L’Autore affronta il tema cruciale dell’imputazione nel diritto penale. La questione fondamentale, di filosofia del diritto, concerne la natura del giudizio imputativo, se esso abbia un fondamento ontologico ovvero sia riducibile esclusivamente a una ascrizione ab externo, su base teleologico-funzionale, alla luce degli scopi sociali perseguiti dalla legge attraverso il sistema penale. Partendo dall’esperienza della giuridicità l’Autore propende decisamente per il primo corno dell’alternativa, sul rilievo che le relazioni giuridiche di imputazione assumono l’uomo nella sua condizione di persona immersa in una rete di relazioni sociali significative, intese come un insieme intelligibile di fatti, densi di senso etico, sociale e giuridico. Alla sequela del pensiero di Aristotele e della grande tradizione occidentale, l’Autore, sottolineando che le differenze tra la sfera della giuridicità e quella della moralità non implicano la loro separazione assoluta, come se diversi fossero l’uomo «morale» e l’uomo «giuridico», descrive il carattere dell’agentività umana come causa morale libera, siccome causa contingente e volontaria, da cui scaturisce il principio della responsabilità per ciò che, siccome originato da una causa libera, appartiene propriamente alla persona. Il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale, statuito dal 1° comma dell’art. 27 della Costituzione, trova il suo fondamento nell’essere il soggetto causa e principio della sua azione. Costituita sul fondamento della causalità morale, l’imputazione penale postula ineludibilmente la colpevolezza. L’Autore approfondisce, alla luce del dibattito scientifico attuale, il rapporto tra la colpevolezza, da un lato, e, dall’altro, il dolo e la colpa, pervenendo a un concetto dell’elemento soggettivo del reato inteso a intrecciare indissolubilmente insieme il profilo psicologico e il profilo assiologico dell’agire umano. L’Autore conclude il saggio delineando, in un’ottica rigorosamente personalista, quali siano le conseguenze dell’atto meritevoli di imputazione. Il criterio di giudizio fondamentale è il governo finalistico dell’agire dell’uomo in relazione al rispetto dei beni normativamente tutelati. Nella forma dolosa la persona si contrappone con la sua azione al bene valorizzato dalla legge come bene comune; egli lo nega e afferma al suo posto un effetto (definito nel linguaggio concreto come dis-valore) che egli si rappresenta e vuole come bene proprio. In tal modo egli sostituisce con il suo giudizio pratico una massima di segno opposto a quella assunta nella struttura razionale della legge. Nella forma colposa viene pure in considerazione l’aspetto finalistico che caratterizza l’agire umano, pure se in maniera diversa che nel caso della condotta dolosa. Nella colpa il bene, su cui l’azione incide negativamente, non attira in modo adeguato le potenze sensibili, intellettive e volitive del soggetto, sì da non costituire causa efficiente del dispiegamento dell’atto di energia, intellettiva e volitiva, necessaria per il rispetto del diritto. L’assenza di una risposta positiva del soggetto all’appello del bene e il conseguente mancato atto di energia intellettiva e volitiva è ciò che si chiama negligenza e che va a costituire il nucleo realmente soggettivo dell’imputazione per colpa. Entrambi gli effetti, sia quelli oggetto del fine, per cui quest’ultimo è la causa efficiente dell’agire, sia quelli provocati dalla inadeguata attenzione verso il bene, in cui quest’ultimo non ha avuto la forza di attivare la risposta positiva del soggetto, sono imputabili all’agente, perché egli ne è la causa morale e, dunque, anche la causa giuridica. Il saggio è chiuso con il riferimento alla centralità del concetto di bene, che è decisivo per una coerente focalizzazione dei criteri personalistici dell’imputazione penale e per una conoscenza non soltanto empirica, ma altresì razionale, del reato.

L'imputazione del torto penale

RONCO, MAURO
2010

Abstract

L’Autore affronta il tema cruciale dell’imputazione nel diritto penale. La questione fondamentale, di filosofia del diritto, concerne la natura del giudizio imputativo, se esso abbia un fondamento ontologico ovvero sia riducibile esclusivamente a una ascrizione ab externo, su base teleologico-funzionale, alla luce degli scopi sociali perseguiti dalla legge attraverso il sistema penale. Partendo dall’esperienza della giuridicità l’Autore propende decisamente per il primo corno dell’alternativa, sul rilievo che le relazioni giuridiche di imputazione assumono l’uomo nella sua condizione di persona immersa in una rete di relazioni sociali significative, intese come un insieme intelligibile di fatti, densi di senso etico, sociale e giuridico. Alla sequela del pensiero di Aristotele e della grande tradizione occidentale, l’Autore, sottolineando che le differenze tra la sfera della giuridicità e quella della moralità non implicano la loro separazione assoluta, come se diversi fossero l’uomo «morale» e l’uomo «giuridico», descrive il carattere dell’agentività umana come causa morale libera, siccome causa contingente e volontaria, da cui scaturisce il principio della responsabilità per ciò che, siccome originato da una causa libera, appartiene propriamente alla persona. Il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale, statuito dal 1° comma dell’art. 27 della Costituzione, trova il suo fondamento nell’essere il soggetto causa e principio della sua azione. Costituita sul fondamento della causalità morale, l’imputazione penale postula ineludibilmente la colpevolezza. L’Autore approfondisce, alla luce del dibattito scientifico attuale, il rapporto tra la colpevolezza, da un lato, e, dall’altro, il dolo e la colpa, pervenendo a un concetto dell’elemento soggettivo del reato inteso a intrecciare indissolubilmente insieme il profilo psicologico e il profilo assiologico dell’agire umano. L’Autore conclude il saggio delineando, in un’ottica rigorosamente personalista, quali siano le conseguenze dell’atto meritevoli di imputazione. Il criterio di giudizio fondamentale è il governo finalistico dell’agire dell’uomo in relazione al rispetto dei beni normativamente tutelati. Nella forma dolosa la persona si contrappone con la sua azione al bene valorizzato dalla legge come bene comune; egli lo nega e afferma al suo posto un effetto (definito nel linguaggio concreto come dis-valore) che egli si rappresenta e vuole come bene proprio. In tal modo egli sostituisce con il suo giudizio pratico una massima di segno opposto a quella assunta nella struttura razionale della legge. Nella forma colposa viene pure in considerazione l’aspetto finalistico che caratterizza l’agire umano, pure se in maniera diversa che nel caso della condotta dolosa. Nella colpa il bene, su cui l’azione incide negativamente, non attira in modo adeguato le potenze sensibili, intellettive e volitive del soggetto, sì da non costituire causa efficiente del dispiegamento dell’atto di energia, intellettiva e volitiva, necessaria per il rispetto del diritto. L’assenza di una risposta positiva del soggetto all’appello del bene e il conseguente mancato atto di energia intellettiva e volitiva è ciò che si chiama negligenza e che va a costituire il nucleo realmente soggettivo dell’imputazione per colpa. Entrambi gli effetti, sia quelli oggetto del fine, per cui quest’ultimo è la causa efficiente dell’agire, sia quelli provocati dalla inadeguata attenzione verso il bene, in cui quest’ultimo non ha avuto la forza di attivare la risposta positiva del soggetto, sono imputabili all’agente, perché egli ne è la causa morale e, dunque, anche la causa giuridica. Il saggio è chiuso con il riferimento alla centralità del concetto di bene, che è decisivo per una coerente focalizzazione dei criteri personalistici dell’imputazione penale e per una conoscenza non soltanto empirica, ma altresì razionale, del reato.
2010
Scritti in memoria di Giuliano Marini.
9788849520286
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2421978
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