Questo saggio nasce dall’occasione offerta da una rivista tedesca che pubblica saggi monografici in lingua tedesca o in inglese. Lo spazio concesso ha permesso di sviluppare un lungo discorso sull’antipolitica sintetizzante una intera ricerca. La ricerca era stata cominciata per partecipare a un seminario organizzato all’Istituto Universitario Europeo di Firenze sul tema dell’antipolitica e dei movimenti politici Europei (in particolare mi era stato chiesto di illustrare le differenti definizioni ed usi dei concetti di antipolitica per arrivare, se possibile, a una definizione comune). Il lavoro di scavo sull’uso, con riferimento a vari studiosi o personaggi politici definiti antipolitici era risultata talmente complessa che il testo era diventato troppo complesso, prima che lungo, per poter essere frazionato in più saggi da presentare a più riviste. La pubblicazione su una rivista che pubblica monografie è sembrata la soluzione più opportuna in attesa di completare le altre parti della ricerca (sull’uso dei concetti di antipolitica, partitocrazia e populismo negli U.S.A. nel periodo di maggiore denuncia della corruzione politica – 1865/1915 - e della comparsa dei movimenti antisistema – il risultato è, poi, stato la formazione dei cosiddetti “partiti costituenti”; sul mancato uso di questi concetti nello stesso periodo in Italia – 1870/1900 - caratterizzato da analoghe denunce di corruzione rivolte alla classe politica). L’opera si configura come una riflessione di filosofia politica. La domanda di ricerca a cui cerca di rispondere è la seguente: come gestire i tanti significati del termine antipolitica? I tre significati prevalenti sono: 1) un uso stigmatico del termine che condivide con i termini populismo e qualunquismo considerati come sinonimi; 2) un uso filosofico del termine che condivide con il termine impolitico (antipolitico è il termine usato da Nietzsche; unpolitisch, tradotto come non-politico o impolitico è il termine usato da Mann; apolitico è il termine usato da Arendt e così via); 3) un uso con riferimento alla dialettica hegeliana che porta ad usare il termine per i no-global (ma questi preferiscono definire la loro azione non antipolitica, ma altra-politica). 4) l’uso del termine per indicare particolari aspetti della democrazia (Donolo, Lefort, etc.). nella seconda parte dello scritto si cerca di fornire una nuova definizione del concetto e di enucleare una storia dell’uso del concetto nella storia della riflessione politica in Italia (da Machiavelli a oggi). La tesi è quella di dimostrare che, rispetto alla loro epoca, ma non rispetto ai tempi successivi, i maggiori filosofi della politica italiana (Machiavelli e Vico), i maggiori poeti (Leopardi e Montale), i maggiori scienziati della politica (Pareto) sono stati in qualche loro opera ferocemente antipolitici (ma da essi è nata la politica delle generazioni successive). Varie considerazioni sono fatte sui politici di professione, a volte definiti antipolitici, altre volte da definire antipolitici per un qualcosa che li accomuna e che nel saggio non viene ancora individuato. Tuttavia, il concetto sul quale lavorare per distinguere gli antipolitici di oggi che diventano i costruttori della politica di domani dagli antipolitici che non costruiscono alcun domani è individuato nel concetto di “seconda barbarie”. L’intuizione vien lasciata solo in forma non articolata e argomentata. Il risultato maggiore di questa prima fase della ricerca è stata la necessità di seguire tre diversi e separati filoni di ricerca: lo studio di tre movimenti collettivi degli U.S.A., influenzati dal populismo nel periodo 1865-1915, da realizzarsi sulle riviste scientifiche americane del tempo; lo studio del rapporto tra cultura e società (secondo la trattazione che ne ha fatto Giulio Preti, nell’ultimo capitolo del volume Praxis e empirismo) contrapposto allo studio del rapporto tra Cultura e Politica (titolo di un volume di Norberto Bobbio); la necessità di stabilire un rapporto con i precedenti studi sulla concezione della democrazia di Mario Dal Pra e Silvio Trentin, vista come contrapposta a quella di Bobbio e Giovanni Sartori. Nella concezione della democrazia dei precedenti autori, non trova alcuno spazio la nozione di antipolitica che trova, invece, uno spazio eccessivo tra gli allievi di Bobbio e Sartori e comunque tra gli scienziati europei della politica. In relazione alle differenti visioni paradigmatiche che caratterizzano la scienza politica attuale, il saggio si pone l’obiettivo di confrontarsi con un pubblico internazionale interessato a problematizzare il discorso politico sulla democrazia, sul federalismo e sull’antipolitica e impegnato in un dialogo critico sulle scelte paradigmatiche fondanti la “scienza politica tradizionale” (con riferimento alla tradizione italiana, ad esempio, Norberto Bobbio e i suoi allievi, Sartori e i suoi allievi). Rispetto a democrazia (analizzata solo per ciò che succede dentro il rapporto “Cultura e