Le norme fondamentali tutelano aspetti della vita umana indispensabile ad un degno sviluppo della personalità. Per questa ragione, una volta stabilite nella Costituzione, esse devono essere rispettata dal legislatore ordinario. Malgrado la sua incontrovertibile sensatezza agli occhi di un osservatore occidentale di fine del XX° secolo, questa affermazione si è confrontata agli inizi del costituzionalismo con diversi problemi di ordine teorico e pratico. La principale difficoltà teorica ebbe origine nella concezione della legge – ogni legge, anche quella ordinaria – quale espressione della volontà dei cittadini, concezione propria principalmente dell’Europa continentale. Se la legge esprimeva sempre la volontà del popolo non poteva esistere motivo tanto importante da far porre sopra ad essa un altro ordine normativo. In secondo luogo, esisteva un importante scoglio di ordine operativo: erano carenti le tecniche giuridiche capaci di assicurare la supremazia della Costituzione. Il primo ostacolo fu superato in modo naturale: rapidamente in alcuni casi e più lentamente in altri, la realtà lasciò vedere che la legislazione ordinaria molte volte cadeva in contraddizione con la Costituzione, anche violando le norme fondamentali. Il superamento del secondo ostacolo deve attribuirsi in misura determinante alla pratica costituzionale statunitense, e, più specificamente, all’operato della Corte suprema. Fu in effetti nel celebre caso Marbury vs Madison del 1803 , che si posero le basi della judicial review, dottrina che, lasciando da parte alcune differenze che la separano dai regimi di controllo accentrato, costituisce la colonna vertebrale della giurisdizione costituzionale nel mondo occidentale. Fino a quando non si constatarono le contraddizioni tra legalità e costituzionalità, e si consolidò il controllo di costituzionalità in un ordine giuridico concreto, la vigenza dei diritti fondamentali si limitò al rispetto del principio di legalità. Tuttavia, la soggezione del legislatore alla Costituzione non poteva significare, né significò mai, la proibizione di ogni intervento sulle norme fondamentali. Tale intervento è stato giustificato storicamente in vario modo. In primo luogo l’ampiezza caratteristica delle norme fondamentali ha sempre richiesto un complemento quasi indispensabile di concrezioni che le rendessero applicabili. Tant’è così, che in molti casi è proprio il Costituente che espressamente abilita gli interventi del legislatore ordinario. Una seconda ragione ha origine nella cosiddetta natura bifronte delle norme fondamentali: se si accetta che tali norme impongono al legislatore non solo un obbligo di astensione, cioè di non fare, ma anche un obbligo di fare, allora si deve anche accettare che esse posseggano facoltà adeguate per il raggiungimento di questa finalità. Quanto precede mette in evidenza che il legislatore può e deve intervenire sulle norme fondamentali. Ciò fa rinascere il problema della soggezione del legislatore alla Costituzione. Intesa in senso forte essa richiede la formulazione di limiti alle facoltà del legislatore ordinario. In altre parole, le regolazioni che il legislatore stabilisce riguardo le norme fondamentali necessitano, a loro volta, di limiti che assicurino la sua soggezione alla Costituzione. La dottrina e la giurisprudenza recenti hanno parlato per questo dell’esistenza di «limiti dei limiti». Uno studio completo della nozione di diritto fondamentale e di norma fondamentale richiede perciò l’esame dei concetti di limiti fondamentali e di limiti dei limiti. In questo lavoro si esamineranno i limiti dei diritti fondamentali. Si vedranno, in successione, la loro concettualizzazione nella giurisprudenza e nella dottrina, il loro ruolo nel diritto costituzionale e, a grandi linee, nella teoria del diritto. Non toccheremo qui il tema dei «limiti dei limiti», ossia del contenuto essenziale e del principio di ragionevolezza. Ci accosteremo al concetto di limiti prendendo come punto di partenza la giurisprudenza e la dottrina spagnole, anche se ciò non ci esimerà da alcuni opportuni riferimenti al diritto costituzionale tedesco.

