Nel processo di costruzione di un’“Europa della cultura”, alla luce del nuovo spirito del Trattato di Lisbona, l’Italia può e deve certamente giocare un ruolo di primo piano. Non tanto (o non solo) perché depositaria di un patrimonio culturale, materiale e immateriale, immenso e capillarmente diffuso, sulla cui salvaguardia e sul cui sviluppo l’Unione europea ha il dovere di «vigilare» (art. 3 co. 3 TUE), quanto (soprattutto) perché essa è caratterizzata da una ricchissima diversità culturale e linguistica, frutto della propria storia e della propria posizione geografica, che costituisce una risorsa – e al tempo stesso una sfida – per l’intero continente. Quella italiana è in effetti un’identità multiculturale per eccellenza, fatta di somiglianze e di differenze (di idiomi, tradizioni, stili di vita e di lavoro ecc.) che si intrecciano, si scompongono e si ricompongono di continuo, stante la molteplicità delle culture, autoctone e non, presenti da sempre nelle varie parti della penisola. L’elevato pluralismo culturale che caratterizza il nostro Paese (e che è andato arricchendosi negli ultimi anni per l’intensificarsi dei fenomeni migratori dal Nord Africa e dall’Est Europa) lo ha portato ad elaborare uno specifico sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico, attento alle sue peculiarità e ai suoi legami con il territorio, e di protezione delle minoranze linguistiche, incentrato sul riconoscimento ai loro appartenenti di sempre maggiori diritti culturali e politici. Assai più prudente, almeno finora, è stato invece il legislatore italiano nell’attribuire diritti collettivi a gruppi e comunità, per quanto minoritari, nella consapevolezza che essi possono rivelarsi anche formidabili centri di potere, capaci di esercitare forme di oppressione non meno gravi di quelle provenienti dal potere pubblico. Posto che la tutela giuridica delle minoranze costituisce una grande e irreversibile conquista storica dell’Italia e di molti altri Paesi europei, il valore centrale della nostra Costituzione rimane pur sempre la persona umana, con la sua dignità e i suoi diritti, al cui servizio si pongono tutte le istituzioni pubbliche e private. Se si vuole assicurare il libero sviluppo della persona e la sua piena autonomia in ogni campo della vita, compreso quello culturale, bisogna concederle diritti nei confronti delle collettività di cui fa parte prima di concedere diritti alle collettività che possano poi farli valere, direttamente o indirettamente, nei confronti dei propri membri o di soggetti esterni. Il problema decisivo della politica culturale italiana, così come di quella europea, non è dunque tanto il riconoscimento di diritti collettivi all’identità e/o alla diversità culturale, che possono alimentare particolarismi e fondamentalismi di ogni genere spingendo alla frammentazione sociale e alla ghettizzazione, quanto l’effettiva garanzia di esercizio del diritto alla cultura e all’identità culturale di ogni individuo, che si realizza attraverso l’esperienza della diversità (politica, sociale, culturale, linguistica, religiosa ecc.) e rappresenta una condizione indispensabile per un autentico dialogo interculturale. Purtroppo, proprio quando sarebbe chiamata a contribuire all’elaborazione di una “costituzione culturale europea” portandovi la propria tradizione, costituzionale e legislativa, di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e di protezione e promozione delle diversità culturali, l’Italia appare quasi bloccata, prigioniera di incertezze sulle scelte da compiere e le soluzioni da adottare, con il rischio di presentarsi disarmata al confronto e pronta ad appiattirsi su altre concezioni. Vero è che quello che accadrà alla cultura italiana negli anni a venire costituirà un importante banco di prova per l’intera Unione europea. È anche per questo che le vicende del nostro patrimonio – costantemente in bilico tra centro e periferia, pubblico e privato – sono seguite dentro e fuori dall’Italia con attenzione e una certa preoccupazione. Ed è per questo che i cittadini italiani, e prima ancora chi li governa, devono sentirsi investiti di una grande responsabilità «non solo verso la tradizione e la storia, ma più ancora verso le generazioni future» (Settis): la responsabilità di costruire, a fianco di un’Europa degli Stati e dei mercati, fondata sulla cooperazione e la concorrenza, un’Europa delle persone e dei popoli, fondata sulla cultura e il patrimonio culturale.

