Il d.lgs. n. 385/1993 ha introdotto nel nostro ordinamento il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, al quale ha ceduto il testimone dopo oltre cinquant’anni di vigenza e innumerevoli modifiche la l. n. 141/1938, di conversione (con modificazioni) del d.l. n. 375/1936. La progressiva realizzazione di uno spazio economico comune nel contesto dell’Unione europea ha comportato negli ultimi trent’anni una serie di continui adeguamenti della normativa nazionale ai dettami fissati in sede comunitaria. Tra i più importanti e senza pretesa di completezza giova ricordare la direttiva n. 183/73, riguardante l’apertura di banche aventi sede in altri Stati della Comunità, quella n. 780/77 regolante le condizioni di accesso all’esercizio dell’impresa bancaria, ed ancora la n. 350/83, con prescrizioni relative alla vigilanza su base consolidata, e la n. 646/89, che torna nuovamente sulla tematica afferente la regolamentazione dell’accesso all’attività degli enti creditizi. La complessa teoria di provvedimenti normativi accumulati e via via succedutisi nel tempo ha reso sempre più evidente e improcrastinabile un’opera di necessario riordino e coordinamento di tutto il settore, poi concretizzatasi, secondo criteri di armonizzazione dell’intera disciplina, nel Testo unico del 1993. Nel solo anno 1992 sono stati realizzati ben sette interventi normativi in campo bancario: tra gli altri, sulla scia del d.lgs. n. 481/1992 (in esito alla legge delega n. 142/1992), è stata data attuazione alla direttiva comunitaria n. 646/89, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio, apportando altresì modifiche alla precedente direttiva comunitaria n. 780/77. La direttiva citata da ultimo, quella del 1989, ha confermato l’impossibilità di negare l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forza di un criterio a carattere squisitamente discrezionale, quale quello che si rifaceva alle esigenze economiche del mercato, introducendo invece uno screening da parte della Banca d’Italia inteso principalmente a saggiare la concorrenza dei requisiti patrimoniali, organizzativi e operativi del costituendo istituto di credito. Il d.lgs n. 385/1993, dando forma organica alla materia, ha dunque cancellato non poche sovrapposizioni e incongruenze normative stratificatesi in molti decenni e, conseguentemente, ha reso più agevole l’opera dell’interprete. Basti pensare, per dare concretezza allo spessore della riforma, che l’art. 161 t.u.b., dedicato alle abrogazioni, ricomprende in sé ben oltre un centinaio tra leggi e specifiche disposizioni caducate dall’attuale normativa, le prime due delle quali risalgono addirittura al 1905, nonché al 1906 (rispettivamente il regio decreto n. 646 e la legge n. 441). La vigente normativa appare mirata alla realizzazione di alcuni princìpi fondanti, che si possono sintetizzare come segue: despecializzazione funzionale, globalizzazione dei mercati finanziari, libertà di stabilimento e sistema del home country control, nel contesto di un mercato comune improntato a un sistema di controllo affidato essenzialmente allo Stato di provenienza dell’ente creditizio, privilegio al sistema privatistico con la necessaria adozione del modello societario delle s.p.a. e delle s.c.p.a.r.l. (già anticipato nel 1990 da due importanti provvedimenti – la legge n. 218 e il d.lgs. n. 356 – che hanno segnato il percorso di privatizzazione del sistema bancario, consentendo agli enti creditizi di diritto pubblico di assumere la struttura di società per azioni), specifica disciplina dei gruppi e dell’intermediazione finanziaria non bancaria. Quest’ultima in particolare, disciplinata all’art. 10 t.u.b. tra le attività che gli istituti di credito esercitano oltre a quella propriamente bancaria, e modellata nelle concrete modalità realizzative agli articoli 106 e seguenti t.u.b., è parte di rilievo della regolamentazione prevista nell’attuale Testo unico, in armonia con la normazione comunitaria che mira all’integrazione dei mercati finanziari e alla loro interconnessione con l’attività bancaria. Per quel che concerne inoltre la despecializzazione funzionale degli enti creditizi, ai quali è stata conferita l’autonomia di enucleare statutariamente le tipologie di credito erogare, la sua previsione potrebbe indurre a pensare che, in linea con l’esigenza di favorire vuoi l’efficienza e la competitività del settore, vuoi il fenomeno delle banche universali – deputate ad espletare congiuntamente, oltre alla raccolta del risparmio e all’esercizio del credito, anche attività di emissione, collocamento e negoziazione di strumenti finanziari – siano state cancellate le precedenti preoccupazioni legislative riguardanti la crisi del sistema creditizio. In realtà non è così, poiché si è trattato soltanto di una modifica dello strumentario