Politica”, da un famoso volume di Bobbio, e non dentro il rapporto “Società e Cultura”, dal titolo del capitolo conclusivo di un famoso libro di Giulio Preti – Praxis e empirismo), federalismo (ignorato o identificato con il decentramento territoriale) e antipolitica (stigmatizzato sempre, e non con dei distinguo), l’obiettivo è stato quello di realizzare delle ricerche su materiale politologico trascurato dagli scienziati politici italiani (la pubblicistica politica italiana in volumi dal 1799 al presente). La strategia è quella di costruirsi un pubblico con cui confrontarsi per ri-strutturare il proprio discorso scientifico. Questo obiettivo è sempre in corso di realizzazione attraverso vari percorsi: 1) fondare una propria rivista (Foedus che esiste ormai da 12 anni) da far arrivare a un pubblico italiano e straniero (la rivista pubblica anche saggi in inglese di autori stranieri) e in cui pubblicare saggi per opere che non rientrano negli standard di una rivista come la Rivista Italiana di Scienza Politica (esempio un saggio a quattro mani in inglese sulle metafore, presentato alla conferenza annuale della International Society for Political Psychology; esempio, la pubblicazione di tre diverse ricerche parziali, una per anno, sul tema della partecipazione, in attesa di concludere le cinque parti della ricerca e pubblicare un volume; etc.); 2) partecipare a convegni internazionali di discipline vicine, per qualche aspetto, alla scienza politica (esempio, partecipare alla costituzione di una rete internazionale come REGIMEN, Réseau d’Etudes sur la Globalisation et la Gouvernance Internationale et les Mutations de l’Etat et des Nations; etc.); 3) pubblicare in italiano e in altre lingue saggi che ri-strutturano questo o quell’aspetto della propria proposta paradigmatica approfittando delle richieste che provengono da colleghi incontrati nei convegni a cui si viene invitati come relatori (per esempio, una ricerca sui più noti “antipolitici” italiani da Machiavelli a oggi); 4) pubblicare solo su proposte editoriali che dispongono di un proprio pubblico di lettori (cosa che si riconosce dal fatto che non viene richiesto alcun contributo alla pubblicazione del volume – a queste condizioni, ho pubblicato sei antologie più una curatela sulla collana Nuovo Millennio della Gangemi Editori di Roma e una antologia, inviata come strenna natalizia, per la Giuffré Editore, etc.).

Italian Antipolitics as a long run Question: "Bad Civil Societies" or "Bad Elites"?

GANGEMI, GIUSEPPE
2008

Abstract

Questo saggio nasce dall’occasione offerta da una rivista tedesca che pubblica saggi monografici in lingua tedesca o in inglese. Lo spazio concesso ha permesso di sviluppare un lungo discorso sull’antipolitica sintetizzante una intera ricerca. La ricerca era stata cominciata per partecipare a un seminario organizzato all’Istituto Universitario Europeo di Firenze sul tema dell’antipolitica e dei movimenti politici Europei (in particolare mi era stato chiesto di illustrare le differenti definizioni ed usi dei concetti di antipolitica per arrivare, se possibile, a una definizione comune). Il lavoro di scavo sull’uso, con riferimento a vari studiosi o personaggi politici definiti antipolitici era risultata talmente complessa che il testo era diventato troppo complesso, prima che lungo, per poter essere frazionato in più saggi da presentare a più riviste. La pubblicazione su una rivista che pubblica monografie è sembrata la soluzione più opportuna in attesa di completare le altre parti della ricerca (sull’uso dei concetti di antipolitica, partitocrazia e populismo negli U.S.A. nel periodo di maggiore denuncia della corruzione politica – 1865/1915 - e della comparsa dei movimenti antisistema – il risultato è, poi, stato la formazione dei cosiddetti “partiti costituenti”; sul mancato uso di questi concetti nello stesso periodo in Italia – 1870/1900 - caratterizzato da analoghe denunce di corruzione rivolte alla classe politica). L’opera si configura come una riflessione di filosofia politica. La domanda di ricerca a cui cerca di rispondere è la seguente: come gestire i tanti significati del termine antipolitica? I tre significati prevalenti sono: 1) un uso stigmatico del termine che condivide con i termini populismo e qualunquismo considerati come sinonimi; 2) un uso filosofico del termine che condivide con il termine impolitico (antipolitico è il termine usato da Nietzsche; unpolitisch, tradotto come non-politico o impolitico è il termine usato da Mann; apolitico è il termine usato da Arendt e così via); 3) un uso con riferimento alla dialettica hegeliana che porta ad usare il termine per i no-global (ma questi preferiscono definire la loro azione non antipolitica, ma altra-politica). 