L'articolo cerca di porre in dubbio un orientamento che, nel 2009, era consolidato, cioè quello secondo il quale l’annullamento della legge applicata dall’atto amministrativo produce sempre l’illegittimità (e mai la nullità) dell’atto stesso, per cui la mancata impugnazione di un atto amministrativo implica sempre la formazione di un “rapporto esaurito”, qualsiasi sia il rapporto tra l'atto e la legge annullata. Si argomenta, invece, la tesi secondo la quale è possibile distinguere tra la caducazione di norme che costituiscono il fondamento dei poteri esercitati dall’amministrazione (nel qual caso, la retroattività della sentenza implicherebbe la nullità sopravvenuta ma... originaria dell'atto amministrativo, invocabile oltre il termine di decadenza) e quella di norme che, invece, si limitano a disciplinare l’esercizio di attribuzioni fondate su diverse basi normative (nel qual caso, l'atto sarebbe affetto da illegittimità derivata e, in caso di mancata impugnazione, sarebbe ormai inoppugnabile). Si parte con un'analisi approfondita della sentenza “capostipite” di tale orientamento, cioè Cons. Stato, adun. plenaria, n. 8/1963, sottoponendo a critica gli argomenti giuridici e quelli “pratici” posti alla sua base ed evidenziando l'erroneità della sua conclusione. Si esamina poi la giurisprudenza successiva (amministrativa e della Cassazione), che ha confermato l'orientamento dell'Adunanza plenaria del 1963, senza aggiungere altri argomenti. Si evidenzia che un ulteriore elemento di debolezza della tesi dominante è la sua incoerenza con la teoria dell’invalidità caducante, in base alla quale, se l’atto presupposto è l’unico antecedente logico-giuridico dell’atto consequenziale, l’annullamento del primo genera un’invalidità caducante e non solo viziante dell’atto attuativo (e ciò implica, sul piano processuale, l’insussistenza di un onere di impugnativa). L’effetto caducante di cui parla la giurisprudenza corrisponde alla nullità “sopravvenuta ma originaria” ipotizzata in caso di annullamento della legge attributiva di potere. Si evidenzia, poi, che la ragione per cui la giurisprudenza amministrativa non ha considerato l'ipotesi dell'invalidità caducante per l'annullamento della legge si può forse far risalire a esigenza di tutela dei controinteressati: infatti, se l'atto non è stato impugnato davanti al giudice amministrativo, l'effetto caducante della sentenza della Corte potrebbe incidere sui soggetti che traggono beneficio dall'atto senza che essi abbiano avuto la possibilità di difendersi, dato che la Corte ammette l’intervento dei terzi nel giudizio in via incidentale in casi limitati (e, inoltre, i controinteressati non potrebbero neppure proporre opposizione di terzo contro la sentenza della Corte, che – come noto – non è impugnabile). Nel § 3 si analizzano i pochi spunti che la giurisprudenza costituzionale offre per il tema oggetto dell'articolo (in effetti, esso riguarda più i giudici comuni che la Corte). Nel § 4 si definiscono i casi in cui l’atto amministrativo può essere considerato nullo, a seguito dell’annullamento della legge posta alla sua base, approfondendo l'istituto della nullità degli atti amministrativi, nato in via giurisprudenziale e regolato poi dall'art. 21-septies l. 241/1990; in particolare, si affronta la questione se la nullità dell'atto sia configurabile solo se, dopo l'annullamento della legge, l'ente pubblico è privo del potere “in astratto” (nel senso che non può più adottare, in assoluto, l'atto in questione) o anche quando la sentenza di accoglimento lo priva del potere “in concreto”. Nel § 5 si svolgono le considerazioni conclusive. In primo luogo, si critica la dottrina costituzionalistica, secondo la quale la decadenza dal potere di impugnare un atto amministrativo è un esempio “classico” di rapporto “esaurito”, senza distinzioni a seconda del rapporto tra la legge annullata e l'atto applicativo. In realtà, l'esaurimento del rapporto non riguarda l'atto amministrativo in sé e per sé ma solo i vizi di legittimità dell'atto, non i vizi di nullità, essendo pacifico che questi possono essere fatti valere oltre il termine di decadenza. In sostanza, l'esaurimento del rapporto non va valutato prima della sentenza della Corte (accertando se l'atto è stato impugnato o no) ma dopo, verificando se la sentenza della Corte determina o meno la possibilità di contestare l'atto in giudizio. In secondo luogo, si cerca di dimostrare l'infondatezza delle ragioni “pratiche” e “ideologiche” a sostegno della tesi dominante. Le prime consistono nella convenienza di ottenere una pronuncia di annullamento dell'atto da parte del giudice amministrativo piuttosto che una pronuncia di rito (improcedibilità per difetto di interesse o declinatoria di giurisdizione): di esse si dimostra l'inconsistenza, fermo restando che gli inconvenienti pratici non dovrebbero condurre a disapplicare la disciplina positiva della nullità degli atti amministrativi. Le seconde consistono nella tradizionale “diffidenza” del giudice amministrativo verso la nullità degli atti amministrativi, vista come un ostacolo alla tutela degli interessi pubblici perseguiti dagli atti stessi. Vengono svolti diversi argomenti per dimostrare l'inaccettabilità della tesi che nega la nullità degli atti adottati nell'esercizio di un potere attribuito da una legge dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale. In senso conforme alla tesi sostenuta nell'articolo si è poi pronunciato il Cons. Stato, sez. VI, 25 agosto 2009, n. 5058, per la prima volta discostandosi dall'orientamento consolidato.