normativo predisposto a tal fine. Infatti, se il paradigma legislativo della previgente regolamentazione era basato su di uno spettro di divieti inteso ad evitare il sorgere di situazioni rischiose, l’odierno modello atto a prevenire i dissesti bancari poggia sul presidio dell’equilibrio patrimoniale e finanziario della banca. Altrimenti detto: viene ammesso che lo svolgimento dell’attività bancaria comporti una certa dose di rischio, che è tuttavia tenuto sotto controllo attraverso la fissazione di precisi limiti da rispettare nella struttura di bilancio (tra l’altro: le partecipazioni e gli immobili non possono superare il patrimonio netto, e, inoltre, la differenza tra attività e passività di pari durata deve essere sempre positiva). L’obiettivo di stabilità del sistema bancario perseguito dalla legge del 1936-38 non è dunque venuto meno nel t.u.b., poiché lo sviluppo teorico e tecnico della materia bancaria ha permesso di far fronte al nodo problematico con rinnovate modalità. In sintesi, la maggiore attenzione portata ai princìpi che informano e regolano la concorrenza, di cui offre conferma la disciplina in materia di trasparenza e di antitrust (in primis la legge n. 287/1990), non ha offuscato l’esigenza di assicurare quella stabilità e solidità al settore, necessarie per garantire la tutela del risparmio cui fa riferimento la nostra “Costituzione economica”, in armonia con i princìpi fissati dalle menzionate direttive comunitarie. La libera concorrenza, che permea l’attività tanto delle banche nazionali che di quelle estere, non ha certo segnato la nascita di un mercato “selvaggio”; all’opposto, ha richiesto la creazione di un articolato sistema di controllo, ad opera delle alte autorità tecnico-organizzative (CICR e Banca d’Italia), indirizzato a banche, gruppi bancari e intermediari finanziari, indipendentemente dal modello organizzativo prescelto, e improntato, in conformità ai princìpi contenuti nell’art. 47 Cost., alla tutela del risparmio e del corretto esercizio del credito. In particolare, la Banca d’Italia nega l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria se, dall’esame dei requisiti fissati nell’art. 14 t.u.b., ritiene non essere garantita una “sana e prudente gestione” dell’attività stessa (art. 14, comma 2). Vi è poi una tutela rinforzata dei soci di minoranza, rispetto a quella presente nelle società di capitali genericamente considerate (art. 70), e, inoltre, un intero titolo del decreto (il terzo) è dedicato ai poteri di vigilanza, particolarmente incisivi in tema di modifiche statutarie, fusioni e scissioni. Si aggiunga che, nell’ottica di una miglior tutela dell’investitore, la Banca d’Italia ha il potere di stabilire discrezionalmente il contenuto tipico di certi contratti o titoli, individuati anch’essi discrezionalmente, con determinazioni amministrative da rispettare a pena di nullità nell’interesse del cliente (art. 117, comma 8). Si sono esaminati i profili sanzionatori delineati dal Titolo VIII d.lgs. n. 385/1993: è in un’ottica di rafforzamento dei presìdi di controllo per il corretto esercizio dell’attività bancaria che si apre il capitolo del Testo unico dedicato ai profili sanzionatori (Titolo VIII). Il Capo I si occupa infatti di reprimere le ipotesi di abusivismo bancario e finanziario in forza di fattispecie penali che colpiscono la violazione dell’art. 11 riguardante la raccolta del risparmio (art. 130), dell’art. 10 attinente alla riserva di attività bancaria (131), dell’art. 114 bis concernente l’emissione di moneta elettronica (art. 131 bis), dell’art. 106 relativo alle condizioni per lo svolgimento di attività finanziaria (art. 132), nonché di un illecito amministrativo che contrasta l’utilizzo di denominazioni riservate agli enti creditizi e di moneta elettronica idonee a trarre in inganno sulla legittimazione all’esercizio di attività bancaria o di emissione di moneta elettronica (art. 133). Il Capo I contiene in particolare: la contravvenzione di abusiva attività di raccolta del risparmio (art. 130), il delitto di abusiva attività bancaria (art. 131), il delitto di abusiva emissione di moneta elettronica (art. 131 bis), il delitto e la contravvenzione di abusiva attività finanziaria (art. 132) (secondo che l’attività venga svolta rispettivamente nei confronti del pubblico o, in maniera prevalente, non nei confronti del pubblico), l’illecito amministrativo di abuso di denominazione (art. 133). Nel caso di fondato sospetto che taluna delle summenzionate attività sia svolta abusivamente, per favorire l’emersione di detto fenomeno il t.u.b., all’art. 132 bis, ha previsto che la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano cambi possono denunziare i fatti al pubblico ministero per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2409 c.c. o, in