Nella sua stagione prima, l’incardinamento legislativo e amministrativo della tutela post-unitaria, patisce la cesura della Grande guerra. Le riforme Rava-Ricci-Rosadi, infatti, con l’istituzione delle soprintendenze e l’avvio della catalogazione, ricevono dall’esperienza frontale della distruzione sollecitazioni straordinarie: la conservazione – prassi e sostanza significante – ne esce pregna di nuove potenzialità, che diverranno esplicite nel tempo lungo del vissuto nazionale e che, oggi, questo volume ha il merito di voler presentare/comporre nella loro naturale convergenza. L’evento, in sé catastrofico, della conflagrazione europea, spinge di fatto all’estremo la problematizzazione di modi, tempi e possibili usi delle pratiche di protezione, nel bene e nel male. Vale a dire che se da un lato costringe gli operatori del settore a misurarsi con la complessità di un territorio diseguale, soprattutto segnato dalla sperequazione fra centro e periferie, dall’altro rende le opere d’arte e le stesse manovre di salvataggio disponibili a un uso intimamente ideologico. Il che, se vogliamo, segna definitivamente il passaggio da una visione intuitivamente amministrativa del patrimonio, a una visione politicamente complicata, destinata a costituirsi come parte non irrilevante del nostro sistema delle arti. Il saggio rileva questa stagione a partire dalla campagna interventista (a ridosso dei primi cannoneggiamenti sulla cattedrale di Reims), per spostarsi in seconda battuta sull’operato del Ugo Ojetti, arruolato e destinato a coordinare i rapporti tra Comando Supremo e Ministero della Pubblica istruzione, con particolare attenzione alla Direzione Generale delle Belle Arti e delle Sovrintendenze dei Monumenti. Ne definisce le attività svolte nel Veneto orientale, con destinazione locale o nazionale. Ad esempio sonda natura ed effetti di provvedimenti quali l’Ordinanza Cadorna (31 agosto 1915) che riconduce alla norma della tutela italiana, tutti i beni artistici dei territori riconquistati. Essa vieta (anche retroattivamente, sino al 24 maggio 1915) l’alienazione delle “cose immobili e mobili che nei territori occupati dal R. Esercito abbiano interesse artistico, storico, archeologico o paletnologico”; proibisce inoltre di rimuovere alcunché “da musei, quadrerie, archivi pubblici e privati e in genere da raccolte di storia, d’arte e di coltura”; ma soprattutto impedisce scavi, spostamenti, restauri e manomissioni di qualsiasi genere, senza previa autorizzazione del Segretario generale per gli Affari civili. Infine conferisce alle autorità civili e militari facoltà di sequestrare oggetti di qualche interesse artistico o archivistico. Il saggio inoltre ripercorre le attività svolte da Ojetti sul campo, cercando di evidenziarne l’eventuale stabile profitto per il futuro della tutela, in tempo di pace. Il suo passaggio dalla piazza d’armi veneziana ad Aquileja a Possagno – scivolando su Gorgo, Villa Soderini e la stessa Padova – chiarisce infatti la progressiva acquisizione del territorio triveneto alla cultura della conservazione e, per converso, l’arricchimento tematico, tecnico e logistico che, a questa stessa cultura, simile processo inclusivo impone. L’opera d’arte, inserita in contesti bellici, patisce sì l’alterazione delle proprie coordinate referenziali, ma non senza propagarne la mutazione: il che può implicare semplici variazioni valutative e/o, come in questo caso, una trasformazione permanente nel funzionamento del sistema delle arti. Una assunzione di responsabilità – drammatica e perciò, finalmente, divisata in dettaglio – rispetto alle aree periferiche, nonché alle loro specificità, che diverrà prassi organizzativa nel futuro postbellico delle Soprintendenze.

"E' logico pretendere che nella linea del fuoco l'esercito distolga pur un uomo o una trave o un sacco di terra per riparare dai proiettili dei nemici un altare, un portale, una lapide? Pure anche questo il nostro esercito ha fatto..."

