L’integrazione lavorativa fa generalmente registrare più consistenti livelli di indipendenza personale e una maggiore autodeterminazione nelle persone con o senza disabilità. Il tema dell’integrazione lavorativa e delle attività che debbono essere implementate al fine di favorirla, come quelle di orientamento, continuano a essere una «questione» decisamente importante in quanto la possibilità di ricoprire un ruolo professionale costituisce un indiscutibile criterio di valutazione dell’efficacia dei trattamenti che, nel corso degli anni, sono stati realizzati [Scoretti 2002]. A sostegno di tutto ciò è sufficiente ricordare che: a) già oltre trent’anni fa la riabilitazione veniva definita in termini di processo volto ad aiutare il paziente a recuperare o a sviluppare alcune capacità vantaggiose da un punto di vista fisico, psicologico, sociale ed economico, ovvero quelle di comunicare, di adattarsi, di stabilire rapporti interpersonali, di comportarsi in maniera adeguata sul lavoro e nel tempo libero b) Wilson [1990] sosteneva che lo scopo della riabilitazione è quello di riportare i pazienti al massimo grado di adattamento fisico, psicologico e sociale, mirando a ridurre l’impatto della disabilità e a favorire un’integrazione ottimale; c) l’OMS [1997] suggerisce di considerare la riabilitazione come un insieme di azioni e di interventi che sono volti ad alleviare le menomazioni e le disabilità e a migliorare, nel limite del possibile, la vita delle persone; d) Lieberman [1997] ritiene che l’indicatore di esito più importante, dopo un programma di riabilitazione, non è tanto il presunto miglioramento della qualità del comportamento, bensì l’impatto migliorativo sulla vita sociale del paziente. Al fine di aumentare la probabilità di far sperimentare successo lavorativo anche alle persone con disabilità, già negli anni settanta, e soprattutto negli Stati Uniti, sono stati approntati e sperimentati una serie di programmi, denominati per lo più di «transizione» (transitional employment, TE), che si proponevano in primo luogo l’incremento di abilità professionali di base e la realizzazione di una serie di inserimenti lavorativi temporanei. Tutto ciò nel convincimento: 1. che anche alle persone con disabilità, incluse quelle con difficoltà cognitive e comportamentali, deve essere riconosciuta la possibilità di apprendere quanto necessario allo svolgimento di compiti lavorativi anche complessi; 2. che se adeguatamente «supportate», queste persone possono manifestare adeguate capacità produttive anche in ambienti lavorativi competitivi non «protetti»; 3. che non può essere più messa in discussione, anche a proposito dell’orientamento e della formazione professionale, la superiorità del modello dell’integrazione nei confronti di tutte quelle modalità che prevedono forme «separate» e «speciali» di fronteggiamento del problema lavorativo delle persone con menomazioni. In linea con quanto sopra in questo capitolo ci si è occupati dell’analisi del concetto di lavoro, di studio e di tempo libero di persone disabili.

L' orientamento

SORESI, SALVATORE;NOTA, LAURA;FERRARI, LEA
2007

Abstract

L’integrazione lavorativa fa generalmente registrare più consistenti livelli di indipendenza personale e una maggiore autodeterminazione nelle persone con o senza disabilità. Il tema dell’integrazione lavorativa e delle attività che debbono essere implementate al fine di favorirla, come quelle di orientamento, continuano a essere una «questione» decisamente importante in quanto la possibilità di ricoprire un ruolo professionale costituisce un indiscutibile criterio di valutazione dell’efficacia dei trattamenti che, nel corso degli anni, sono stati realizzati [Scoretti 2002]. A sostegno di tutto ciò è sufficiente ricordare che: a) già oltre trent’anni fa la riabilitazione veniva definita in termini di processo volto ad aiutare il paziente a recuperare o a sviluppare alcune capacità vantaggiose da un punto di vista fisico, psicologico, sociale ed economico, ovvero quelle di comunicare, di adattarsi, di stabilire rapporti interpersonali, di comportarsi in maniera adeguata sul lavoro e nel tempo libero b) Wilson [1990] sosteneva che lo scopo della riabilitazione è quello di riportare i pazienti al massimo grado di adattamento fisico, psicologico e sociale, mirando a ridurre l’impatto della disabilità e a favorire un’integrazione ottimale; c) l’OMS [1997] suggerisce di considerare la riabilitazione come un insieme di azioni e di interventi che sono volti ad alleviare le menomazioni e le disabilità e a migliorare, nel limite del possibile, la vita delle persone; d) Lieberman [1997] ritiene che l’indicatore di esito più importante, dopo un programma di riabilitazione, non è tanto il presunto miglioramento della qualità del comportamento, bensì l’impatto migliorativo sulla vita sociale del paziente. Al fine di aumentare la probabilità di far sperimentare successo lavorativo anche alle persone con disabilità, già negli anni settanta, e soprattutto negli Stati Uniti, sono stati approntati e sperimentati una serie di programmi, denominati per lo più di «transizione» (transitional employment, TE), che si proponevano in primo luogo l’incremento di abilità professionali di base e la realizzazione di una serie di inserimenti lavorativi temporanei. Tutto ciò nel convincimento: 1. che anche alle persone con disabilità, incluse quelle con difficoltà cognitive e comportamentali, deve essere riconosciuta la possibilità di apprendere quanto necessario allo svolgimento di compiti lavorativi anche complessi; 2. che se adeguatamente «supportate», queste persone possono manifestare adeguate capacità produttive anche in ambienti lavorativi competitivi non «protetti»; 3. che non può essere più messa in discussione, anche a proposito dell’orientamento e della formazione professionale, la superiorità del modello dell’integrazione nei confronti di tutte quelle modalità che prevedono forme «separate» e «speciali» di fronteggiamento del problema lavorativo delle persone con menomazioni. In linea con quanto sopra in questo capitolo ci si è occupati dell’analisi del concetto di lavoro, di studio e di tempo libero di persone disabili.
2007
Psicologia delle disabilità
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2450477
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