alternativa, richiedere al tribunale l’adozione dei medesimi provvedimenti, e cioè l’ispezione dell’ente sospettato di esercitare in modo abusivo una delle precitate attività e la conseguente eliminazione delle violazioni accertate o, qualora non possibile eliminarle, l’emanazione di opportuni provvedimenti provvisori e successiva convocazione dell’assemblea per le decisioni del caso. Si tratta in sostanza – e a voler sintetizzare per sommi capi la tematica – di disposizioni poste a presidio delle procedure autorizzative, fissate dal t.u.b. a tutela dei risparmiatori e conseguentemente espletate dalle autorità competenti, Banca d’Italia in testa, affinché le precitate attività siano svolte esclusivamente da soggetti ritenuti idonei allo scopo. Sottrarsi a dette procedure implica pertanto l’esposizione alla risposta penale e amministrativa predisposta appunto per le ipotesi di abusivismo. La centralità dello screening condotto dalla Banca d’Italia emerge comunque non solo nella fase di accesso alle attività sopramenzionate, risultando altresì di nodale importanza anche durante l’esercizio delle stesse. In considerazione di ciò, il Capo II contemplava una previsione (art. 134), dedicata alla tutela delle funzioni di vigilanza bancaria e finanziaria, mossa dal proposito di contrastare le condotte vòlte ad ostacolare lo svolgimento di tali funzioni. Il reato è stato abrogato dal d.lgs. n. 61/2002 che ha introdotto all’art. 2638 c.c. il delitto di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, incongruamente sanzionato con pena inferiore nel massimo edittale rispetto al previgente (reclusione da uno a quattro anni, anziché da uno a cinque anni e multa da 1.032 a 10.329 euro). Al riguardo si noti per inciso che l’art. 134 t.u.b., al secondo comma, prevedeva per l’ipotesi in cui venissero effettivamente ostacolate le funzioni di vigilanza, una fattispecie contravvenzionale con pena detentiva piuttosto blanda (arresto fino ad un anno, più ammenda da 12.911 a 51.645 euro), mentre l’attuale disposizione delittuosa (art. 2638, comma 2, c.c.), caratterizzata dalla presenza del dolo intenzionale, viene sanzionata più severamente (appunto la reclusione da uno a quattro anni). Resta tuttavia inspiegabile la diminuzione del massimo edittale per la figura criminosa di cui al primo comma della previsione codicistica – qualificata dal dolo specifico parimenti a quella del d.lgs. n. 385/1993 (il fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza) – rispetto al primo comma dell’abrogato art. 134 t.u.b. Quanto al Capo III, intitolato, per vero in modo poco significativo, “Banche e gruppi bancari” (come se nei primi due Capi si fosse trattata materia diversa da quella bancaria), esso contiene la norma che permette di applicare i reati societari all’universo bancario, vale a dire l’art. 135 che, superando i dubbi posti dall’art. 92 della vecchia legge bancaria, a chiare lettere rende applicabili tutte le norme penali societarie del c.c. agli enti creditizi, quale che ne sia la struttura organizzativa, e quella che disciplina il delitto di illeciti rapporti patrimoniali con la banca (art. 136), posto a tutela dai fenomeni di infedeltà gestoria e divenuto a più riprese negli ultimi anni oggetto dell’interesse del legislatore. Ivi è inoltre collocata la contravvenzione di falso interno bancario (art. 137, comma 2), nonché il mendacio bancario (oggi art. 137, comma 1bis), abrogato dal d.lgs. n. 61/2002 e restaurato con l. n. 262/2005, nonché l’aggiotaggio bancario (art. 138), del pari cassato dalla riforma del 2002 ma confluito nella generale fattispecie delittuosa coniata all’art. 2637 c.c. Il Capo IV riguarda le “Partecipazioni” e appronta, in linea progressiva, un illecito amministrativo per i casi di omissione dei procedimenti autorizzativi circa partecipazioni al di sopra di determinate soglie in banche, società finanziarie capogruppo e intermediari finanziari o, ancora, di violazione degli obblighi di comunicazione ad esse inerenti (art. 139, comma 1) e una contravvenzione per le ipotesi in cui vengano fornite false indicazioni a corredo delle domande di autorizzazione o delle comunicazioni (art. 139, comma 2); similmente si atteggia la disposizione successiva, pure incentrata sulla omissione di talune comunicazioni in punto di partecipazioni in banche, società appartenenti ad un gruppo bancario ed in intermediari finanziari, prevedendo in tal caso un illecito amministrativo (art. 140, comma 1), salvo ricadere anche qui nella più grave figura contravvenzionale allorquando le comunicazioni vengano effettuate con indicazioni false (art. 140, comma 2). Completa l’arsenale repressivo il Capo V che, sotto il generico intitolato “Altre sanzioni”, racchiude una contravvenzione, ovvero quella di false comunicazioni all’Ufficio italiano