Il cap. I del volume, in funzione della ricostruzione della ratio dell’imposta regionale sulle attività produttive, muove dalle premesse concettuali tratte dall’economia politica, dalla contabilità nazionale e dall’economia aziendale, dalla comparazione con imposte straniere simili, dalle indicazioni ritraibili dai lavori della “Commissione Gallo” e dai lavori parlamentari e ministeriali successivi. Nel cap. II si analizza il presupposto dell’irap coordinando sistematicamente l’art. 2 con le disposizioni sui soggetti passivi e sull’imponibile: si conclude che esso è la creazione di valore mediante attività organizzate, “produttive” di una ricchezza, concretizzata in beni e servizi, superiore all’input. Si mostra come ciò valga anche per attività non economiche, nonostante la differente natura di queste e dei relativi imponibili. Si esamina il requisito di “autonomia organizzativa” dell’attività, analizzando le posizioni espresse da dottrina e giurisprudenza fino alla soluzione data dalla Cassazione nel 2007. Parendo insufficiente la giustificazione offerta da quest'ultima, si ritorna ai dati normativi ed alla ratio legis per desumerne che il concetto è sganciato dal diritto commerciale, che non richiede né l’idoneità dell’organizzazione ad operare a prescindere dall’apporto personale del titolare, né la presenza di capitali o lavoro altrui, che si fonda sull’indipendenza da direttive esterne, la quale consente un'autonomia “gestionale”, tale da incrementare i risultati ottenibili dal mero lavoro personale. Pertanto, la soggettività passiva irap dipende dalla presenza di tale attività “organizzativa”, riferita a dipendenti o collaboratori o anche solo all’apparato dei beni strumentali, quest’ultimo da valutare in concreto. Nel cap. III si studia la disciplina della determinazione del valore della produzione, allo scopo di meglio chiarire la logica globale del tributo. La complessità e varietà interna di tale disciplina, al là dei principi generali sviluppabili dal presupposto, induce ad un esame analitico per trarre principi ultra-settoriali. Riguardo p.es. alla rilevanza delle variazioni operanti ai fini del reddito, si critica ove non coerente con la logica dell'irap, proponendo interpretazioni adeguatrici. Per le attività commerciali, si indaga il senso del riferimento a voci del conto economico afferenti alla gestione ordinaria, il ruolo del c.d. principio di correlazione e della “corretta classificazione”, esaminando i problemi relativi alle singole voci. Sono poi esaminati i problemi relativi alle altre attività ed i profili territoriali. Nel cap. IV si esaminano i dubbi di incostituzionalità del tributo, analizzando le posizioni dottrinali e la motivazione di Corte cost. 156/2001; distinti gli indirizzi interpretativi in materia di capacità contributiva in un filone “classico” ed uno ispirato all'equità distributiva, si riconsiderano gli argomenti dei primi alla luce delle critiche dei secondi, concludendo che ai sensi dell'art. 53 co.1 Cost. il prelievo deve fondarsi su una situazione che consenta di sopportarne il peso senza veder compromessa la propria libertà economica, eventualmente in quanto, con la normale diligenza, l'obbligato possa disporre della somma necessaria; che i benefici recati genericamente dai pubblici servizi non sono un indice idoneo di capacità contributiva; che pertanto i dubbi sulla conformità dell'irap al principio di capacità contributiva non sono superati, essendo essa commisurata in parte a ricchezza altrui e risultando aleatoria la traslazione o il "recupero" del peso di essa prospettati da Corte cost. 156/2001. Infine si esamina il problema della compatibilità dell'irap con il divieto comunitario di imposte sulla cifra d'affari, condividendo la conclusione affermativa di Corte Giust. Cee 3-10-2006, ma concludendo che la genericità della regola applicata può portare a sentenze “creative”.

L'imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici

SCHIAVOLIN, ROBERTO
2007

Abstract

Il cap. I del volume, in funzione della ricostruzione della ratio dell’imposta regionale sulle attività produttive, muove dalle premesse concettuali tratte dall’economia politica, dalla contabilità nazionale e dall’economia aziendale, dalla comparazione con imposte straniere simili, dalle indicazioni ritraibili dai lavori della “Commissione Gallo” e dai lavori parlamentari e ministeriali successivi. Nel cap. II si analizza il presupposto dell’irap coordinando sistematicamente l’art. 2 con le disposizioni sui soggetti passivi e sull’imponibile: si conclude che esso è la creazione di valore mediante attività organizzate, “produttive” di una ricchezza, concretizzata in beni e servizi, superiore all’input. Si mostra come ciò valga anche per attività non economiche, nonostante la differente natura di queste e dei relativi imponibili. Si esamina il requisito di “autonomia organizzativa” dell’attività, analizzando le posizioni espresse da dottrina e giurisprudenza fino alla soluzione data dalla Cassazione nel 2007. Parendo insufficiente la giustificazione offerta da quest'ultima, si ritorna ai dati normativi ed alla ratio legis per desumerne che il concetto è sganciato dal diritto commerciale, che non richiede né l’idoneità dell’organizzazione ad operare a prescindere dall’apporto personale del titolare, né la presenza di capitali o lavoro altrui, che si fonda sull’indipendenza da direttive esterne, la quale consente un'autonomia “gestionale”, tale da incrementare i risultati ottenibili dal mero lavoro personale. Pertanto, la soggettività passiva irap dipende dalla presenza di tale attività “organizzativa”, riferita a dipendenti o collaboratori o anche solo all’apparato dei beni strumentali, quest’ultimo da valutare in concreto. Nel cap. III si studia la disciplina della determinazione del valore della produzione, allo scopo di meglio chiarire la logica globale del tributo. La complessità e varietà interna di tale disciplina, al là dei principi generali sviluppabili dal presupposto, induce ad un esame analitico per trarre principi ultra-settoriali. Riguardo p.es. alla rilevanza delle variazioni operanti ai fini del reddito, si critica ove non coerente con la logica dell'irap, proponendo interpretazioni adeguatrici. Per le attività commerciali, si indaga il senso del riferimento a voci del conto economico afferenti alla gestione ordinaria, il ruolo del c.d. principio di correlazione e della “corretta classificazione”, esaminando i problemi relativi alle singole voci. Sono poi esaminati i problemi relativi alle altre attività ed i profili territoriali. Nel cap. IV si esaminano i dubbi di incostituzionalità del tributo, analizzando le posizioni dottrinali e la motivazione di Corte cost. 156/2001; distinti gli indirizzi interpretativi in materia di capacità contributiva in un filone “classico” ed uno ispirato all'equità distributiva, si riconsiderano gli argomenti dei primi alla luce delle critiche dei secondi, concludendo che ai sensi dell'art. 53 co.1 Cost. il prelievo deve fondarsi su una situazione che consenta di sopportarne il peso senza veder compromessa la propria libertà economica, eventualmente in quanto, con la normale diligenza, l'obbligato possa disporre della somma necessaria; che i benefici recati genericamente dai pubblici servizi non sono un indice idoneo di capacità contributiva; che pertanto i dubbi sulla conformità dell'irap al principio di capacità contributiva non sono superati, essendo essa commisurata in parte a ricchezza altrui e risultando aleatoria la traslazione o il "recupero" del peso di essa prospettati da Corte cost. 156/2001. Infine si esamina il problema della compatibilità dell'irap con il divieto comunitario di imposte sulla cifra d'affari, condividendo la conclusione affermativa di Corte Giust. Cee 3-10-2006, ma concludendo che la genericità della regola applicata può portare a sentenze “creative”.
2007
8814135150
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/1778983
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