La parte solida dell’idrosfera, definita “criosfera”, è composta principalmente dal ghiaccio marino, dalla neve, dai ghiacciai e dal ghiaccio contenuto nel permafrost. Secondo la definizione del Multi-language Glossary of Permafrost and Related Ground-Ice Terms della IPA (International Permafrost Association), il permafrost è un “qualsiasi terreno che rimane per almeno due anni consecutivi ad una temperatura pari o inferiore a 0°C”. Si tratta quindi di una condizione termica che può caratterizzare sia la roccia in posto, sia terreni e depositi sciolti di varia natura. Generalmente il permafrost contiene ghiaccio in varie forme e aggregazioni e in molti casi esso può costituire la percentuale maggiore del volume del suolo. La quantità di ghiaccio contenuto in un suolo interessato da permafrost è tuttavia molto variabile ed esso può addirittura non essere presente. In alcune situazioni il permafrost può non essere necessariamente congelato, in quanto l’acqua in esso contenuta può subire un abbassamento del punto di congelamento anche di diversi gradi sotto lo zero, ad esempio a causa della presenza di sali. In questa particolare situazione, un suolo interessato da permafrost può contenere considerevoli quantità di acqua in forma liquida. Si stima che il permafrost sia il componente della criosfera più diffuso nel mondo (oltre un quarto delle terre emerse del pianeta ne è interessato), ma è anche il meno visibile. E’ distribuito sul nostro pianeta in due distinte e spesso sovrapposte regioni geografiche: alle alte latitudini (permafrost polare) e alle quote elevate delle medie e basse latitudini (permafrost alpino o montano). Nelle zone montane, come per esempio nei rilievi italiani, la distribuzione del permafrost è prevalentemente di tipo discontinuo o sporadico. Nel territorio italiano la conoscenza sulla sua distribuzione è limitata; poco conosciuto è soprattutto il suo spessore ed il regime termico. Elevata probabilità di trovare permafrost si ha nel tratto centro occidentale della catena alpina, a quote comprese tra i 2000 ed i 3200 m. In questa fascia altimetrica la sua presenza è discontinua, mentre a quote superiori assume maggior continuità. Localmente, in particolari condizioni ambientali, piccoli corpi di permafrost possono scendere fino a 1700-1900 m di quota. Lo spessore si aggira in media intorno ai 20 m, ma si stima che possa raggiungere localmente valori anche superiori a 100 m (200 m nei pressi del M. Livrio al Passo dello Stelvio). La parte più superficiale di un terreno interessato da permafrost va incontro ogni anno a cicli di fusione e congelamento ed è definita strato attivo (Fig. 1). Sotto la tavola del permafrost, la temperatura è perennemente inferiore a 0°C e normalmente il terreno è congelato. Al di sotto di una certa profondità, le variazioni annuali di temperatura si annullano e i profili della temperatura massima e minima tendono a congiungersi. Il punto ove la variazione annuale di temperatura è inferiore a 0,1°C viene definito Depth of Zero Annual Amplitude (ZAA). Tale profondità può variare fra 10 e 20 m, a seconda delle condizioni del clima e del suolo. Al di sotto della ZAA, la temperatura del suolo subisce un progressivo incremento con la profondità a causa del calore geotermico. Il punto nel quale tale incremento raggiunge gli 0°C è definito base del permafrost; qui si individua la separazione tra il terreno perennemente congelato e quello non congelato. La distribuzione del permafrost è legata, oltre che alla temperatura media annua, all’insolazione dei versanti, alla distribuzione, durata e profondità del manto nevoso e alle caratteristiche del substrato. Le condizioni climatiche che regolano la presenza di permafrost in ambiente montano sono definite, a scala regionale, da diversi parametri. Uno dei più noti modelli della criosfera, ad esempio, definisce la potenziale fascia di esistenza del permafrost in ambiente alpino in base alla temperatura e alle precipitazioni medie annue (Fig. 2). Nelle Alpi, la diffusione del permafrost è potenzialmente favorita nei settori centrali della catena, caratterizzati da un clima più secco, mentre nei settori più esterni, caratterizzati da condizioni climatiche più umide, nelle stesse fasce altimetriche è favorita la formazione di ghiacciai.

