Negli anni immediatamente successivi alle principes delle Rime di Bembo e di Sannazaro, due occasioni editoriali considerate dei punti di svolta, si apre una lunga stagione di grande fioritura di prove liriche, in virtù del pieno e definitivo affermarsi di una lingua poetica pienamente codificata. Nell’insieme però il panorama si presenta particolarmente articolato e mosso, dando vita a una fase caratterizzata da una pluralità di esperienze liriche che da un lato poggiano sulla piena legittimazione teorica garantita dall’impianto bembiano, dall’altro mirano a sperimentare e a superare le forme percepite spesso come troppo strette che proprio quell’impianto aveva garantito. I saggi raccolti, parte già editi, mirano a indagare da diversi punti prospettici - la forma del libro dall’antologia al liber, il paratesto e l’esegesi nelle sue diverse forme - questo fenomeno di sperimentazione che sembra avere come scopo dichiarato la rivendicazione piena di una modernità ormai acquisita; si tratta di istanze teoriche e pratiche che contraddistinguono il periodo in questione e preparano il terreno per la lirica di fine secolo, sia per il dialogo intertestuale sia per le forme in cui concretamente il testo lirico viene messo in circolazione. Nel primo capitolo, Le ragioni del ‘moderno’ nella lirica del XVI secolo tra teoria e prassi, si ripercorre a volo d’uccello l’intero arco cronologico preso in esame, con alcune puntate in avanti verso le esperienze del tardo Cinquecento, con lo scopo di rilevare l’ermegere in modi e forme diverse di una forte rivendicazione di ‘modernità’ della lirica, anche, e si potrebbe aggiungere soprattutto, sul piano teorico. Si tratta di un’istanza che prende sistematicamente forma attraverso la presenza di forme di commento e autocommento con cui sempre più spesso la lirica viene presentata ai suoi lettori, in nome di uno stretto connubio tra scrittura lirica e ragioni teoriche del fare poesia. Il secondo capitolo, intitolato Alcuni aspetti delle antologie liriche del secondo Cinquecento, affrontano invece il problema delle diverse forme che il libro di poesia assume in questi anni. Oltre al tentativo di imitare i Rerum vulgarium fragmenta, istanza forse non così avvertita nel Cinquecento come i lettori moderni vorrebbero, la dimensione corale dell’antologia, capace di farsi perimetro accogliente per una poesia dai forti toni plurali e aperta anche ai letterati non professionisti, sembra rappresentare un contenitore ideale del petrarchismo di questi anni. Allo stesso modo, nella composita tradizione della poesia sacra e spirituale, oltre all’imitazione puntuale di alcune zone del Canzoniere petrarchesco, si registra la tensione crescente verso un libro di poesia coerente e attento alle perfetta simmetria dell’insieme; per questa ragione si vanno cercando modelli altri rispetto a Petrarca, nel tentativo di rinnovare o, addirittura, di rifondare una nuova lingua lirica che affondi le radici nel terreno della tradizione sacra. Gli ultimi tre capitoli (Strategie paratestuali nel commento alla lirica del XVI secolo (1540-1560); Le letture di poesia e il petrarchismo nell'Accademia degli Infiammati; Esegesi di Petrarca in Accademia) sono centrati specialmente sul fronte del commento e, con esso, della teoria del genere lirico. Se, come è noto, manca per questi anni una specifica discussione teorica sulle forme della lirica, è pur vero che di essa si trova ampia documentazione tanto nelle forme del commento e dell’autocommento, che proprio in questi anni registrano un forte aumento delle presenze, quanto nella pratica, anch’essa via via più diffusa, delle ‘letture’ in Accademia, documenti troppo spesso considerati marginali ed eccentrici rispetto alla discussione del genere lirico.

Studi sulla lirica rinascimentale (1540-1570)

TOMASI, FRANCO
2012

Abstract

Negli anni immediatamente successivi alle principes delle Rime di Bembo e di Sannazaro, due occasioni editoriali considerate dei punti di svolta, si apre una lunga stagione di grande fioritura di prove liriche, in virtù del pieno e definitivo affermarsi di una lingua poetica pienamente codificata. Nell’insieme però il panorama si presenta particolarmente articolato e mosso, dando vita a una fase caratterizzata da una pluralità di esperienze liriche che da un lato poggiano sulla piena legittimazione teorica garantita dall’impianto bembiano, dall’altro mirano a sperimentare e a superare le forme percepite spesso come troppo strette che proprio quell’impianto aveva garantito. I saggi raccolti, parte già editi, mirano a indagare da diversi punti prospettici - la forma del libro dall’antologia al liber, il paratesto e l’esegesi nelle sue diverse forme - questo fenomeno di sperimentazione che sembra avere come scopo dichiarato la rivendicazione piena di una modernità ormai acquisita; si tratta di istanze teoriche e pratiche che contraddistinguono il periodo in questione e preparano il terreno per la lirica di fine secolo, sia per il dialogo intertestuale sia per le forme in cui concretamente il testo lirico viene messo in circolazione. Nel primo capitolo, Le ragioni del ‘moderno’ nella lirica del XVI secolo tra teoria e prassi, si ripercorre a volo d’uccello l’intero arco cronologico preso in esame, con alcune puntate in avanti verso le esperienze del tardo Cinquecento, con lo scopo di rilevare l’ermegere in modi e forme diverse di una forte rivendicazione di ‘modernità’ della lirica, anche, e si potrebbe aggiungere soprattutto, sul piano teorico. Si tratta di un’istanza che prende sistematicamente forma attraverso la presenza di forme di commento e autocommento con cui sempre più spesso la lirica viene presentata ai suoi lettori, in nome di uno stretto connubio tra scrittura lirica e ragioni teoriche del fare poesia. Il secondo capitolo, intitolato Alcuni aspetti delle antologie liriche del secondo Cinquecento, affrontano invece il problema delle diverse forme che il libro di poesia assume in questi anni. Oltre al tentativo di imitare i Rerum vulgarium fragmenta, istanza forse non così avvertita nel Cinquecento come i lettori moderni vorrebbero, la dimensione corale dell’antologia, capace di farsi perimetro accogliente per una poesia dai forti toni plurali e aperta anche ai letterati non professionisti, sembra rappresentare un contenitore ideale del petrarchismo di questi anni. Allo stesso modo, nella composita tradizione della poesia sacra e spirituale, oltre all’imitazione puntuale di alcune zone del Canzoniere petrarchesco, si registra la tensione crescente verso un libro di poesia coerente e attento alle perfetta simmetria dell’insieme; per questa ragione si vanno cercando modelli altri rispetto a Petrarca, nel tentativo di rinnovare o, addirittura, di rifondare una nuova lingua lirica che affondi le radici nel terreno della tradizione sacra. Gli ultimi tre capitoli (Strategie paratestuali nel commento alla lirica del XVI secolo (1540-1560); Le letture di poesia e il petrarchismo nell'Accademia degli Infiammati; Esegesi di Petrarca in Accademia) sono centrati specialmente sul fronte del commento e, con esso, della teoria del genere lirico. Se, come è noto, manca per questi anni una specifica discussione teorica sulle forme della lirica, è pur vero che di essa si trova ampia documentazione tanto nelle forme del commento e dell’autocommento, che proprio in questi anni registrano un forte aumento delle presenze, quanto nella pratica, anch’essa via via più diffusa, delle ‘letture’ in Accademia, documenti troppo spesso considerati marginali ed eccentrici rispetto alla discussione del genere lirico.
2012
9788884556684
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