cambi con riguardo agli intermediari finanziari (art. 141), nonché una serie di illeciti amministrativi, il primo dei quali, incentrato sull’inosservanza delle disposizioni in punto di emissione di valori mobiliari (art. 143), è stato abrogato dal d.lgs. n. 303/2006. I seguenti sono contenuti nell’ultima previsione sanzionatoria (art. 144) del Testo unico, che certo non brilla quale esempio di organicità e chiarezza, rinviando, quanto ai casi di applicabilità, all’inosservanza di oltre una ventina di norme sostanziali della stessa legge, tra le più disparate; in via esemplificativa: da quella concernente le condizioni per l’emissione di assegni circolari (art. 49) a quella riferita ai controlli della Banca d’Italia sulle succursali di banche comunitarie nel Paese (art. 55), dal disposto che obbliga la capogruppo a comunicare alla Banca d’Italia esistenza e composizione del gruppo (art. 64) al precetto che impone determinati contenuti per gli annunci pubblicitari e le offerte circa operazioni di credito al consumo (art. 123), e molte altre se ne potrebbero citare, tutte vòlte ad evidenziare il preponderante carattere squisitamente sanzionatorio della risposta amministrativa, ma anche di parte di quella penale, in materia. Il lavoro ha poi riguardato il nuovo assetto della fattispecie di ricorso abusivo al credito dopo la legge n. 262/2005; essa è diretta a reprimere il comportamento dei soggetti qualificati che ricorrono al credito occultando la propria grave condizione di crisi finanziaria, la quale, se portata a conoscenza del creditore, avrebbe determinato quest'ultimo a concedere credito solo in presenza di congrue garanzie o, addirittura, a non concederlo affatto. Il precetto attribuisce quindi rilievo penale ad un contegno di per sé assolutamente normale e lecito nel traffico economico (appunto quello del ricorrere al credito), allorché la condotta del debitore richiedente sia caratterizzata dalla dissimulazione del dissesto in cui lo stesso versi. La previsione è stata parzialmente riscritta dall'art. 32, L. 28.12.2005, n. 262, contenente «Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari». Per comprendere la rilevanza della novella giova richiamare il testo della norma previgente, che era del seguente tenore: «1. Salvo che il fatto costituisca un reato più grave, è punito con la reclusione fino a due anni l'imprenditore esercente un'attività commerciale che ricorre o continua a ricorrere al credito, dissimulando il proprio dissesto. 2. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni». Dal raffronto emerge anzitutto come la previsione attuale non contempli più al 1° co. la clausola di riserva che ne escludeva l'operatività in caso di integrazione di più gravi fattispecie - quali tra l'altro, prima della novella, la bancarotta semplice e la truffa - e ciò in considerazione del fatto che il dosaggio sanzionatorio per il precetto in esame è stato aumentato (da sei mesi a tre anni), superando così quello della bancarotta semplice (da sei mesi a due anni) ed eguagliando la pena detentiva della truffa. A corredo della pena principale si accompagna quella accessoria - rimasta invariata rispetto al passato - contemplata all'ult. co., che stabilisce l'incapacitazione all'esercizio di un'impresa commerciale o degli uffici direttivi d'impresa fino a tre anni. Spicca inoltre la comparsa di soggetti attivi ulteriori rispetto all'imprenditore commerciale, ovvero gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori di società; mentre questi ultimi sono stati inseriti ex novo dalla L. 28.12.2005, n. 262, gli amministratori e i direttori generali erano già attori (e lo sono tuttora) del ricorso abusivo al credito riguardante società dichiarate fallite, previsto dall'art. 225, al cui commento si rinvia anche per alcune riflessioni imposte dall'assenza di coordinamento con il nuovo art. 218. Vi sono poi altre novità: precisata l'autonomia della fattispecie nei confronti di quelle di bancarotta, in virtù dell'inciso "anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti", per quel che concerne l'oggetto della dissimulazione s'è affiancato al dissesto lo "stato di insolvenza" ed è stata introdotta - al 2° co. - una circostanza aggravante ad effetto comune nel caso di società soggette alle disposizioni di cui al capo II, titolo III, parte IV, del D.Lgs. 24.2.1998, n. 58 (t.u. disposizioni in materia dell'intermediazione finanziaria), in altre parole le società con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea (disciplinate agli artt. 119, 165 septies, D.Lgs. 24.2.1998, n. 58).

Commento agli articoli 131bis, 132 D.Lgs. n. 385/1993 (Testo unico bancario); Commento agli articoli 218, 225 R.D. n. 267/1942 (Legge fallimentare), 130, 131, 135, 136, 137 D.Lgs. n. 385/1993 (Testo unico bancario) (Aggiornam.)

