Degli innumerevoli aspetti, meritevoli di analisi, che offre la English law of arbitration, la monografia sviluppa due temi centrali nella dogmatica relativa all’istituto arbitrale: quelli attinenti alla natura dell’arbitrato e all’imparzialità dell’arbitro. Le ragioni che hanno indotto l’A. ad intessere la ricerca su questa duplice trama originano, da un lato, dall’interesse che il giurista continentale, e in ispecie quello italiano, riserva alle questioni della qualificazione del patto compromissorio e dell’efficacia da riconoscere al lodo; dall’altro lato, traggono fondamento dal fatto che la terzietà dell’arbitro costituisce un principio universalmente riconosciuto come essenziale per il funzionamento dell’arbitrato, ma al contempo di problematica realizzazione. Per quanto concerne il primo tema di studio, il diritto inglese contempla, per l’esecuzione del lodo, due differenti tipologie di rimedi, operanti l’uno sul piano giurisdizionale, l’altro sul versante negoziale. Siffatta soluzione, che attribuisce una valenza “bifronte” al patto compromissorio, pare non dissimile da quella che caratterizza il sistema italiano, nel quale hanno trovato origine i due contigui fenomeni dell’arbitrato rituale e dell’arbitrato libero e ove, da anni, gli assertori della funzione giurisdizionale e i fautori della teoria negozialista si contendono il campo della disputa teorica sull’essenza della figura. La giurisprudenza inglese, che solo di rado e “incidentalmente” si è soffermata a disquisire della natura dell’istituto, postula la fruttuosa convivenza delle differenti azioni apprestate dall’ordinamento, di matrice contrattuale e paragiudiziale, al fine di garantire – con le diversificate utilità che ciascuna di esse è in grado di fornire – gli effetti propri della convenzione compromissoria. E della riuscita pratica di questa opzione, che non tradisce, secondo i giudici inglesi, alcuna intima contraddizione, è testimone la fiorente esperienza che l’arbitrato vive in tale ordinamento. Proprio alla luce di simili considerazioni e con lo specifico obiettivo di indagare le ragioni della “diversità” del diritto arbitrale inglese, anche in vista della lettura ermeneutica di molte delle novità introdotte dal legislatore italiano con la riforma del d.lgs. n. 40 del 2006, l’A. ricostruisce l’evoluzione storica della disciplina dell’arbitration, dedicando attenzione alla distinzione dalle figure liminari della expert determination, della valuation e della certification e, soprattutto, analizzando in chiave comparatistica i contributi giurisprudenziali e dottrinali elaborati in merito alla valenza del patto compromissorio, alla rilevanza della contemporanea pendenza di un arbitrato e di una causa instaurata dinanzi il giudice civile (anche straniero) sulla medesima lite, all’efficacia del lodo e al suo regime impugnatorio, nonché ai rapporti tra l’arbitrato e la Convenzione dei diritti dell’uomo, così come regolamentati dal peculiare meccanismo di recezione dello Human Rights Act 1998. La ricerca condotta sul secondo versante dell’imparzialità dell’arbitro concerne, in primo luogo, la querelle, particolarmente vivace, scatenatasi in seno alla giurisprudenza inglese sul problema relativo all’attuazione del principio di terzietà degli arbitri (che si è radicalizzata nella contrapposizione tra i criteri della «reale probabilità» e del «ragionevole sospetto» di parzialità), per poi concentrarsi sulla rilevanza che in concreto viene assegnata alla regola di equidistanza in relazione sia al momento iniziale della costituzione dell’organo arbitrale, sia nelle successive fasi di attuazione del contraddittorio e di deliberazione del lodo. Il raffronto tra le scelte operate dal diritto inglese e quelle attuate dai principali ordinamenti europei porta così alla luce alcune “peculiarità” (quali le figure dell’umpire e dell’arbitrator/advocate, la trasformazione dell’arbitro nominato da uno solo dei contendenti in arbitro unico, la possibilità di collegi arbitrali costituiti da un numero pari di membri), che tendenzialmente non si allineano – vuoi per la spiccata prevalenza talora accordata all’interesse alla celerità del procedimento, vuoi per l’accoglimento di differenti premesse di fondo – con gli ordinamenti continentali: su di esse l’A. si sofferma, esaminandone, in particolare, la compatibilità con il sistema di circolazione extramunicipale dei lodi della Convenzione di New York del 1958.

L'arbitrato nel diritto inglese.Studio comparatistico sulla natura dell'arbitrato e sull'imparzialità dell'arbitro in Inghilterra.

