Questo testo considera, da un punto di vista storico, l’evoluzione della teoria della tecnica in ambito psicoanalitico. In questo percorso è possibile notare come idee brillanti ed innovative, lette talvolta come provocatori cambiamenti di paradigma nella concezione della relazione terapeutica, abbiano avuto bisogno di tempo, anche svariati decenni, per essere accolte e valorizzate dalla comunità scientifica. Si assiste così alla “riscoperta”, da parte di un autore successivo, di prospettive cliniche che già autori precedenti avevano individuato e teorizzato. Impossibile a questo proposito non citare Sándor Ferenczi, il cui pensiero appare, sotto diverse vesti, nelle elaborazioni di molti autori che gli sono succeduti (non solo quelli considerati in questo testo). Le spinte che hanno portato a proporre delle modificazioni nella tecnica sono nate sia dal volerla rendere più efficace, sia dal volerla adattare ad un’utenza il più ampia possibile. In questo senso, ripercorrere i pensieri, i dubbi e le esigenze di ciascun autore può, almeno in parte, rappresentare il percorso che un clinico implicitamente mette in atto nella riflessione quotidiana che segue l’attività terapeutica. Passando da Freud a Ferenczi, da Alexander a Kohut per arrivare a Weiss, diverse sono le prospettive che arricchiscono l’approccio clinico: dall’attenzione alla relazione, alla struttura soggettiva, alla qualità delle esperienze emotive che favoriscono il cambiamento, alle risorse ed ai piani inconsci del paziente. Sempre di più assistiamo a come l’attenzione passi da una “meccanica” applicazione di un precetto tecnico ad una visione della tecnica come inscindibile dalle esigenze, dalla storia e dalla struttura del paziente. Questo insieme di attenzioni viene, a nostro avviso, ben riassunto da Orange, Atwood e Stolorow, quando affermano: “Considerare il lavoro clinico come una tecnica è un fatto ancora pervasivo e gravemente dannoso”.

Evoluzione della tecnica nel colloquio psicodinamico. Un percorso storico

ROCCO, DIEGO;
2010

Abstract

Questo testo considera, da un punto di vista storico, l’evoluzione della teoria della tecnica in ambito psicoanalitico. In questo percorso è possibile notare come idee brillanti ed innovative, lette talvolta come provocatori cambiamenti di paradigma nella concezione della relazione terapeutica, abbiano avuto bisogno di tempo, anche svariati decenni, per essere accolte e valorizzate dalla comunità scientifica. Si assiste così alla “riscoperta”, da parte di un autore successivo, di prospettive cliniche che già autori precedenti avevano individuato e teorizzato. Impossibile a questo proposito non citare Sándor Ferenczi, il cui pensiero appare, sotto diverse vesti, nelle elaborazioni di molti autori che gli sono succeduti (non solo quelli considerati in questo testo). Le spinte che hanno portato a proporre delle modificazioni nella tecnica sono nate sia dal volerla rendere più efficace, sia dal volerla adattare ad un’utenza il più ampia possibile. In questo senso, ripercorrere i pensieri, i dubbi e le esigenze di ciascun autore può, almeno in parte, rappresentare il percorso che un clinico implicitamente mette in atto nella riflessione quotidiana che segue l’attività terapeutica. Passando da Freud a Ferenczi, da Alexander a Kohut per arrivare a Weiss, diverse sono le prospettive che arricchiscono l’approccio clinico: dall’attenzione alla relazione, alla struttura soggettiva, alla qualità delle esperienze emotive che favoriscono il cambiamento, alle risorse ed ai piani inconsci del paziente. Sempre di più assistiamo a come l’attenzione passi da una “meccanica” applicazione di un precetto tecnico ad una visione della tecnica come inscindibile dalle esigenze, dalla storia e dalla struttura del paziente. Questo insieme di attenzioni viene, a nostro avviso, ben riassunto da Orange, Atwood e Stolorow, quando affermano: “Considerare il lavoro clinico come una tecnica è un fatto ancora pervasivo e gravemente dannoso”.
2010
9788871262376
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