ZAMBUSI, ANGELO
2009

Abstract

Il d.lgs. n. 385/1993 ha introdotto nel nostro ordinamento il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, al quale ha ceduto il testimone dopo oltre cinquant’anni di vigenza e innumerevoli modifiche la l. n. 141/1938, di conversione (con modificazioni) del d.l. n. 375/1936. La progressiva realizzazione di uno spazio economico comune nel contesto dell’Unione europea ha comportato negli ultimi trent’anni una serie di continui adeguamenti della normativa nazionale ai dettami fissati in sede comunitaria. Tra i più importanti e senza pretesa di completezza giova ricordare la direttiva n. 183/73, riguardante l’apertura di banche aventi sede in altri Stati della Comunità, quella n. 780/77 regolante le condizioni di accesso all’esercizio dell’impresa bancaria, ed ancora la n. 350/83, con prescrizioni relative alla vigilanza su base consolidata, e la n. 646/89, che torna nuovamente sulla tematica afferente la regolamentazione dell’accesso all’attività degli enti creditizi. La complessa teoria di provvedimenti normativi accumulati e via via succedutisi nel tempo ha reso sempre più evidente e improcrastinabile un’opera di necessario riordino e coordinamento di tutto il settore, poi concretizzatasi, secondo criteri di armonizzazione dell’intera disciplina, nel Testo unico del 1993. Nel solo anno 1992 sono stati realizzati ben sette interventi normativi in campo bancario: tra gli altri, sulla scia del d.lgs. n. 481/1992 (in esito alla legge delega n. 142/1992), è stata data attuazione alla direttiva comunitaria n. 646/89, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio, apportando altresì modifiche alla precedente direttiva comunitaria n. 780/77. La direttiva citata da ultimo, quella del 1989, ha confermato l’impossibilità di negare l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forza di un criterio a carattere squisitamente discrezionale, quale quello che si rifaceva alle esigenze economiche del mercato, introducendo invece uno screening da parte della Banca d’Italia inteso principalmente a saggiare la concorrenza dei requisiti patrimoniali, organizzativi e operativi del costituendo istituto di credito. Il d.lgs n. 385/1993, dando forma organica alla materia, ha dunque cancellato non poche sovrapposizioni e incongruenze normative stratificatesi in molti decenni e, conseguentemente, ha reso più agevole l’opera dell’interprete. Basti pensare, per dare concretezza allo spessore della riforma, che l’art. 161 t.u.b., dedicato alle abrogazioni, ricomprende in sé ben oltre un centinaio tra leggi e specifiche disposizioni caducate dall’attuale normativa, le prime due delle quali risalgono addirittura al 1905, nonché al 1906 (rispettivamente il regio decreto n. 646 e la legge n. 441). La vigente normativa appare mirata alla realizzazione di alcuni princìpi fondanti, che si possono sintetizzare come segue: despecializzazione funzionale, globalizzazione dei mercati finanziari, libertà di stabilimento e sistema del home country control, nel contesto di un mercato comune improntato a un sistema di controllo affidato essenzialmente allo Stato di provenienza dell’ente creditizio, privilegio al sistema privatistico con la necessaria adozione del modello societario delle s.p.a. e delle s.c.p.a.r.l. (già anticipato nel 1990 da due importanti provvedimenti – la legge n. 218 e il d.lgs. n. 356 – che hanno segnato il percorso di privatizzazione del sistema bancario, consentendo agli enti creditizi di diritto pubblico di assumere la struttura di società per azioni), specifica disciplina dei gruppi e dell’intermediazione finanziaria non bancaria. Quest’ultima in particolare, disciplinata all’art. 10 t.u.b. tra le attività che gli istituti di credito esercitano oltre a quella propriamente bancaria, e modellata nelle concrete modalità realizzative agli articoli 106 e seguenti t.u.b., è parte di rilievo della regolamentazione prevista nell’attuale Testo unico, in armonia con la normazione comunitaria che mira all’integrazione dei mercati finanziari e alla loro interconnessione con l’attività bancaria. Per quel che concerne inoltre la despecializzazione funzionale degli enti creditizi, ai quali è stata conferita l’autonomia di enucleare statutariamente le tipologie di credito erogare, la sua previsione potrebbe indurre a pensare che, in linea con l’esigenza di favorire vuoi l’efficienza e la competitività del settore, vuoi il fenomeno delle banche universali – deputate ad espletare congiuntamente, oltre alla raccolta del risparmio e all’esercizio del credito, anche attività di emissione, collocamento e negoziazione di strumenti finanziari – siano state cancellate le precedenti preoccupazioni legislative riguardanti la crisi del sistema creditizio. In realtà non è così, poiché si è