Secondo studio monografico dedicato dall’autore all’argomento, il volume è riservato alla possibile ridefinizione in termini autonomi e peculiari dell’utilitas publica da parte della giurisprudenza severiana, sulla base dell’esegesi dei testi del Digesto in cui compare l’espressione in parola, organizzati secondo una scansione tematica strutturata in quattro capitoli. Nel primo di essi sono affrontati problemi inerenti agli status personarum, nell’ambito dei quali segnatamente Ulpiano – commentario ad Sabinum – connota la publica utilitas come espediente di natura processuale in grado di far prevalere principi di ordine pubblico (si pensi al favor pupilli), assumendo una duplice connotazione. Infatti, se da un lato essa costituisce la ratio cui sarebbe ispirato il superamento degli angusti confini civilistici al fine di valorizzare personalità e libertà, dall’altro la medesima giustificherebbe l’operatività di strumenti processuali intesi a derogare all’ordinaria incapacità dello schiavo, il quale risulta autorizzato ad agire per l’esecuzione di un fedecommesso di libertà. Ragioni differenti sembrano invece sottostare alle decisioni severiane, laddove il superiore interesse pubblico rappresentato dal favor nuptiarum, ossia il favore verso il matrimonio come supporto ineludibile dell’ordine sociale, fonda – in nome della necessitas e dell’eccezionalità della situazione del captivus – la deroga al regime civilistico del consenso dei nubenti. Nel capitolo secondo, l’attenzione si sposta agli strumenti interdittali posti a protezione di beni pubblici fruibili dai privati, in riferimento ai quali l’autore scorge nel richiamo alla publica utilitas – per lo meno nell’impiego fattone in numerosi passaggi da Ulpiano – il ponte tra le due categorie di interessi (privati e pubblici) coincidente, nelle fattispecie esaminate, talora con la tutela del cd. ‘ordine pubblico economico’, tal altra con la salubritas, interesse diffuso alla salute e all’igiene pubblica. Quale terzo contesto tematico, si individuano poi forme parassociative di organizzazione sviluppatesi in settori ‘sensibili’, che in età severiana si collocano in un generale processo di amministrativizzazione dei cd. corpi intermedi, ottenuta attraverso l’interlocuzione diretta da parte dell’imperatore con collegia e corpora. L’assoggettamento ad un regime peculiare viene giustificato sulla base della necessitas, nella misura in cui il ruolo svolto dai collegia soddisfaceva ormai indispensabili esigenze imperiali e legittimava la concessione di immunità e privilegi; per quanto nello specifico attiene agli argentarii, ad essere introdotto è un meccanismo di esecuzione patrimoniale derogatorio rispetto a quello comune. Pervenendo all’ultimo ambito argomentativo trattato, si coglie nelle deroghe processuali relative alla repressione degli illeciti il segnale del conflitto tra interesse pubblico ed interesse privato, superato attraverso il ricorso al sistema premiale, all’adozione legittima di una forma procedimentale non corrispondente alla natura del potere con essa fatto valere e all’ampliamento della legittimazione attiva. In queste esemplificazioni la publica utilitas è invocata come ratio decidendi di soluzioni interpretative tecnicamente peculiari ed è in un simile utilizzo che andrebbe ravvisata la rilevanza ‘creatrice’ dell’elaborazione severiana – ma soprattutto ulpianea – in materia. Essa avrebbe avuto ad oggetto il tentativo estremo, compiuto dai giuristi, di temperare le tendenze autoritarie della dinastia al potere integrando, proprio attraverso il ricorso all’utilitas non più della res publica, ma appunto publica, cioè vantaggiosa per tutte le parti in gioco, i due elementi costitutivi della compagine statale, il princeps ed i cittadini, questi ultimi essendo avviati ormai ad assumere il ruolo di sudditi in una realtà istituzionale entro cui, trascorsi pochi decenni, la distanza tra governanti e governati sarebbe divenuta incolmabile.

