces di una pratica del discorso letterario che da Virgilio a Orazio agli umanisti del tardo Quattrocento viene assunta a fondamento e cardine del discorso poetico. Il furto di Prometeo è insieme il furto del fuoco e delle muse, della poesia: un tesoro riservato agli Antichi, cui i Moderni hanno il potere di attingere soltanto attraverso l’esercizio secondo della reminiscenza, della citazione, del rinvio. L’immagine vidiana configura una condizione generale della comunicazione letteraria nel Rinascimento: l’esercizio vero e proprio della scrittura non essendo, nel periodo in questione, che un esercizio assiduo di assimilazione, di doppiaggio, di riscrittura. Riscrittura come tentativo di riproporre un discorso pieno prodotto altrove, secondo le prospettive di lettura emergenti dai Poeticorum libri di Marco Girolamo Vida, ma anche come palinsesto consunto e rovesciato, distanziamento e trasgressione, rifacimento e parodia. Un modo di conservare la parola, il tentativo di riprodurne la cornice situazionale esemplare in un dialogo continuo tra presente e passato, o tra presente e assente, ma anche la negazione della natura dialogica del discorso, il segno del discontinuo insito nelle sue proposizioni. Gli studi pubblicati nel volume — sull'Arte poetica del Vida (p. 25-58) e sul Cortegiano del Castiglione (p. 59-78); sulle lettere secolari del Muzio (p. 79-104) e sul petrarchismo al femminile (p. 105-178); sulla maniera del verso nell'epica (p. 179-222), sul Dolce traduttore di Virgilio (p. 223-256) e sul Dolce volgarizzatore e poligrafo operante dentro e fuori l’officina Giolito (p. 257-277) — seguono in gran parte le vicende delle situazioni comunicative sopra segnalate. Imitazione, scrittura, riscrittura tracciano in essi un percorso di attraversamento della tradizione dove i testi e i modi della teoria raddoppiano quelli della pratica e viceversa, le parole degli autori confondendosi in essi con quelle dei rifacitori, la reminiscenza prendendosi la rivincita sulla novità del dire, quest’ultima oscurando del tutto quanto la presuppone: il furto di Prometeo evocato dal Vida nella sua Poetica figurando quale ennesima fissazione del già detto e del già scritto, sublimazione estrema di origini più o meno scopertamente dichiarate e celebrate, ma anche quale definitiva presa di distanza da queste, quale loro irriducibile rimozione. Assieme all'Avvertenza (p. 7-21), i sette capitoli che formano il volume riprendono, riformulando, ampliando e aggiornando, studi dalla scrivente precedentemente pubblicati di area rinascimentale italiana, nondimeno ulteriormente sviluppati nella relazione sin dall'origine stabilita con il tema unificante dell'opera, fondamentalmente legato alla pratica dell'imitazione e alla riscrittura dei classici.

Il furto di Prometeo. Imitazione scrittura riscrittura nel Rinascimento

BORSETTO, LUCIANA
1990

Abstract

In alcuni versi dell’arte poetica di Marco Girolamo Vida, ( Roma 1527), si fa riferimento al furto di Prometeo per sottolineare le deliciae e le cruces di una pratica del discorso letterario che da Virgilio a Orazio agli umanisti del tardo Quattrocento viene assunta a fondamento e cardine del discorso poetico. Il furto di Prometeo è insieme il furto del fuoco e delle muse, della poesia: un tesoro riservato agli Antichi, cui i Moderni hanno il potere di attingere soltanto attraverso l’esercizio secondo della reminiscenza, della citazione, del rinvio. L’immagine vidiana configura una condizione generale della comunicazione letteraria nel Rinascimento: l’esercizio vero e proprio della scrittura non essendo, nel periodo in questione, che un esercizio assiduo di assimilazione, di doppiaggio, di riscrittura. Riscrittura come tentativo di riproporre un discorso pieno prodotto altrove, secondo le prospettive di lettura emergenti dai Poeticorum libri di Marco Girolamo Vida, ma anche come palinsesto consunto e rovesciato, distanziamento e trasgressione, rifacimento e parodia. Un modo di conservare la parola, il tentativo di riprodurne la cornice situazionale esemplare in un dialogo continuo tra presente e passato, o tra presente e assente, ma anche la negazione della natura dialogica del discorso, il segno del discontinuo insito nelle sue proposizioni. Gli studi pubblicati nel volume — sull'Arte poetica del Vida (p. 25-58) e sul Cortegiano del Castiglione (p. 59-78); sulle lettere secolari del Muzio (p. 79-104) e sul petrarchismo al femminile (p. 105-178); sulla maniera del verso nell'epica (p. 179-222), sul Dolce traduttore di Virgilio (p. 223-256) e sul Dolce volgarizzatore e poligrafo operante dentro e fuori l’officina Giolito (p. 257-277) — seguono in gran parte le vicende delle situazioni comunicative sopra segnalate. Imitazione, scrittura, riscrittura tracciano in essi un percorso di attraversamento della tradizione dove i testi e i modi della teoria raddoppiano quelli della pratica e viceversa, le parole degli autori confondendosi in essi con quelle dei rifacitori, la reminiscenza prendendosi la rivincita sulla novità del dire, quest’ultima oscurando del tutto quanto la presuppone: il furto di Prometeo evocato dal Vida nella sua Poetica figurando quale ennesima fissazione del già detto e del già scritto, sublimazione estrema di origini più o meno scopertamente dichiarate e celebrate, ma anche quale definitiva presa di distanza da queste, quale loro irriducibile rimozione. Assieme all'Avvertenza (p. 7-21), i sette capitoli che formano il volume riprendono, riformulando, ampliando e aggiornando, studi dalla scrivente precedentemente pubblicati di area rinascimentale italiana, nondimeno ulteriormente sviluppati nella relazione sin dall'origine stabilita con il tema unificante dell'opera, fondamentalmente legato alla pratica dell'imitazione e alla riscrittura dei classici.
1990
8876940529
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