trattato soltanto di una modifica dello strumentario normativo predisposto a tal fine. Infatti, se il paradigma legislativo della previgente regolamentazione era basato su di uno spettro di divieti inteso ad evitare il sorgere di situazioni rischiose, l’odierno modello atto a prevenire i dissesti bancari poggia sul presidio dell’equilibrio patrimoniale e finanziario della banca. Altrimenti detto: viene ammesso che lo svolgimento dell’attività bancaria comporti una certa dose di rischio, che è tuttavia tenuto sotto controllo attraverso la fissazione di precisi limiti da rispettare nella struttura di bilancio (tra l’altro: le partecipazioni e gli immobili non possono superare il patrimonio netto, e, inoltre, la differenza tra attività e passività di pari durata deve essere sempre positiva). L’obiettivo di stabilità del sistema bancario perseguito dalla legge del 1936-38 non è dunque venuto meno nel t.u.b., poiché lo sviluppo teorico e tecnico della materia bancaria ha permesso di far fronte al nodo problematico con rinnovate modalità. In sintesi, la maggiore attenzione portata ai princìpi che informano e regolano la concorrenza, di cui offre conferma la disciplina in materia di trasparenza e di antitrust (in primis la legge n. 287/1990), non ha offuscato l’esigenza di assicurare quella stabilità e solidità al settore, necessarie per garantire la tutela del risparmio cui fa riferimento la nostra “Costituzione economica”, in armonia con i princìpi fissati dalle menzionate direttive comunitarie. La libera concorrenza, che permea l’attività tanto delle banche nazionali che di quelle estere, non ha certo segnato la nascita di un mercato “selvaggio”; all’opposto, ha richiesto la creazione di un articolato sistema di controllo, ad opera delle alte autorità tecnico-organizzative (CICR e Banca d’Italia), indirizzato a banche, gruppi bancari e intermediari finanziari, indipendentemente dal modello organizzativo prescelto, e improntato, in conformità ai princìpi contenuti nell’art. 47 Cost., alla tutela del risparmio e del corretto esercizio del credito. In particolare, la Banca d’Italia nega l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria se, dall’esame dei requisiti fissati nell’art. 14 t.u.b., ritiene non essere garantita una “sana e prudente gestione” dell’attività stessa (art. 14, comma 2). Vi è poi una tutela rinforzata dei soci di minoranza, rispetto a quella presente nelle società di capitali genericamente considerate (art. 70), e, inoltre, un intero titolo del decreto (il terzo) è dedicato ai poteri di vigilanza, particolarmente incisivi in tema di modifiche statutarie, fusioni e scissioni. Si aggiunga che, nell’ottica di una miglior tutela dell’investitore, la Banca d’Italia ha il potere di stabilire discrezionalmente il contenuto tipico di certi contratti o titoli, individuati anch’essi discrezionalmente, con determinazioni amministrative da rispettare a pena di nullità nell’interesse del cliente (art. 117, comma 8). Si sono esaminati i profili sanzionatori delineati dal Titolo VIII d.lgs. n. 385/1993: è in un’ottica di rafforzamento dei presìdi di controllo per il corretto esercizio dell’attività bancaria che si apre il capitolo del Testo unico dedicato ai profili sanzionatori (Titolo VIII). Il Capo I si occupa infatti di reprimere le ipotesi di abusivismo bancario e finanziario in forza di fattispecie penali che colpiscono la violazione dell’art. 11 riguardante la raccolta del risparmio (art. 130), dell’art. 10 attinente alla riserva di attività bancaria (131), dell’art. 114 bis concernente l’emissione di moneta elettronica (art. 131 bis), dell’art. 106 relativo alle condizioni per lo svolgimento di attività finanziaria (art. 132), nonché di un illecito amministrativo che contrasta l’utilizzo di denominazioni riservate agli enti creditizi e di moneta elettronica idonee a trarre in inganno sulla legittimazione all’esercizio di attività bancaria o di emissione di moneta elettronica (art. 133). Il Capo I contiene in particolare: la contravvenzione di abusiva attività di raccolta del risparmio (art. 130), il delitto di abusiva attività bancaria (art. 131), il delitto di abusiva emissione di moneta elettronica (art. 131 bis), il delitto e la contravvenzione di abusiva attività finanziaria (art. 132) (secondo che l’attività venga svolta rispettivamente nei confronti del pubblico o, in maniera prevalente, non nei confronti del pubblico), l’illecito amministrativo di abuso di denominazione (art. 133). Nel caso di fondato sospetto che taluna delle summenzionate attività sia svolta abusivamente, per favorire l’emersione di detto fenomeno il t.u.b., all’art. 132 bis, ha previsto che la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano cambi possono denunziare i fatti al pubblico ministero