L'aspetto di originalità della monografia consiste nel tratteggiare in modo inedito la differenza tra due categorie di regole probatorie sulla base delle loro caratteristiche strutturali e non delle loro finalità, come invece la maggiornanza degli studiosi tende a fare. Il lavoro prende le mosse dalla circostanza che, di fronte ad una prova cognitivamente sospetta, oppure in grado, se utilizzata senza alcuna limitazione, di pregiudicare valori di fondamentale importanza si pone per il legislatore una netta alternativa: sottoporre la medesima ad una “regola di esclusione”, vietandone in toto l’impiego, oppure prevederne in astratto il valore conoscitivo attraverso una “regola di valutazione”. Non sempre si colgono le specificità e le differenze di queste due tipologie di regole probatorie. Al di là degli scopi che esse, di volta in volta, specificamente si propongono, i loro tratti distintivi corrono lungo il crinale della rispettiva conformazione: alla struttura rigida che connota le regole di esclusione previste nel sistema italiano, volta a consentire un’immediata e precisa individuazione delle prove vietate, fa da contrappunto la struttura flessibile che contrassegna le regole di valutazione, tale da non impedire che il valore delle prove stigmatizzate sia, in realtà, stabilito dal giudice, anche in contrasto con i risultati prefissati dal legislatore. Queste differenze a loro volta si ripercuotono sul piano della violazione delle regole di esclusione e di valutazione, della loro successione nel tempo e della loro efficacia dello spazio. L’esame delle reciproche fisionomie consente, inoltre, di formulare una decisa opzione di politica legislativa a favore delle regole di esclusione: la perdita degli elementi conoscitivi che queste ultime determinano appare preferibile all’aumento del tasso di discrezionalità giudiziale che le regole di valutazione, inevitabilmente, sono destinate a favorire.

Regole di esclusione e regole di valutazione della prova

DANIELE, MARCELLO
2009

Abstract

L'aspetto di originalità della monografia consiste nel tratteggiare in modo inedito la differenza tra due categorie di regole probatorie sulla base delle loro caratteristiche strutturali e non delle loro finalità, come invece la maggiornanza degli studiosi tende a fare. Il lavoro prende le mosse dalla circostanza che, di fronte ad una prova cognitivamente sospetta, oppure in grado, se utilizzata senza alcuna limitazione, di pregiudicare valori di fondamentale importanza si pone per il legislatore una netta alternativa: sottoporre la medesima ad una “regola di esclusione”, vietandone in toto l’impiego, oppure prevederne in astratto il valore conoscitivo attraverso una “regola di valutazione”. Non sempre si colgono le specificità e le differenze di queste due tipologie di regole probatorie. Al di là degli scopi che esse, di volta in volta, specificamente si propongono, i loro tratti distintivi corrono lungo il crinale della rispettiva conformazione: alla struttura rigida che connota le regole di esclusione previste nel sistema italiano, volta a consentire un’immediata e precisa individuazione delle prove vietate, fa da contrappunto la struttura flessibile che contrassegna le regole di valutazione, tale da non impedire che il valore delle prove stigmatizzate sia, in realtà, stabilito dal giudice, anche in contrasto con i risultati prefissati dal legislatore. Queste differenze a loro volta si ripercuotono sul piano della violazione delle regole di esclusione e di valutazione, della loro successione nel tempo e della loro efficacia dello spazio. L’esame delle reciproche fisionomie consente, inoltre, di formulare una decisa opzione di politica legislativa a favore delle regole di esclusione: la perdita degli elementi conoscitivi che queste ultime determinano appare preferibile all’aumento del tasso di discrezionalità giudiziale che le regole di valutazione, inevitabilmente, sono destinate a favorire.
2009
9788834896952
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