I limiti dei diritti fondamentali

GEROTTO, SERGIO
2002

Abstract

Le norme fondamentali tutelano aspetti della vita umana indispensabile ad un degno sviluppo della personalità. Per questa ragione, una volta stabilite nella Costituzione, esse devono essere rispettata dal legislatore ordinario. Malgrado la sua incontrovertibile sensatezza agli occhi di un osservatore occidentale di fine del XX° secolo, questa affermazione si è confrontata agli inizi del costituzionalismo con diversi problemi di ordine teorico e pratico. La principale difficoltà teorica ebbe origine nella concezione della legge – ogni legge, anche quella ordinaria – quale espressione della volontà dei cittadini, concezione propria principalmente dell’Europa continentale. Se la legge esprimeva sempre la volontà del popolo non poteva esistere motivo tanto importante da far porre sopra ad essa un altro ordine normativo. In secondo luogo, esisteva un importante scoglio di ordine operativo: erano carenti le tecniche giuridiche capaci di assicurare la supremazia della Costituzione. Il primo ostacolo fu superato in modo naturale: rapidamente in alcuni casi e più lentamente in altri, la realtà lasciò vedere che la legislazione ordinaria molte volte cadeva in contraddizione con la Costituzione, anche violando le norme fondamentali. Il superamento del secondo ostacolo deve attribuirsi in misura determinante alla pratica costituzionale statunitense, e, più specificamente, all’operato della Corte suprema. Fu in effetti nel celebre caso Marbury vs Madison del 1803 , che si posero le basi della judicial review, dottrina che, lasciando da parte alcune differenze che la separano dai regimi di controllo accentrato, costituisce la colonna vertebrale della giurisdizione costituzionale nel mondo occidentale. Fino a quando non si constatarono le contraddizioni tra legalità e costituzionalità, e si consolidò il controllo di costituzionalità in un ordine giuridico concreto, la vigenza dei diritti fondamentali si limitò al rispetto del principio di legalità. Tuttavia, la soggezione del legislatore alla Costituzione non poteva significare, né significò mai, la proibizione di ogni intervento sulle norme fondamentali. Tale intervento è stato giustificato storicamente in vario modo. In primo luogo l’ampiezza caratteristica delle norme fondamentali ha sempre richiesto un complemento quasi indispensabile di concrezioni che le rendessero applicabili. Tant’è così, che in molti casi è proprio il Costituente che espressamente abilita gli interventi del legislatore ordinario. Una seconda ragione ha origine nella cosiddetta natura bifronte delle norme fondamentali: se si accetta che tali norme impongono al legislatore non solo un obbligo di astensione, cioè di non fare, ma anche un obbligo di fare, allora si deve anche accettare che esse posseggano facoltà adeguate per il raggiungimento di questa finalità. Quanto precede mette in evidenza che il legislatore può e deve intervenire sulle norme fondamentali. Ciò fa rinascere il problema della soggezione del legislatore alla Costituzione. Intesa in senso forte essa richiede la formulazione di limiti alle facoltà del legislatore ordinario. In altre parole, le regolazioni che il legislatore stabilisce riguardo le norme fondamentali necessitano, a loro volta, di limiti che assicurino la sua soggezione alla Costituzione. La dottrina e la giurisprudenza recenti hanno parlato per questo dell’esistenza di «limiti dei limiti». Uno studio completo della nozione di diritto fondamentale e di norma fondamentale richiede perciò l’esame dei concetti di limiti fondamentali e di limiti dei limiti. In questo lavoro si esamineranno i limiti dei diritti fondamentali. Si vedranno, in successione, la loro concettualizzazione nella giurisprudenza e nella dottrina, il loro ruolo nel diritto costituzionale e, a grandi linee, nella teoria del diritto. Non toccheremo qui il tema dei «limiti dei limiti», ossia del contenuto essenziale e del principio di ragionevolezza. Ci accosteremo al concetto di limiti prendendo come punto di partenza la giurisprudenza e la dottrina spagnole, anche se ciò non ci esimerà da alcuni opportuni riferimenti al diritto costituzionale tedesco.
2002
Ars Interpretandi
9788813227678
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2507480
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