per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2409 c.c. o, in alternativa, richiedere al tribunale l’adozione dei medesimi provvedimenti, e cioè l’ispezione dell’ente sospettato di esercitare in modo abusivo una delle precitate attività e la conseguente eliminazione delle violazioni accertate o, qualora non possibile eliminarle, l’emanazione di opportuni provvedimenti provvisori e successiva convocazione dell’assemblea per le decisioni del caso. Si tratta in sostanza – e a voler sintetizzare per sommi capi la tematica – di disposizioni poste a presidio delle procedure autorizzative, fissate dal t.u.b. a tutela dei risparmiatori e conseguentemente espletate dalle autorità competenti, Banca d’Italia in testa, affinché le precitate attività siano svolte esclusivamente da soggetti ritenuti idonei allo scopo. Sottrarsi a dette procedure implica pertanto l’esposizione alla risposta penale e amministrativa predisposta appunto per le ipotesi di abusivismo. La centralità dello screening condotto dalla Banca d’Italia emerge comunque non solo nella fase di accesso alle attività sopramenzionate, risultando altresì di nodale importanza anche durante l’esercizio delle stesse. In considerazione di ciò, il Capo II contemplava una previsione (art. 134), dedicata alla tutela delle funzioni di vigilanza bancaria e finanziaria, mossa dal proposito di contrastare le condotte vòlte ad ostacolare lo svolgimento di tali funzioni. Il reato è stato abrogato dal d.lgs. n. 61/2002 che ha introdotto all’art. 2638 c.c. il delitto di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, incongruamente sanzionato con pena inferiore nel massimo edittale rispetto al previgente (reclusione da uno a quattro anni, anziché da uno a cinque anni e multa da 1.032 a 10.329 euro). Al riguardo si noti per inciso che l’art. 134 t.u.b., al secondo comma, prevedeva per l’ipotesi in cui venissero effettivamente ostacolate le funzioni di vigilanza, una fattispecie contravvenzionale con pena detentiva piuttosto blanda (arresto fino ad un anno, più ammenda da 12.911 a 51.645 euro), mentre l’attuale disposizione delittuosa (art. 2638, comma 2, c.c.), caratterizzata dalla presenza del dolo intenzionale, viene sanzionata più severamente (appunto la reclusione da uno a quattro anni). Resta tuttavia inspiegabile la diminuzione del massimo edittale per la figura criminosa di cui al primo comma della previsione codicistica – qualificata dal dolo specifico parimenti a quella del d.lgs. n. 385/1993 (il fine di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza) – rispetto al primo comma dell’abrogato art. 134 t.u.b. Quanto al Capo III, intitolato, per vero in modo poco significativo, “Banche e gruppi bancari” (come se nei primi due Capi si fosse trattata materia diversa da quella bancaria), esso contiene la norma che permette di applicare i reati societari all’universo bancario, vale a dire l’art. 135 che, superando i dubbi posti dall’art. 92 della vecchia legge bancaria, a chiare lettere rende applicabili tutte le norme penali societarie del c.c. agli enti creditizi, quale che ne sia la struttura organizzativa, e quella che disciplina il delitto di illeciti rapporti patrimoniali con la banca (art. 136), posto a tutela dai fenomeni di infedeltà gestoria e divenuto a più riprese negli ultimi anni oggetto dell’interesse del legislatore. Ivi è inoltre collocata la contravvenzione di falso interno bancario (art. 137, comma 2), nonché il mendacio bancario (oggi art. 137, comma 1bis), abrogato dal d.lgs. n. 61/2002 e restaurato con l. n. 262/2005, nonché l’aggiotaggio bancario (art. 138), del pari cassato dalla riforma del 2002 ma confluito nella generale fattispecie delittuosa coniata all’art. 2637 c.c. Il Capo IV riguarda le “Partecipazioni” e appronta, in linea progressiva, un illecito amministrativo per i casi di omissione dei procedimenti autorizzativi circa partecipazioni al di sopra di determinate soglie in banche, società finanziarie capogruppo e intermediari finanziari o, ancora, di violazione degli obblighi di comunicazione ad esse inerenti (art. 139, comma 1) e una contravvenzione per le ipotesi in cui vengano fornite false indicazioni a corredo delle domande di autorizzazione o delle comunicazioni (art. 139, comma 2); similmente si atteggia la disposizione successiva, pure incentrata sulla omissione di talune comunicazioni in punto di partecipazioni in banche, società appartenenti ad un gruppo bancario ed in intermediari finanziari, prevedendo in tal caso un illecito amministrativo (art. 140, comma 1), salvo ricadere anche qui nella più grave figura contravvenzionale allorquando le comunicazioni vengano effettuate con indicazioni false (art. 140, comma 2). Completa l’arsenale repressivo il Capo V che, sotto il generico intitolato “Altre sanzioni”, racchiude