NEZZO, MARTA
2008

Abstract

Nella sua stagione prima, l’incardinamento legislativo e amministrativo della tutela post-unitaria, patisce la cesura della Grande guerra. Le riforme Rava-Ricci-Rosadi, infatti, con l’istituzione delle soprintendenze e l’avvio della catalogazione, ricevono dall’esperienza frontale della distruzione sollecitazioni straordinarie: la conservazione – prassi e sostanza significante – ne esce pregna di nuove potenzialità, che diverranno esplicite nel tempo lungo del vissuto nazionale e che, oggi, questo volume ha il merito di voler presentare/comporre nella loro naturale convergenza. L’evento, in sé catastrofico, della conflagrazione europea, spinge di fatto all’estremo la problematizzazione di modi, tempi e possibili usi delle pratiche di protezione, nel bene e nel male. Vale a dire che se da un lato costringe gli operatori del settore a misurarsi con la complessità di un territorio diseguale, soprattutto segnato dalla sperequazione fra centro e periferie, dall’altro rende le opere d’arte e le stesse manovre di salvataggio disponibili a un uso intimamente ideologico. Il che, se vogliamo, segna definitivamente il passaggio da una visione intuitivamente amministrativa del patrimonio, a una visione politicamente complicata, destinata a costituirsi come parte non irrilevante del nostro sistema delle arti. Il saggio rileva questa stagione a partire dalla campagna interventista (a ridosso dei primi cannoneggiamenti sulla cattedrale di Reims), per spostarsi in seconda battuta sull’operato del Ugo Ojetti, arruolato e destinato a coordinare i rapporti tra Comando Supremo e Ministero della Pubblica istruzione, con particolare attenzione alla Direzione Generale delle Belle Arti e delle Sovrintendenze dei Monumenti. Ne definisce le attività svolte nel Veneto orientale, con destinazione locale o nazionale. Ad esempio sonda natura ed effetti di provvedimenti quali l’Ordinanza Cadorna (31 agosto 1915) che riconduce alla norma della tutela italiana, tutti i beni artistici dei territori riconquistati. Essa vieta (anche retroattivamente, sino al 24 maggio 1915) l’alienazione delle “cose immobili e mobili che nei territori occupati dal R. Esercito abbiano interesse artistico, storico, archeologico o paletnologico”; proibisce inoltre di rimuovere alcunché “da musei, quadrerie, archivi pubblici e privati e in genere da raccolte di storia, d’arte e di coltura”; ma soprattutto impedisce scavi, spostamenti, restauri e manomissioni di qualsiasi genere, senza previa autorizzazione del Segretario generale per gli Affari civili. Infine conferisce alle autorità civili e militari facoltà di sequestrare oggetti di qualche interesse artistico o archivistico. Il saggio inoltre ripercorre le attività svolte da Ojetti sul campo, cercando di evidenziarne l’eventuale stabile profitto per il futuro della tutela, in tempo di pace. Il suo passaggio dalla piazza d’armi veneziana ad Aquileja a Possagno – scivolando su Gorgo, Villa Soderini e la stessa Padova – chiarisce infatti la progressiva acquisizione del territorio triveneto alla cultura della conservazione e, per converso, l’arricchimento tematico, tecnico e logistico che, a questa stessa cultura, simile processo inclusivo impone. L’opera d’arte, inserita in contesti bellici, patisce sì l’alterazione delle proprie coordinate referenziali, ma non senza propagarne la mutazione: il che può implicare semplici variazioni valutative e/o, come in questo caso, una trasformazione permanente nel funzionamento del sistema delle arti. Una assunzione di responsabilità – drammatica e perciò, finalmente, divisata in dettaglio – rispetto alle aree periferiche, nonché alle loro specificità, che diverrà prassi organizzativa nel futuro postbellico delle Soprintendenze.
2008
La memoria della prima guerra mondiale: il patrimonio storico-artistico tra tutela e valorizzazione
9788863220209
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2271356
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