Prendendo spunto dalle interessanti sentenze T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 8 giugno 2011, n. 1428 e T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 25 novembre 2011, n. 1807, l’articolo affronta la dibattuta questione della ammissibilità, nel processo amministrativo, della c.d. azione di adempimento, e cioè quella azione diretta ad ottenere dal giudice amministrativo, in sede cognitoria (e non di ottemperanza), una sentenza ordinatoria e di condanna ad un facere giuridico e non meramente ripristinatoria della posizione di partenza, attraverso l’annullamento dell’atto illegittimo. Sotto tale profilo, viene, innanzitutto, ricostruito il percorso il percorso evolutivo seguito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, per superare gli ostacoli tradizionalmente opposti alla ammissibilità di un’azione di adempimento nel processo amministrativo, nonché gli argomenti di diritto positivo utilizzati a questo scopo (quali il carattere strumentale del processo e il principio di effettività della tutela). Movendo dalle pronunce citate – e, in particolare, dalla sentenza del T.A.R. Lombardia, che ricostruisce in modo accurato tale evoluzione legislativa e giurisprudenziale – si passa, quindi, ad esaminare l’incidenza del Codice del processo amministrativo (approvato con il D.Lgs. n. 104/2010) su tale percorso evolutivo. In particolare, lo studio – pur dando atto della formale eliminazione, dal testo definitivo del Codice, dell’azione «tipica» di adempimento – individua gli argomenti di ordine testuale e logico-sistematico rintracciabili, nello stesso Codice, a sostegno di un’azione «atipica» di condanna, ravvisandoli, in particolare, negli artt. 30, 1° comma, e 34, comma 1, lett. c) e lett. e). Tali disposizioni sembrano, infatti, prefigurare un potere di condanna senza restrizione di oggetto, modulabile a seconda del bisogno differenziato emerso in giudizio; ovvero, all’occorrenza, quale sbocco di una tutela restitutoria, ripristinatoria ovvero di adempimento pubblicistico coattivo. Vi sono poi ragioni sistematiche – oltre che letterali – che inducono a ritenere che, anche nel testo definitivo del Codice, permanga una azione di questo genere. Nel predetto testo, l’azione di annullamento continua a coesistere accanto ad altre due azioni che hanno una portata altrettanto generale: quella di risarcimento del danno – anche in forma specifica – e quella di condanna, che si distingue dalla prima perché non è volta alla eliminazione delle conseguenze patrimoniali (e non patrimoniali) della lesione ma alla reintegrazione della posizione soggettiva lesa. Sembra, quindi, sussistere, anche nell’attuale impianto del Codice, una «generale azione reintegratoria», posta indistintamente a presidio dei diritti soggettivi così come degli interessi legittimi, che consente al giudice di adottare «tutte le misure idonee a tutelare la posizione giuridica dedotta in giudizio». Nella seconda parte del lavoro ci si sofferma sui caratteri e sui limiti di questa originale azione di condanna nonché sui corrispondenti poteri (cognitori ed istruttori) del giudice, esaminando il problema con particolare riguardo al rilascio di titoli abilitativi edilizi. In particolare, si ritiene condivisibile, sotto tale profilo, l’ orientamento espresso dalle due pronunce in esame, secondo cui, in assenza di una indicazione normativa, devono ritenersi applicabili, anche con riferimento all’azione «atipica» di condanna, i limiti già previsti per le pronunce rese avverso il silenzio in ordine alla fondatezza della domanda, potendo il giudice amministrativo valutare la spettanza del provvedimento nei (soli) casi di attività vincolata o di consumazione, anche nel corso del giudizio, della discrezionalità della p.A..

L’azione «atipica» di condanna; caratteri, limiti e sua esperibilità nei casi di diniego di titoli abilitativi edilizi.

BENETAZZO, CRISTIANA
2012

Abstract

Prendendo spunto dalle interessanti sentenze T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 8 giugno 2011, n. 1428 e T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 25 novembre 2011, n. 1807, l’articolo affronta la dibattuta questione della ammissibilità, nel processo amministrativo, della c.d. azione di adempimento, e cioè quella azione diretta ad ottenere dal giudice amministrativo, in sede cognitoria (e non di ottemperanza), una sentenza ordinatoria e di condanna ad un facere giuridico e non meramente ripristinatoria della posizione di partenza, attraverso l’annullamento dell’atto illegittimo. Sotto tale profilo, viene, innanzitutto, ricostruito il percorso il percorso evolutivo seguito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, per superare gli ostacoli tradizionalmente opposti alla ammissibilità di un’azione di adempimento nel processo amministrativo, nonché gli argomenti di diritto positivo utilizzati a questo scopo (quali il carattere strumentale del processo e il principio di effettività della tutela). Movendo dalle pronunce citate – e, in particolare, dalla sentenza del T.A.R. Lombardia, che ricostruisce in modo accurato tale evoluzione legislativa e giurisprudenziale – si passa, quindi, ad esaminare l’incidenza del Codice del processo amministrativo (approvato con il D.Lgs. n. 104/2010) su tale percorso evolutivo. In particolare, lo studio – pur dando atto della formale eliminazione, dal testo definitivo del Codice, dell’azione «tipica» di adempimento – individua gli argomenti di ordine testuale e logico-sistematico rintracciabili, nello stesso Codice, a sostegno di un’azione «atipica» di condanna, ravvisandoli, in particolare, negli artt. 30, 1° comma, e 34, comma 1, lett. c) e lett. e). Tali disposizioni sembrano, infatti, prefigurare un potere di condanna senza restrizione di oggetto, modulabile a seconda del bisogno differenziato emerso in giudizio; ovvero, all’occorrenza, quale sbocco di una tutela restitutoria, ripristinatoria ovvero di adempimento pubblicistico coattivo. Vi sono poi ragioni sistematiche – oltre che letterali – che inducono a ritenere che, anche nel testo definitivo del Codice, permanga una azione di questo genere. Nel predetto testo, l’azione di annullamento continua a coesistere accanto ad altre due azioni che hanno una portata altrettanto generale: quella di risarcimento del danno – anche in forma specifica – e quella di condanna, che si distingue dalla prima perché non è volta alla eliminazione delle conseguenze patrimoniali (e non patrimoniali) della lesione ma alla reintegrazione della posizione soggettiva lesa. Sembra, quindi, sussistere, anche nell’attuale impianto del Codice, una «generale azione reintegratoria», posta indistintamente a presidio dei diritti soggettivi così come degli interessi legittimi, che consente al giudice di adottare «tutte le misure idonee a tutelare la posizione giuridica dedotta in giudizio». Nella seconda parte del lavoro ci si sofferma sui caratteri e sui limiti di questa originale azione di condanna nonché sui corrispondenti poteri (cognitori ed istruttori) del giudice, esaminando il problema con particolare riguardo al rilascio di titoli abilitativi edilizi. In particolare, si ritiene condivisibile, sotto tale profilo, l’ orientamento espresso dalle due pronunce in esame, secondo cui, in assenza di una indicazione normativa, devono ritenersi applicabili, anche con riferimento all’azione «atipica» di condanna, i limiti già previsti per le pronunce rese avverso il silenzio in ordine alla fondatezza della domanda, potendo il giudice amministrativo valutare la spettanza del provvedimento nei (soli) casi di attività vincolata o di consumazione, anche nel corso del giudizio, della discrezionalità della p.A..
2012
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