una contravvenzione, ovvero quella di false comunicazioni all’Ufficio italiano cambi con riguardo agli intermediari finanziari (art. 141), nonché una serie di illeciti amministrativi, il primo dei quali, incentrato sull’inosservanza delle disposizioni in punto di emissione di valori mobiliari (art. 143), è stato abrogato dal d.lgs. n. 303/2006. I seguenti sono contenuti nell’ultima previsione sanzionatoria (art. 144) del Testo unico, che certo non brilla quale esempio di organicità e chiarezza, rinviando, quanto ai casi di applicabilità, all’inosservanza di oltre una ventina di norme sostanziali della stessa legge, tra le più disparate; in via esemplificativa: da quella concernente le condizioni per l’emissione di assegni circolari (art. 49) a quella riferita ai controlli della Banca d’Italia sulle succursali di banche comunitarie nel Paese (art. 55), dal disposto che obbliga la capogruppo a comunicare alla Banca d’Italia esistenza e composizione del gruppo (art. 64) al precetto che impone determinati contenuti per gli annunci pubblicitari e le offerte circa operazioni di credito al consumo (art. 123), e molte altre se ne potrebbero citare, tutte vòlte ad evidenziare il preponderante carattere squisitamente sanzionatorio della risposta amministrativa, ma anche di parte di quella penale, in materia. Il lavoro ha poi riguardato il nuovo assetto della fattispecie di ricorso abusivo al credito dopo la legge n. 262/2005; essa è diretta a reprimere il comportamento dei soggetti qualificati che ricorrono al credito occultando la propria grave condizione di crisi finanziaria, la quale, se portata a conoscenza del creditore, avrebbe determinato quest'ultimo a concedere credito solo in presenza di congrue garanzie o, addirittura, a non concederlo affatto. Il precetto attribuisce quindi rilievo penale ad un contegno di per sé assolutamente normale e lecito nel traffico economico (appunto quello del ricorrere al credito), allorché la condotta del debitore richiedente sia caratterizzata dalla dissimulazione del dissesto in cui lo stesso versi. La previsione è stata parzialmente riscritta dall'art. 32, L. 28.12.2005, n. 262, contenente «Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari». Per comprendere la rilevanza della novella giova richiamare il testo della norma previgente, che era del seguente tenore: «1. Salvo che il fatto costituisca un reato più grave, è punito con la reclusione fino a due anni l'imprenditore esercente un'attività commerciale che ricorre o continua a ricorrere al credito, dissimulando il proprio dissesto. 2. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni». Dal raffronto emerge anzitutto come la previsione attuale non contempli più al 1° co. la clausola di riserva che ne escludeva l'operatività in caso di integrazione di più gravi fattispecie - quali tra l'altro, prima della novella, la bancarotta semplice e la truffa - e ciò in considerazione del fatto che il dosaggio sanzionatorio per il precetto in esame è stato aumentato (da sei mesi a tre anni), superando così quello della bancarotta semplice (da sei mesi a due anni) ed eguagliando la pena detentiva della truffa. A corredo della pena principale si accompagna quella accessoria - rimasta invariata rispetto al passato - contemplata all'ult. co., che stabilisce l'incapacitazione all'esercizio di un'impresa commerciale o degli uffici direttivi d'impresa fino a tre anni. Spicca inoltre la comparsa di soggetti attivi ulteriori rispetto all'imprenditore commerciale, ovvero gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori di società; mentre questi ultimi sono stati inseriti ex novo dalla L. 28.12.2005, n. 262, gli amministratori e i direttori generali erano già attori (e lo sono tuttora) del ricorso abusivo al credito riguardante società dichiarate fallite, previsto dall'art. 225, al cui commento si rinvia anche per alcune riflessioni imposte dall'assenza di coordinamento con il nuovo art. 218. Vi sono poi altre novità: precisata l'autonomia della fattispecie nei confronti di quelle di bancarotta, in virtù dell'inciso "anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti", per quel che concerne l'oggetto della dissimulazione s'è affiancato al dissesto lo "stato di insolvenza" ed è stata introdotta - al 2° co. - una circostanza aggravante ad effetto comune nel caso di società soggette alle disposizioni di cui al capo II, titolo III, parte IV, del D.Lgs. 24.2.1998, n. 58 (t.u. disposizioni in materia dell'intermediazione finanziaria), in altre parole le società con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea (disciplinate agli artt. 119, 165 septies, D.Lgs. 24.2.1998, n. 58).
2009
Codice Penale Ipertestuale, Leggi Complementari, II ed.
9788859804758
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