L’integrazione europea poteva essere sfruttata in modo più fruttuoso per l’economia italiana? Un quesito controffattuale come questo è di assai difficile, se non impossibile, risposta. Ma, anche alla luce dell’evoluzione degli ultimi dieci anni che ha messo in evidenza la debolezza strutturale del sistema industriale della penisola e ha scatenato un dibattito sul declino economico italiano, ci sembra che una domanda del genere valga la pena porsela. Proprio perché, a nostro avviso, le radici della debolezza strutturale dell’industria italiana vanno ricercate anche nei modi in cui l’integrazione economica è stata interpretata dai gruppi dirigenti del Paese. In termini generali, è nostra convinzione che l’inserimento dell’economia italiana nel contesto europeo si sia giocato in una chiave che non ha aiutato a promuoverne una piena evoluzione strutturale e che, nel determinare tale risultato, decisivo sia stato il ruolo di una parte importante della borghesia industriale. Imprigionata dalla necessità di mantenere inalterata la precaria base di potere del capitalismo privato, fondata sull’equilibrio bassi consumi-bassi salari, essa si affidò all’idea di un’integrazione “subordinata”, per cui all’Italia era riservato il ruolo di serbatoio di manodopera del Mec. In assenza di una visione strategica di sviluppo, che puntasse a coniugare apertura internazionale e progresso interno, si enfatizzavano quegli aspetti del vincolo esterno funzionali al quaeta non movere confindustriale.
Grande mercato, bassi salari: la Confindustria e l'integrazione europea, 1947-1964
PETRINI, FRANCESCO
2009
Abstract
L’integrazione europea poteva essere sfruttata in modo più fruttuoso per l’economia italiana? Un quesito controffattuale come questo è di assai difficile, se non impossibile, risposta. Ma, anche alla luce dell’evoluzione degli ultimi dieci anni che ha messo in evidenza la debolezza strutturale del sistema industriale della penisola e ha scatenato un dibattito sul declino economico italiano, ci sembra che una domanda del genere valga la pena porsela. Proprio perché, a nostro avviso, le radici della debolezza strutturale dell’industria italiana vanno ricercate anche nei modi in cui l’integrazione economica è stata interpretata dai gruppi dirigenti del Paese. In termini generali, è nostra convinzione che l’inserimento dell’economia italiana nel contesto europeo si sia giocato in una chiave che non ha aiutato a promuoverne una piena evoluzione strutturale e che, nel determinare tale risultato, decisivo sia stato il ruolo di una parte importante della borghesia industriale. Imprigionata dalla necessità di mantenere inalterata la precaria base di potere del capitalismo privato, fondata sull’equilibrio bassi consumi-bassi salari, essa si affidò all’idea di un’integrazione “subordinata”, per cui all’Italia era riservato il ruolo di serbatoio di manodopera del Mec. In assenza di una visione strategica di sviluppo, che puntasse a coniugare apertura internazionale e progresso interno, si enfatizzavano quegli aspetti del vincolo esterno funzionali al quaeta non movere confindustriale.Pubblicazioni consigliate
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