ZUFFI, BEATRICE
2008

Abstract

Degli innumerevoli aspetti, meritevoli di analisi, che offre la English law of arbitration, la monografia sviluppa due temi centrali nella dogmatica relativa all’istituto arbitrale: quelli attinenti alla natura dell’arbitrato e all’imparzialità dell’arbitro. Le ragioni che hanno indotto l’A. ad intessere la ricerca su questa duplice trama originano, da un lato, dall’interesse che il giurista continentale, e in ispecie quello italiano, riserva alle questioni della qualificazione del patto compromissorio e dell’efficacia da riconoscere al lodo; dall’altro lato, traggono fondamento dal fatto che la terzietà dell’arbitro costituisce un principio universalmente riconosciuto come essenziale per il funzionamento dell’arbitrato, ma al contempo di problematica realizzazione. Per quanto concerne il primo tema di studio, il diritto inglese contempla, per l’esecuzione del lodo, due differenti tipologie di rimedi, operanti l’uno sul piano giurisdizionale, l’altro sul versante negoziale. Siffatta soluzione, che attribuisce una valenza “bifronte” al patto compromissorio, pare non dissimile da quella che caratterizza il sistema italiano, nel quale hanno trovato origine i due contigui fenomeni dell’arbitrato rituale e dell’arbitrato libero e ove, da anni, gli assertori della funzione giurisdizionale e i fautori della teoria negozialista si contendono il campo della disputa teorica sull’essenza della figura. La giurisprudenza inglese, che solo di rado e “incidentalmente” si è soffermata a disquisire della natura dell’istituto, postula la fruttuosa convivenza delle differenti azioni apprestate dall’ordinamento, di matrice contrattuale e paragiudiziale, al fine di garantire – con le diversificate utilità che ciascuna di esse è in grado di fornire – gli effetti propri della convenzione compromissoria. E della riuscita pratica di questa opzione, che non tradisce, secondo i giudici inglesi, alcuna intima contraddizione, è testimone la fiorente esperienza che l’arbitrato vive in tale ordinamento. Proprio alla luce di simili considerazioni e con lo specifico obiettivo di indagare le ragioni della “diversità” del diritto arbitrale inglese, anche in vista della lettura ermeneutica di molte delle novità introdotte dal legislatore italiano con la riforma del d.lgs. n. 40 del 2006, l’A. ricostruisce l’evoluzione storica della disciplina dell’arbitration, dedicando attenzione alla distinzione dalle figure liminari della expert determination, della valuation e della certification e, soprattutto, analizzando in chiave comparatistica i contributi giurisprudenziali e dottrinali elaborati in merito alla valenza del patto compromissorio, alla rilevanza della contemporanea pendenza di un arbitrato e di una causa instaurata dinanzi il giudice civile (anche straniero) sulla medesima lite, all’efficacia del lodo e al suo regime impugnatorio, nonché ai rapporti tra l’arbitrato e la Convenzione dei diritti dell’uomo, così come regolamentati dal peculiare meccanismo di recezione dello Human Rights Act 1998. La ricerca condotta sul secondo versante dell’imparzialità dell’arbitro concerne, in primo luogo, la querelle, particolarmente vivace, scatenatasi in seno alla giurisprudenza inglese sul problema relativo all’attuazione del principio di terzietà degli arbitri (che si è radicalizzata nella contrapposizione tra i criteri della «reale probabilità» e del «ragionevole sospetto» di parzialità), per poi concentrarsi sulla rilevanza che in concreto viene assegnata alla regola di equidistanza in relazione sia al momento iniziale della costituzione dell’organo arbitrale, sia nelle successive fasi di attuazione del contraddittorio e di deliberazione del lodo. Il raffronto tra le scelte operate dal diritto inglese e quelle attuate dai principali ordinamenti europei porta così alla luce alcune “peculiarità” (quali le figure dell’umpire e dell’arbitrator/advocate, la trasformazione dell’arbitro nominato da uno solo dei contendenti in arbitro unico, la possibilità di collegi arbitrali costituiti da un numero pari di membri), che tendenzialmente non si allineano – vuoi per la spiccata prevalenza talora accordata all’interesse alla celerità del procedimento, vuoi per l’accoglimento di differenti premesse di fondo – con gli ordinamenti continentali: su di esse l’A. si sofferma, esaminandone, in particolare, la compatibilità con il sistema di circolazione extramunicipale dei lodi della Convenzione di New York del 1958.
2008
9788834877913
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2272047
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