Del principio di collaborazione o cooperazione tra Stato e Regioni si è cominciato a discutere in Italia fin dagli anni ’60. Sotto il profilo storico, si osserva che l’attuazione legislativa del sistema regionale è stata caratterizzata da frequenti oscillazioni ora verso il modello “separatista-garantista”, ora verso quello “partecipativo-collaborativo”. Anche dopo l’istituzione delle Regioni ordinarie - e fino alla fine degli anni ‘70 - la Corte ha continuato a mostrare una certa diffidenza nei confronti dell’esperienza regionalista, avvalorando la legislazione statale dell’epoca che tendeva ad assegnare alle Regioni il ruolo di enti amministrativi piuttosto che quello di enti aventi natura e rilievo costituzionale. Solo a metà degli anni ’80 il principio di collaborazione - volto a superare alcune formalistiche separazioni di competenze tra Stato e Regioni e a favorire l’esercizio coordinato delle rispettive funzioni - ha trovato infine piena consacrazione nelle sentenze della Corte. Il saggio intende esaminare gli strumenti di raccordo collaborativo, sia di tipo procedimentale che organizzativo, adottati dal legislatore prima e dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Emerge che fino alla riforma del Titolo V il principio di collaborazione, solo abbozzato nella nostra Costituzione del 1948, si è prestato agli sviluppi più diversi, non trovando sempre razionale e organica applicazione e si è via via arricchito di connotazioni tali da sortire un modello di regionalismo incentrato più sulla «competizione» che sulla cooperazione; un modello che non ha affatto valorizzato le Regioni come centri di potere decisionale, politicamente responsabili; un modello, infine, che ha mostrato tutta la sua inadeguatezza e che si è rivelato invero assai distante dal sistema di rapporti tra Stato e Regioni concepito dal Costituente. Nell’ottica di una riforma del nostro Stato in senso “federale”, o comunque di un potenziamento dell’autonomia regionale, occorreva ripensare ad un modello flessibile di rapporti fra centro e periferia, che da un lato assicurasse la partecipazione delle Regioni ai processi decisionali nazionali e dall’altro fosse in grado di limitare efficacemente le invasioni del potere, politico e burocratico, centrale; un modello, dunque, in cui la dimensione unitaria della nazione e le specificità locali potessero proficuamente intrecciarsi. Il sistema disegnato dalla riforma del Titolo V, tuttavia, non sembra rispondere appieno a tali aspettative. Mancano, infatti, forme organizzate e coerenti di raccordo tra i diversi livelli territoriali e si ha tuttora, in buona sostanza, un «regionalismo “organicista”», che vede cioè le Regioni ridotte a semplici «“terminali”» per il raggiungimento di obiettivi perlopiù stabiliti dallo Stato. La carenza di fondo riguarda proprio la concreta articolazione degli strumenti e delle sedi della cooperazione. Sul versante degli “esecutivi”, si è stabilita ormai, pur con molti limiti, una fitta rete di relazioni tra Stato e Regioni. Sul versante legislativo, invece, la partecipazione regionale è ancora piuttosto debole sia dal punto di vista funzionale che strutturale.

Le forme istituzionali di cooperazione fra Stato e Regioni

SANTINELLO, PAOLA
2010

Abstract

Del principio di collaborazione o cooperazione tra Stato e Regioni si è cominciato a discutere in Italia fin dagli anni ’60. Sotto il profilo storico, si osserva che l’attuazione legislativa del sistema regionale è stata caratterizzata da frequenti oscillazioni ora verso il modello “separatista-garantista”, ora verso quello “partecipativo-collaborativo”. Anche dopo l’istituzione delle Regioni ordinarie - e fino alla fine degli anni ‘70 - la Corte ha continuato a mostrare una certa diffidenza nei confronti dell’esperienza regionalista, avvalorando la legislazione statale dell’epoca che tendeva ad assegnare alle Regioni il ruolo di enti amministrativi piuttosto che quello di enti aventi natura e rilievo costituzionale. Solo a metà degli anni ’80 il principio di collaborazione - volto a superare alcune formalistiche separazioni di competenze tra Stato e Regioni e a favorire l’esercizio coordinato delle rispettive funzioni - ha trovato infine piena consacrazione nelle sentenze della Corte. Il saggio intende esaminare gli strumenti di raccordo collaborativo, sia di tipo procedimentale che organizzativo, adottati dal legislatore prima e dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Emerge che fino alla riforma del Titolo V il principio di collaborazione, solo abbozzato nella nostra Costituzione del 1948, si è prestato agli sviluppi più diversi, non trovando sempre razionale e organica applicazione e si è via via arricchito di connotazioni tali da sortire un modello di regionalismo incentrato più sulla «competizione» che sulla cooperazione; un modello che non ha affatto valorizzato le Regioni come centri di potere decisionale, politicamente responsabili; un modello, infine, che ha mostrato tutta la sua inadeguatezza e che si è rivelato invero assai distante dal sistema di rapporti tra Stato e Regioni concepito dal Costituente. Nell’ottica di una riforma del nostro Stato in senso “federale”, o comunque di un potenziamento dell’autonomia regionale, occorreva ripensare ad un modello flessibile di rapporti fra centro e periferia, che da un lato assicurasse la partecipazione delle Regioni ai processi decisionali nazionali e dall’altro fosse in grado di limitare efficacemente le invasioni del potere, politico e burocratico, centrale; un modello, dunque, in cui la dimensione unitaria della nazione e le specificità locali potessero proficuamente intrecciarsi. Il sistema disegnato dalla riforma del Titolo V, tuttavia, non sembra rispondere appieno a tali aspettative. Mancano, infatti, forme organizzate e coerenti di raccordo tra i diversi livelli territoriali e si ha tuttora, in buona sostanza, un «regionalismo “organicista”», che vede cioè le Regioni ridotte a semplici «“terminali”» per il raggiungimento di obiettivi perlopiù stabiliti dallo Stato. La carenza di fondo riguarda proprio la concreta articolazione degli strumenti e delle sedi della cooperazione. Sul versante degli “esecutivi”, si è stabilita ormai, pur con molti limiti, una fitta rete di relazioni tra Stato e Regioni. Sul versante legislativo, invece, la partecipazione regionale è ancora piuttosto debole sia dal punto di vista funzionale che strutturale.
2010
Federalismi a confronto. Dalle esperienze straniere al caso Veneto.
9788813291044
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