Il saggio analizza il ruolo svolto dall’Italia come potenza occupante nei Balcani durante la seconda guerra mondiale e il modo in cui questa esperienza è stata integrata all’interno delle coordinate della memoria collettiva della guerra elaborata dopo la fine del conflitto. A partire dall’aprile 1941 l’Italia monarchico-fascista, alleata del Terzo Reich, occupò ampie parti del territorio jugoslavo (Slovenia, Dalmazia, Montenegro) e greco (pari ai due terzi del territorio nazionale ellenico), rafforzando una presenza nella regione già iniziata nel 1939 con l’occupazione dell’Albania. L’Italia impiegò nell’area balcanica circa la metà delle sue forze militari (35 divisioni per 650 mila uomini), che si trovarono presto impegnate in una dura lotta per la repressione dei movimenti partigiani locali. In chiave antiguerriglia, le unità militari e di polizia italiane svolsero azioni repressive che si configurarono anche come crimini di guerra: saccheggi e incendi di villaggi, rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, deportazione di popolazione civile in campi di concentramento. Questi aspetti della guerra fascista nei Balcani sono stati rimossi dalla memoria successiva che, al contrario, ha posto in evidenza i meriti umanitari delle forze d’occupazione italiane, in particolare l’aiuto prestato agli ebrei braccati dall’alleato germanico. L’analisi sottolinea che la raffigurazione del “bravo italiano” contrapposto al “cattivo tedesco” (fondata certo su alcuni dati di fatto oggettivi) fu dettata dall’esigenza fondamentale condivisa dall’intera classe dirigente del paese, sia di matrice antifascista sia di matrice monarchico-badogliana, di evitare una pace punitiva dopo la sconfitta bellica. In questo senso, si cercò di distinguere il più possibile agli occhi degli Alleati il ruolo svolto dall’Italia da quello della Germania nazista, sulle spalle della quale si tese a riversare il peso esclusivo della colpa per i crimini di guerra commessi dall’Asse. L’Italia riuscì inoltre ad evitare l’estradizione e la punizione dei suoi criminali di guerra, pur prevista dall’armistizio e dal trattato di pace. Non vi fu dunque una “Norimberga italiana”. Anche questo contribuì alla rimozione delle “pagine nere” della guerra fascista dalla memoria nazionale.

Italy as Occupier in the Balkans: Remembrance and War Crimes after 1945

FOCARDI, FILIPPO
2010

Abstract

Il saggio analizza il ruolo svolto dall’Italia come potenza occupante nei Balcani durante la seconda guerra mondiale e il modo in cui questa esperienza è stata integrata all’interno delle coordinate della memoria collettiva della guerra elaborata dopo la fine del conflitto. A partire dall’aprile 1941 l’Italia monarchico-fascista, alleata del Terzo Reich, occupò ampie parti del territorio jugoslavo (Slovenia, Dalmazia, Montenegro) e greco (pari ai due terzi del territorio nazionale ellenico), rafforzando una presenza nella regione già iniziata nel 1939 con l’occupazione dell’Albania. L’Italia impiegò nell’area balcanica circa la metà delle sue forze militari (35 divisioni per 650 mila uomini), che si trovarono presto impegnate in una dura lotta per la repressione dei movimenti partigiani locali. In chiave antiguerriglia, le unità militari e di polizia italiane svolsero azioni repressive che si configurarono anche come crimini di guerra: saccheggi e incendi di villaggi, rappresaglie, fucilazioni di ostaggi, deportazione di popolazione civile in campi di concentramento. Questi aspetti della guerra fascista nei Balcani sono stati rimossi dalla memoria successiva che, al contrario, ha posto in evidenza i meriti umanitari delle forze d’occupazione italiane, in particolare l’aiuto prestato agli ebrei braccati dall’alleato germanico. L’analisi sottolinea che la raffigurazione del “bravo italiano” contrapposto al “cattivo tedesco” (fondata certo su alcuni dati di fatto oggettivi) fu dettata dall’esigenza fondamentale condivisa dall’intera classe dirigente del paese, sia di matrice antifascista sia di matrice monarchico-badogliana, di evitare una pace punitiva dopo la sconfitta bellica. In questo senso, si cercò di distinguere il più possibile agli occhi degli Alleati il ruolo svolto dall’Italia da quello della Germania nazista, sulle spalle della quale si tese a riversare il peso esclusivo della colpa per i crimini di guerra commessi dall’Asse. L’Italia riuscì inoltre ad evitare l’estradizione e la punizione dei suoi criminali di guerra, pur prevista dall’armistizio e dal trattato di pace. Non vi fu dunque una “Norimberga italiana”. Anche questo contribuì alla rimozione delle “pagine nere” della guerra fascista dalla memoria nazionale.
2010
Experience and Memory. The Second World war in Europe
9781845457631
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