Pochi luoghi, più della piazza centrale di Grammichele testimoniano dello scarto di forma e di senso che può verificarsi tra un “impianto” planimetrico geometricamente compiuto e la sua concretizzazione tipo-morfologica. Del resto, la impressionante “tenuta” del piano di fondazione non è affatto in contraddizione con la “debolezza” della sua costruzione tridimensionale ma ne è probabilmente la logica conseguenza: i contadini e gli artigiani delle piane iblee, chiamati ad abitare “l’elegantissima piazza” esagonale e gli isolati che ne solidificano le tracce concentriche, si limitano a riempire dei contenuti minimi della loro vista quotidiana la singolare opera d’arte voluta dal loro colto principe. Puro spazio geometrico, privo di orientamento, nel suo originario e anomalo rifiuto di ospitare gli edifici del potere che tradizionalmente connotano i luoghi centrali delle città fondate, la piazza di Grammichele ha perso presto anche l’unico elemento di polarizzazione, la meridiana, capriccio del Princi-pe, ad un tempo ridondante e riduttivo tentativo di costringere in un punto materiale l’idea di una centralità vuota e spaziosa. Non accettare la contraddizione tra la discontinuità talvolta stridente dei fronti costruiti e la fluida compiutezza dello spazio della piazza sarebbe non accettare la “qualità” più profonda e complessa, e per questo forse davvero moderna, della sua struttura. Il nostro progetto lavora dunque sulla qualità del vuoto puntando a consolidarne ad un tempo, attraverso analogie discrete, la solidità geometrica e la connotazione di luogo centrale. Se Grammichele esibisce il suo impianto come vero museo della città, la sua piazza centrale, antiquarium all’aperto, può raccogliere i frammenti d’arte sopravvissuti alla furia del terremoto del 1693, spaventoso evento distruttivo che è però al tempo stesso causa prima della costruzione della nuova città. E così come le statue sorrette dai piedistalli che popolano la piazza sono solo copie di oggetti d’arte, violati dal tempo e dalla natura, gli elementi di “arredo urbano”, riassunti in forme geometriche scarne e disposti in ordine sparso nello spazio esagonale, rappresentano ad un tempo la concretizzazione ed il simulacro straniato delle strutture tradizionali di una “piazza centrale”: il sagrato della chiesa, la fontana, il piccolo giardino, le panchine. Gli edifici di progetto si inseriscono compostamente nel perimetro costruito, per colmarne i vuoti planimetrici, ed esibiscono con naturalezza la loro differenza strutturale e formale, appena mitigata dal sobrio riferimento ad una originaria scansione modulare del perimetro costruito, oggi rintracciabile a fatica. Il piccolo edificio che ospita il museo civico sostiene un’alta torre che, nella sua asciutta definizione volumetrica, fa da contrappunto alla composita mole della chiesa: nelle sale del museo i documenti racconteranno la storia di una città “ideale” mentre la città reale potrà raccontare se stessa a chi salirà sulla torre per guardarla dall’alto.

Sei quello che sei

STENDARDO, LUIGI
1998

Abstract

Pochi luoghi, più della piazza centrale di Grammichele testimoniano dello scarto di forma e di senso che può verificarsi tra un “impianto” planimetrico geometricamente compiuto e la sua concretizzazione tipo-morfologica. Del resto, la impressionante “tenuta” del piano di fondazione non è affatto in contraddizione con la “debolezza” della sua costruzione tridimensionale ma ne è probabilmente la logica conseguenza: i contadini e gli artigiani delle piane iblee, chiamati ad abitare “l’elegantissima piazza” esagonale e gli isolati che ne solidificano le tracce concentriche, si limitano a riempire dei contenuti minimi della loro vista quotidiana la singolare opera d’arte voluta dal loro colto principe. Puro spazio geometrico, privo di orientamento, nel suo originario e anomalo rifiuto di ospitare gli edifici del potere che tradizionalmente connotano i luoghi centrali delle città fondate, la piazza di Grammichele ha perso presto anche l’unico elemento di polarizzazione, la meridiana, capriccio del Princi-pe, ad un tempo ridondante e riduttivo tentativo di costringere in un punto materiale l’idea di una centralità vuota e spaziosa. Non accettare la contraddizione tra la discontinuità talvolta stridente dei fronti costruiti e la fluida compiutezza dello spazio della piazza sarebbe non accettare la “qualità” più profonda e complessa, e per questo forse davvero moderna, della sua struttura. Il nostro progetto lavora dunque sulla qualità del vuoto puntando a consolidarne ad un tempo, attraverso analogie discrete, la solidità geometrica e la connotazione di luogo centrale. Se Grammichele esibisce il suo impianto come vero museo della città, la sua piazza centrale, antiquarium all’aperto, può raccogliere i frammenti d’arte sopravvissuti alla furia del terremoto del 1693, spaventoso evento distruttivo che è però al tempo stesso causa prima della costruzione della nuova città. E così come le statue sorrette dai piedistalli che popolano la piazza sono solo copie di oggetti d’arte, violati dal tempo e dalla natura, gli elementi di “arredo urbano”, riassunti in forme geometriche scarne e disposti in ordine sparso nello spazio esagonale, rappresentano ad un tempo la concretizzazione ed il simulacro straniato delle strutture tradizionali di una “piazza centrale”: il sagrato della chiesa, la fontana, il piccolo giardino, le panchine. Gli edifici di progetto si inseriscono compostamente nel perimetro costruito, per colmarne i vuoti planimetrici, ed esibiscono con naturalezza la loro differenza strutturale e formale, appena mitigata dal sobrio riferimento ad una originaria scansione modulare del perimetro costruito, oggi rintracciabile a fatica. Il piccolo edificio che ospita il museo civico sostiene un’alta torre che, nella sua asciutta definizione volumetrica, fa da contrappunto alla composita mole della chiesa: nelle sale del museo i documenti racconteranno la storia di una città “ideale” mentre la città reale potrà raccontare se stessa a chi salirà sulla torre per guardarla dall’alto.
1998
Grammichele. Una città plurale
8881183447
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