Il ghiaccio del Permafrost

CARTON, ALBERTO;
2008

Abstract

La parte solida dell’idrosfera, definita “criosfera”, è composta principalmente dal ghiaccio marino, dalla neve, dai ghiacciai e dal ghiaccio contenuto nel permafrost. Secondo la definizione del Multi-language Glossary of Permafrost and Related Ground-Ice Terms della IPA (International Permafrost Association), il permafrost è un “qualsiasi terreno che rimane per almeno due anni consecutivi ad una temperatura pari o inferiore a 0°C”. Si tratta quindi di una condizione termica che può caratterizzare sia la roccia in posto, sia terreni e depositi sciolti di varia natura. Generalmente il permafrost contiene ghiaccio in varie forme e aggregazioni e in molti casi esso può costituire la percentuale maggiore del volume del suolo. La quantità di ghiaccio contenuto in un suolo interessato da permafrost è tuttavia molto variabile ed esso può addirittura non essere presente. In alcune situazioni il permafrost può non essere necessariamente congelato, in quanto l’acqua in esso contenuta può subire un abbassamento del punto di congelamento anche di diversi gradi sotto lo zero, ad esempio a causa della presenza di sali. In questa particolare situazione, un suolo interessato da permafrost può contenere considerevoli quantità di acqua in forma liquida. Si stima che il permafrost sia il componente della criosfera più diffuso nel mondo (oltre un quarto delle terre emerse del pianeta ne è interessato), ma è anche il meno visibile. E’ distribuito sul nostro pianeta in due distinte e spesso sovrapposte regioni geografiche: alle alte latitudini (permafrost polare) e alle quote elevate delle medie e basse latitudini (permafrost alpino o montano). Nelle zone montane, come per esempio nei rilievi italiani, la distribuzione del permafrost è prevalentemente di tipo discontinuo o sporadico. Nel territorio italiano la conoscenza sulla sua distribuzione è limitata; poco conosciuto è soprattutto il suo spessore ed il regime termico. Elevata probabilità di trovare permafrost si ha nel tratto centro occidentale della catena alpina, a quote comprese tra i 2000 ed i 3200 m. In questa fascia altimetrica la sua presenza è discontinua, mentre a quote superiori assume maggior continuità. Localmente, in particolari condizioni ambientali, piccoli corpi di permafrost possono scendere fino a 1700-1900 m di quota. Lo spessore si aggira in media intorno ai 20 m, ma si stima che possa raggiungere localmente valori anche superiori a 100 m (200 m nei pressi del M. Livrio al Passo dello Stelvio). La parte più superficiale di un terreno interessato da permafrost va incontro ogni anno a cicli di fusione e congelamento ed è definita strato attivo (Fig. 1). Sotto la tavola del permafrost, la temperatura è perennemente inferiore a 0°C e normalmente il terreno è congelato. Al di sotto di una certa profondità, le variazioni annuali di temperatura si annullano e i profili della temperatura massima e minima tendono a congiungersi. Il punto ove la variazione annuale di temperatura è inferiore a 0,1°C viene definito Depth of Zero Annual Amplitude (ZAA). Tale profondità può variare fra 10 e 20 m, a seconda delle condizioni del clima e del suolo. Al di sotto della ZAA, la temperatura del suolo subisce un progressivo incremento con la profondità a causa del calore geotermico. Il punto nel quale tale incremento raggiunge gli 0°C è definito base del permafrost; qui si individua la separazione tra il terreno perennemente congelato e quello non congelato. La distribuzione del permafrost è legata, oltre che alla temperatura media annua, all’insolazione dei versanti, alla distribuzione, durata e profondità del manto nevoso e alle caratteristiche del substrato. Le condizioni climatiche che regolano la presenza di permafrost in ambiente montano sono definite, a scala regionale, da diversi parametri. Uno dei più noti modelli della criosfera, ad esempio, definisce la potenziale fascia di esistenza del permafrost in ambiente alpino in base alla temperatura e alle precipitazioni medie annue (Fig. 2). Nelle Alpi, la diffusione del permafrost è potenzialmente favorita nei settori centrali della catena, caratterizzati da un clima più secco, mentre nei settori più esterni, caratterizzati da condizioni climatiche più umide, nelle stesse fasce altimetriche è favorita la formazione di ghiacciai.
2008
Atlante tematico delle Acque d'Italia
8887822549
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2270929
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