Gli effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale sugli atti amministrativi applicativi della legge annullata

PADULA, CARLO
2009

Abstract

L'articolo cerca di porre in dubbio un orientamento che, nel 2009, era consolidato, cioè quello secondo il quale l’annullamento della legge applicata dall’atto amministrativo produce sempre l’illegittimità (e mai la nullità) dell’atto stesso, per cui la mancata impugnazione di un atto amministrativo implica sempre la formazione di un “rapporto esaurito”, qualsiasi sia il rapporto tra l'atto e la legge annullata. Si argomenta, invece, la tesi secondo la quale è possibile distinguere tra la caducazione di norme che costituiscono il fondamento dei poteri esercitati dall’amministrazione (nel qual caso, la retroattività della sentenza implicherebbe la nullità sopravvenuta ma... originaria dell'atto amministrativo, invocabile oltre il termine di decadenza) e quella di norme che, invece, si limitano a disciplinare l’esercizio di attribuzioni fondate su diverse basi normative (nel qual caso, l'atto sarebbe affetto da illegittimità derivata e, in caso di mancata impugnazione, sarebbe ormai inoppugnabile). Si parte con un'analisi approfondita della sentenza “capostipite” di tale orientamento, cioè Cons. Stato, adun. plenaria, n. 8/1963, sottoponendo a critica gli argomenti giuridici e quelli “pratici” posti alla sua base ed evidenziando l'erroneità della sua conclusione. Si esamina poi la giurisprudenza successiva (amministrativa e della Cassazione), che ha confermato l'orientamento dell'Adunanza plenaria del 1963, senza aggiungere altri argomenti. Si evidenzia che un ulteriore elemento di debolezza della tesi dominante è la sua incoerenza con la teoria dell’invalidità caducante, in base alla quale, se l’atto presupposto è l’unico antecedente logico-giuridico dell’atto consequenziale, l’annullamento del primo genera un’invalidità caducante e non solo viziante dell’atto attuativo (e ciò implica, sul piano processuale, l’insussistenza di un onere di impugnativa). L’effetto caducante di cui parla la giurisprudenza corrisponde alla nullità “sopravvenuta ma originaria” ipotizzata in caso di annullamento della legge attributiva di potere. Si evidenzia, poi, che la ragione per cui la giurisprudenza amministrativa non ha considerato l'ipotesi dell'invalidità caducante per l'annullamento della legge si può forse far risalire a esigenza di tutela dei controinteressati: infatti, se l'atto non è stato impugnato davanti al giudice amministrativo, l'effetto caducante della sentenza della Corte potrebbe incidere sui soggetti che traggono beneficio dall'atto senza che essi abbiano avuto la possibilità di difendersi, dato che la Corte ammette l’intervento dei terzi nel giudizio in via incidentale in casi limitati (e, inoltre, i controinteressati non potrebbero neppure proporre opposizione di terzo contro la sentenza della Corte, che – come noto – non è impugnabile). Nel § 3 si analizzano i pochi spunti che la giurisprudenza costituzionale offre per il tema oggetto dell'articolo (in effetti, esso riguarda più i giudici comuni che la Corte). Nel § 4 si definiscono i casi in cui l’atto amministrativo può essere considerato nullo, a seguito dell’annullamento della legge posta alla sua base, approfondendo l'istituto della nullità degli atti amministrativi, nato in via giurisprudenziale e regolato poi dall'art. 21-septies l. 241/1990; in particolare, si affronta la questione se la nullità dell'atto sia configurabile solo se, dopo l'annullamento della legge, l'ente pubblico è privo del potere “in astratto” (nel senso che non può più adottare, in assoluto, l'atto in questione) o anche quando la sentenza di accoglimento lo priva del potere “in concreto”. Nel § 5 si svolgono le considerazioni conclusive. In primo luogo, si critica la dottrina costituzionalistica, secondo la quale la decadenza dal potere di impugnare un atto amministrativo è un esempio “classico” di rapporto “esaurito”, senza distinzioni a seconda del rapporto tra la legge annullata e l'atto applicativo. In realtà, l'esaurimento del rapporto non riguarda l'atto amministrativo in sé e per sé ma solo i vizi di legittimità dell'atto, non i vizi di nullità, essendo pacifico che questi possono essere fatti valere oltre il termine di decadenza. In sostanza, l'esaurimento del rapporto non va valutato prima della sentenza della Corte (accertando se l'atto è stato impugnato o no) ma dopo, verificando se la sentenza della Corte determina o meno la possibilità di contestare l'atto in giudizio. In secondo luogo, si cerca di dimostrare l'infondatezza delle ragioni “pratiche” e “ideologiche” a sostegno della tesi dominante. Le prime consistono nella convenienza di ottenere una pronuncia di annullamento dell'atto da parte del giudice amministrativo piuttosto che una pronuncia di rito (improcedibilità per difetto di interesse o declinatoria di giurisdizione): di esse si dimostra l'inconsistenza, fermo restando che gli inconvenienti pratici non dovrebbero condurre a disapplicare la disciplina positiva della nullità degli atti amministrativi. Le seconde consistono nella tradizionale “diffidenza” del giudice amministrativo verso la nullità degli atti amministrativi, vista come un ostacolo alla tutela degli interessi pubblici perseguiti dagli atti stessi. Vengono svolti diversi argomenti per dimostrare l'inaccettabilità della tesi che nega la nullità degli atti adottati nell'esercizio di un potere attribuito da una legge dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale. In senso conforme alla tesi sostenuta nell'articolo si è poi pronunciato il Cons. Stato, sez. VI, 25 agosto 2009, n. 5058, per la prima volta discostandosi dall'orientamento consolidato.
2009
Scritti in onore di Lorenza Carlassare
8824319017
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