La salvaguardia del patrimonio culturale italiano tra identità e diversità

GIAMPIERETTI, MARCO
2011

Abstract

Nel processo di costruzione di un’“Europa della cultura”, alla luce del nuovo spirito del Trattato di Lisbona, l’Italia può e deve certamente giocare un ruolo di primo piano. Non tanto (o non solo) perché depositaria di un patrimonio culturale, materiale e immateriale, immenso e capillarmente diffuso, sulla cui salvaguardia e sul cui sviluppo l’Unione europea ha il dovere di «vigilare» (art. 3 co. 3 TUE), quanto (soprattutto) perché essa è caratterizzata da una ricchissima diversità culturale e linguistica, frutto della propria storia e della propria posizione geografica, che costituisce una risorsa – e al tempo stesso una sfida – per l’intero continente. Quella italiana è in effetti un’identità multiculturale per eccellenza, fatta di somiglianze e di differenze (di idiomi, tradizioni, stili di vita e di lavoro ecc.) che si intrecciano, si scompongono e si ricompongono di continuo, stante la molteplicità delle culture, autoctone e non, presenti da sempre nelle varie parti della penisola. L’elevato pluralismo culturale che caratterizza il nostro Paese (e che è andato arricchendosi negli ultimi anni per l’intensificarsi dei fenomeni migratori dal Nord Africa e dall’Est Europa) lo ha portato ad elaborare uno specifico sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico, attento alle sue peculiarità e ai suoi legami con il territorio, e di protezione delle minoranze linguistiche, incentrato sul riconoscimento ai loro appartenenti di sempre maggiori diritti culturali e politici. Assai più prudente, almeno finora, è stato invece il legislatore italiano nell’attribuire diritti collettivi a gruppi e comunità, per quanto minoritari, nella consapevolezza che essi possono rivelarsi anche formidabili centri di potere, capaci di esercitare forme di oppressione non meno gravi di quelle provenienti dal potere pubblico. Posto che la tutela giuridica delle minoranze costituisce una grande e irreversibile conquista storica dell’Italia e di molti altri Paesi europei, il valore centrale della nostra Costituzione rimane pur sempre la persona umana, con la sua dignità e i suoi diritti, al cui servizio si pongono tutte le istituzioni pubbliche e private. Se si vuole assicurare il libero sviluppo della persona e la sua piena autonomia in ogni campo della vita, compreso quello culturale, bisogna concederle diritti nei confronti delle collettività di cui fa parte prima di concedere diritti alle collettività che possano poi farli valere, direttamente o indirettamente, nei confronti dei propri membri o di soggetti esterni. Il problema decisivo della politica culturale italiana, così come di quella europea, non è dunque tanto il riconoscimento di diritti collettivi all’identità e/o alla diversità culturale, che possono alimentare particolarismi e fondamentalismi di ogni genere spingendo alla frammentazione sociale e alla ghettizzazione, quanto l’effettiva garanzia di esercizio del diritto alla cultura e all’identità culturale di ogni individuo, che si realizza attraverso l’esperienza della diversità (politica, sociale, culturale, linguistica, religiosa ecc.) e rappresenta una condizione indispensabile per un autentico dialogo interculturale. Purtroppo, proprio quando sarebbe chiamata a contribuire all’elaborazione di una “costituzione culturale europea” portandovi la propria tradizione, costituzionale e legislativa, di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e di protezione e promozione delle diversità culturali, l’Italia appare quasi bloccata, prigioniera di incertezze sulle scelte da compiere e le soluzioni da adottare, con il rischio di presentarsi disarmata al confronto e pronta ad appiattirsi su altre concezioni. Vero è che quello che accadrà alla cultura italiana negli anni a venire costituirà un importante banco di prova per l’intera Unione europea. È anche per questo che le vicende del nostro patrimonio – costantemente in bilico tra centro e periferia, pubblico e privato – sono seguite dentro e fuori dall’Italia con attenzione e una certa preoccupazione. Ed è per questo che i cittadini italiani, e prima ancora chi li governa, devono sentirsi investiti di una grande responsabilità «non solo verso la tradizione e la storia, ma più ancora verso le generazioni future» (Settis): la responsabilità di costruire, a fianco di un’Europa degli Stati e dei mercati, fondata sulla cooperazione e la concorrenza, un’Europa delle persone e dei popoli, fondata sulla cultura e il patrimonio culturale.
2011
Le culture dell’Europa, l’Europa della cultura
9788856845204
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