In una grandissima parte della produzione grafica in alfabeto latino, dopo un periodo di assestamento, fra IV e V secolo, il rispetto per i nomina sacra, particolari forme di presentazione dei nomi di Dio, raccolti in un sistema definito e chiuso di carattere sacrale e simbolico, diventa sempre più consueto e imperativo. Per queste ragioni può essere interessante verificare se all’interno del documento altomedievale italiano i nomina sacra nel loro complesso siano stati sempre scritti rispettando quelle strutture compendiate come si sono venute definendo e imponendo nel corso dei secoli, oppure, invece, se per essi – almeno per alcuni di essi - si siano scelte forme alternative, magari del tutto arbitrarie. Si sono selezionate per questa verifica corpora di documenti, tutti datati al IX secolo, che fossero da un lato quantitativamente apprezzabili e dall’altro sufficientemente rappresentativi delle specificità locali che connotano la documentazione altomedievale italiana, ma soprattutto che avessero, in più, una loro forte coerenza ed omogeneità interne. Si è dunque esaminata documentazione piemontese, veneta, toscana e campana: le carte conservate nell’Archivio Capitolare di Asti, il fondo S. Maria in Organo dell’Archivio di Stato di Verona, una parte dello straordinariamente cospicuo numero di pergamene prodotte a Lucca nel IX secolo e infine le chartae conservate nell’Archivio della Badia della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni. All’interno delle fonti esaminate è possibile rilevare una distinzione di massima fra quelli che potremmo definire nomina sacra in senso stretto e proprio, dunque i termini per Dominus, Deus, Iesus, Christus, sanctus, e quelli che invece indicano diverse funzioni degli appartenenti al mondo ecclesiastico, come episcopus, clericus, presbiter, diaconus o anche Ecclesia. A questa bipartizione corrisponde una grande ed evidente bipartizione di comportamenti e di esiti. Per esprimere nomi e attributi della divinità si tende comunque a rimanere nell’alveo di una tradizione consolidata, evitando le modifiche e rispettando quelli che vengono evidentemente ritenuti come i simboli grafici riconoscibili del sacro. È probabile invece, all’opposto, che tutta un’altra serie di termini, quelli utilizzati ad esempio per indicare le gerarchie ecclesiastiche, sia stata percepita come meno legata al sacro e dunque meno simbolica; gli scriventi pertanto si sono ritenuti liberi di trattarli come qualsiasi altra parola, da abbreviare o meno, in relazione al contesto, agli spazi, ai destinatari del prodotto scritto, infine anche alle proprie scelte e abitudini individuali.

Rispettare, modificare, ignorare. Sull’uso dei nomina sacra nel documento italiano altomedievale

GIOVE', NICOLETTA
2012

Abstract

In una grandissima parte della produzione grafica in alfabeto latino, dopo un periodo di assestamento, fra IV e V secolo, il rispetto per i nomina sacra, particolari forme di presentazione dei nomi di Dio, raccolti in un sistema definito e chiuso di carattere sacrale e simbolico, diventa sempre più consueto e imperativo. Per queste ragioni può essere interessante verificare se all’interno del documento altomedievale italiano i nomina sacra nel loro complesso siano stati sempre scritti rispettando quelle strutture compendiate come si sono venute definendo e imponendo nel corso dei secoli, oppure, invece, se per essi – almeno per alcuni di essi - si siano scelte forme alternative, magari del tutto arbitrarie. Si sono selezionate per questa verifica corpora di documenti, tutti datati al IX secolo, che fossero da un lato quantitativamente apprezzabili e dall’altro sufficientemente rappresentativi delle specificità locali che connotano la documentazione altomedievale italiana, ma soprattutto che avessero, in più, una loro forte coerenza ed omogeneità interne. Si è dunque esaminata documentazione piemontese, veneta, toscana e campana: le carte conservate nell’Archivio Capitolare di Asti, il fondo S. Maria in Organo dell’Archivio di Stato di Verona, una parte dello straordinariamente cospicuo numero di pergamene prodotte a Lucca nel IX secolo e infine le chartae conservate nell’Archivio della Badia della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni. All’interno delle fonti esaminate è possibile rilevare una distinzione di massima fra quelli che potremmo definire nomina sacra in senso stretto e proprio, dunque i termini per Dominus, Deus, Iesus, Christus, sanctus, e quelli che invece indicano diverse funzioni degli appartenenti al mondo ecclesiastico, come episcopus, clericus, presbiter, diaconus o anche Ecclesia. A questa bipartizione corrisponde una grande ed evidente bipartizione di comportamenti e di esiti. Per esprimere nomi e attributi della divinità si tende comunque a rimanere nell’alveo di una tradizione consolidata, evitando le modifiche e rispettando quelli che vengono evidentemente ritenuti come i simboli grafici riconoscibili del sacro. È probabile invece, all’opposto, che tutta un’altra serie di termini, quelli utilizzati ad esempio per indicare le gerarchie ecclesiastiche, sia stata percepita come meno legata al sacro e dunque meno simbolica; gli scriventi pertanto si sono ritenuti liberi di trattarli come qualsiasi altra parola, da abbreviare o meno, in relazione al contesto, agli spazi, ai destinatari del prodotto scritto, infine anche alle proprie scelte e abitudini individuali.
2012
Lettere come simboli. Aspetti ideologici della scrittura tra passato e presente
9788884206817
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2521970
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