'Utilitas publica'. II. Elaborazione della giurisprudenza severiana

SCEVOLA, ROBERTO GIAMPIERO FRANCESCO
2012

Abstract

Secondo studio monografico dedicato dall’autore all’argomento, il volume è riservato alla possibile ridefinizione in termini autonomi e peculiari dell’utilitas publica da parte della giurisprudenza severiana, sulla base dell’esegesi dei testi del Digesto in cui compare l’espressione in parola, organizzati secondo una scansione tematica strutturata in quattro capitoli. Nel primo di essi sono affrontati problemi inerenti agli status personarum, nell’ambito dei quali segnatamente Ulpiano – commentario ad Sabinum – connota la publica utilitas come espediente di natura processuale in grado di far prevalere principi di ordine pubblico (si pensi al favor pupilli), assumendo una duplice connotazione. Infatti, se da un lato essa costituisce la ratio cui sarebbe ispirato il superamento degli angusti confini civilistici al fine di valorizzare personalità e libertà, dall’altro la medesima giustificherebbe l’operatività di strumenti processuali intesi a derogare all’ordinaria incapacità dello schiavo, il quale risulta autorizzato ad agire per l’esecuzione di un fedecommesso di libertà. Ragioni differenti sembrano invece sottostare alle decisioni severiane, laddove il superiore interesse pubblico rappresentato dal favor nuptiarum, ossia il favore verso il matrimonio come supporto ineludibile dell’ordine sociale, fonda – in nome della necessitas e dell’eccezionalità della situazione del captivus – la deroga al regime civilistico del consenso dei nubenti. Nel capitolo secondo, l’attenzione si sposta agli strumenti interdittali posti a protezione di beni pubblici fruibili dai privati, in riferimento ai quali l’autore scorge nel richiamo alla publica utilitas – per lo meno nell’impiego fattone in numerosi passaggi da Ulpiano – il ponte tra le due categorie di interessi (privati e pubblici) coincidente, nelle fattispecie esaminate, talora con la tutela del cd. ‘ordine pubblico economico’, tal altra con la salubritas, interesse diffuso alla salute e all’igiene pubblica. Quale terzo contesto tematico, si individuano poi forme parassociative di organizzazione sviluppatesi in settori ‘sensibili’, che in età severiana si collocano in un generale processo di amministrativizzazione dei cd. corpi intermedi, ottenuta attraverso l’interlocuzione diretta da parte dell’imperatore con collegia e corpora. L’assoggettamento ad un regime peculiare viene giustificato sulla base della necessitas, nella misura in cui il ruolo svolto dai collegia soddisfaceva ormai indispensabili esigenze imperiali e legittimava la concessione di immunità e privilegi; per quanto nello specifico attiene agli argentarii, ad essere introdotto è un meccanismo di esecuzione patrimoniale derogatorio rispetto a quello comune. Pervenendo all’ultimo ambito argomentativo trattato, si coglie nelle deroghe processuali relative alla repressione degli illeciti il segnale del conflitto tra interesse pubblico ed interesse privato, superato attraverso il ricorso al sistema premiale, all’adozione legittima di una forma procedimentale non corrispondente alla natura del potere con essa fatto valere e all’ampliamento della legittimazione attiva. In queste esemplificazioni la publica utilitas è invocata come ratio decidendi di soluzioni interpretative tecnicamente peculiari ed è in un simile utilizzo che andrebbe ravvisata la rilevanza ‘creatrice’ dell’elaborazione severiana – ma soprattutto ulpianea – in materia. Essa avrebbe avuto ad oggetto il tentativo estremo, compiuto dai giuristi, di temperare le tendenze autoritarie della dinastia al potere integrando, proprio attraverso il ricorso all’utilitas non più della res publica, ma appunto publica, cioè vantaggiosa per tutte le parti in gioco, i due elementi costitutivi della compagine statale, il princeps ed i cittadini, questi ultimi essendo avviati ormai ad assumere il ruolo di sudditi in una realtà istituzionale entro cui, trascorsi pochi decenni, la distanza tra governanti e governati sarebbe divenuta incolmabile.
2012
9788813331092
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