4) l’uso del termine per indicare particolari aspetti della democrazia (Donolo, Lefort, etc.). nella seconda parte dello scritto si cerca di fornire una nuova definizione del concetto e di enucleare una storia dell’uso del concetto nella storia della riflessione politica in Italia (da Machiavelli a oggi). La tesi è quella di dimostrare che, rispetto alla loro epoca, ma non rispetto ai tempi successivi, i maggiori filosofi della politica italiana (Machiavelli e Vico), i maggiori poeti (Leopardi e Montale), i maggiori scienziati della politica (Pareto) sono stati in qualche loro opera ferocemente antipolitici (ma da essi è nata la politica delle generazioni successive). Varie considerazioni sono fatte sui politici di professione, a volte definiti antipolitici, altre volte da definire antipolitici per un qualcosa che li accomuna e che nel saggio non viene ancora individuato. Tuttavia, il concetto sul quale lavorare per distinguere gli antipolitici di oggi che diventano i costruttori della politica di domani dagli antipolitici che non costruiscono alcun domani è individuato nel concetto di “seconda barbarie”. L’intuizione vien lasciata solo in forma non articolata e argomentata. Il risultato maggiore di questa prima fase della ricerca è stata la necessità di seguire tre diversi e separati filoni di ricerca: lo studio di tre movimenti collettivi degli U.S.A., influenzati dal populismo nel periodo 1865-1915, da realizzarsi sulle riviste scientifiche americane del tempo; lo studio del rapporto tra cultura e società (secondo la trattazione che ne ha fatto Giulio Preti, nell’ultimo capitolo del volume Praxis e empirismo) contrapposto allo studio del rapporto tra Cultura e Politica (titolo di un volume di Norberto Bobbio); la necessità di stabilire un rapporto con i precedenti studi sulla concezione della democrazia di Mario Dal Pra e Silvio Trentin, vista come contrapposta a quella di Bobbio e Giovanni Sartori. Nella concezione della democrazia dei precedenti autori, non trova alcuno spazio la nozione di antipolitica che trova, invece, uno spazio eccessivo tra gli allievi di Bobbio e Sartori e comunque tra gli scienziati europei della politica. In relazione alle differenti visioni paradigmatiche che caratterizzano la scienza politica attuale, il saggio si pone l’obiettivo di confrontarsi con un pubblico internazionale interessato a problematizzare il discorso politico sulla democrazia, sul federalismo e sull’antipolitica e impegnato in un dialogo critico sulle scelte paradigmatiche fondanti la “scienza politica tradizionale” (con riferimento alla tradizione italiana, ad esempio, Norberto Bobbio e i suoi allievi, Sartori e i suoi allievi). Rispetto a democrazia (analizzata solo per ciò che succede dentro il rapporto “Cultura e Politica”, da un famoso volume di Bobbio, e non dentro il rapporto “Società e Cultura”, dal titolo del capitolo conclusivo di un famoso libro di Giulio Preti – Praxis e empirismo), federalismo (ignorato o identificato con il decentramento territoriale) e antipolitica (stigmatizzato sempre, e non con dei distinguo), l’obiettivo è stato quello di realizzare delle ricerche su materiale politologico trascurato dagli scienziati politici italiani (la pubblicistica politica italiana in volumi dal 1799 al presente). La strategia è quella di costruirsi un pubblico con cui confrontarsi per ri-strutturare il proprio discorso scientifico. Questo obiettivo è sempre in corso di realizzazione attraverso vari percorsi: 1) fondare una propria rivista (Foedus che esiste ormai da 12 anni) da far arrivare a un pubblico italiano e straniero (la rivista pubblica anche saggi in inglese di autori stranieri) e in cui pubblicare saggi per opere che non rientrano negli standard di una rivista come la Rivista Italiana di Scienza Politica (esempio un saggio a quattro mani in inglese sulle metafore, presentato alla conferenza annuale della International Society for Political Psychology; esempio, la pubblicazione di tre diverse ricerche parziali, una per anno, sul tema della partecipazione, in attesa di concludere le cinque parti della ricerca e pubblicare un volume; etc.); 2) partecipare a convegni internazionali di discipline vicine, per qualche aspetto, alla scienza politica (esempio, partecipare alla costituzione di una rete internazionale come REGIMEN, Réseau d’Etudes sur la Globalisation et la Gouvernance Internationale et les Mutations de l’Etat et des Nations; etc.); 3) pubblicare in italiano e in altre lingue saggi che ri-strutturano questo o quell’aspetto della propria proposta paradigmatica approfittando delle richieste che provengono da colleghi incontrati nei convegni a cui si viene invitati come relatori (per esempio, una ricerca sui più noti “antipolitici” italiani da Machiavelli a oggi); 4) pubblicare solo su proposte editoriali che dispongono di un proprio pubblico di lettori (cosa che si riconosce dal fatto che non viene richiesto alcun contributo alla pubblicazione del volume – a queste condizioni, ho pubblicato sei antologie più una curatela sulla collana Nuovo Millennio della Gangemi Editori di Roma e una antologia, inviata come strenna natalizia, per la Giuffré Editore, etc.).
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