Che ruolo potranno svolgere i diritti umani nell’era delle biotecnologie, delle neuroscienze, dell’ingegneria genetica, delle nanotecnologie, della biologia sintetica, insomma, delle tecnologie emergenti? Saranno immobili spettatori relegati nell’angolo di una riflessione etica che non fa che sancirne l’ineffettività e tutta la distanza dal mondo reale o potranno contribuire in qualche modo al dibattito sulla regolamentazione delle nuove tecnologie? Lo sviluppo tecnologico e scientifico sembra aver portato giuristi e policy makers di fronte al dilemma generato da due scelte apparentemente antitetiche: o governare il campo delle nuove tecnologie attraverso una normativa di settore che disciplini i fenomeni emergenti nell’ambito della scienza e delle nuove tecnologie attraverso norme vincolanti oppure ricorrere a forme di regolamentazione più flessibile prive di vincolatività giuridica che facciano leva sulla spontanea spinta degli stakeholders ad adattarvisi, fino a spingersi sino a vere e proprie a forme di autoregolazione. La scelta tra hard law e soft law ci pone di fronte a problemi diversi egualmente insuperabili che impediscono di propendere per l’uno o l’altro strumento .Quello del possibile ruolo per i diritti dell’uomo nella società del ventunesimo secolo appare un tema sempre più urgente a fronte del vertiginoso sviluppo tecno-scientifico degli ultimi anni e del possibile impatto che esso potrà avere in futuro sulle nostre categorie mentali e giuridiche. Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, alle ricerche sulle cellule staminali embrionali ed adulte, le ricerche in campo nanomedico per far ricrescere le ossa polverizzate in un incidente di guerra , o per la cura mirata del cancro, la possibilità di impiantare con l’ingegneria tissutale dei polmoni coltivati artificialmente in vitro pongono l’uomo di fronte a scelte di campo nette. C’è da chiedersi qui se i diritti umani non rischino un’esiziale marginalizzazione scoprendo che vi sono campi della realtà da cui sono esclusi e problemi a cui non siano in grado di rispondere. In questo senso i diritti umani, se non si vuole concludere che quello delle nuove tecnologie rappresenta un ambito dal quale sono esclusi e che pone problemi a cui non sono in grado di rispondere, richiedono di poter attingere ad una diversa concezione che sia in grado di restituire loro un ruolo da protagonisti. Infatti, il loro carattere indeterminato, contenutisticamente vago e apparentemente assoluto dovuto per lo più ad una formulazione perentoria e spesso deficitaria, li rende inadatti ad affrontare i problemi che emergono dalla contemporaneità e che il nascere delle nuove tecnologie inevitabilmente pone. Che cosa significa dignità dell’uomo? Che cosa significa vita? Il diritto è in grado di dircelo, o si tratta di una controversia che solo il filosofo morale può dirimere? E in questo caso quale soluzione offerta dal filosofo morale può ritenersi cogente per il giurista, stante il pluralismo morale che sempre più caratterizza le società tecnologicamente avanzate? Finché il diritto non sarà in grado di risolvere la questione dell’indeterminatezza semantica dei diritti umani, i diritti umani non potranno rivendicare alcun crisma giuridico. E forse proprio per queste ragioni i diritti umani sono apparsi ai più un discorso in grado di parlarci più col linguaggio dell’etica che con quello del diritto, a maggior ragione di fronte alle sfide della contemporaneità, quali quelle lanciate dallo sviluppo della scienza e della tecnica. Da questo punto di vista porre in questione il fatto del loro contenuto semantico (che cosa significano i singoli diritti come la libertà personale, la vita, l’uguaglianza etc.) può non essere vano e può consentire loro di uscire dall’impasse in cui si trovano, oltre che consentir loro di fornire risposte che forse non pensavamo nemmeno fossero in grado di dare.

Diritti e temporalità. I diritti umani nell'era delle tecnologie emergenti

Daniele Ruggiu
2012

Abstract

Che ruolo potranno svolgere i diritti umani nell’era delle biotecnologie, delle neuroscienze, dell’ingegneria genetica, delle nanotecnologie, della biologia sintetica, insomma, delle tecnologie emergenti? Saranno immobili spettatori relegati nell’angolo di una riflessione etica che non fa che sancirne l’ineffettività e tutta la distanza dal mondo reale o potranno contribuire in qualche modo al dibattito sulla regolamentazione delle nuove tecnologie? Lo sviluppo tecnologico e scientifico sembra aver portato giuristi e policy makers di fronte al dilemma generato da due scelte apparentemente antitetiche: o governare il campo delle nuove tecnologie attraverso una normativa di settore che disciplini i fenomeni emergenti nell’ambito della scienza e delle nuove tecnologie attraverso norme vincolanti oppure ricorrere a forme di regolamentazione più flessibile prive di vincolatività giuridica che facciano leva sulla spontanea spinta degli stakeholders ad adattarvisi, fino a spingersi sino a vere e proprie a forme di autoregolazione. La scelta tra hard law e soft law ci pone di fronte a problemi diversi egualmente insuperabili che impediscono di propendere per l’uno o l’altro strumento .Quello del possibile ruolo per i diritti dell’uomo nella società del ventunesimo secolo appare un tema sempre più urgente a fronte del vertiginoso sviluppo tecno-scientifico degli ultimi anni e del possibile impatto che esso potrà avere in futuro sulle nostre categorie mentali e giuridiche. Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, alle ricerche sulle cellule staminali embrionali ed adulte, le ricerche in campo nanomedico per far ricrescere le ossa polverizzate in un incidente di guerra , o per la cura mirata del cancro, la possibilità di impiantare con l’ingegneria tissutale dei polmoni coltivati artificialmente in vitro pongono l’uomo di fronte a scelte di campo nette. C’è da chiedersi qui se i diritti umani non rischino un’esiziale marginalizzazione scoprendo che vi sono campi della realtà da cui sono esclusi e problemi a cui non siano in grado di rispondere. In questo senso i diritti umani, se non si vuole concludere che quello delle nuove tecnologie rappresenta un ambito dal quale sono esclusi e che pone problemi a cui non sono in grado di rispondere, richiedono di poter attingere ad una diversa concezione che sia in grado di restituire loro un ruolo da protagonisti. Infatti, il loro carattere indeterminato, contenutisticamente vago e apparentemente assoluto dovuto per lo più ad una formulazione perentoria e spesso deficitaria, li rende inadatti ad affrontare i problemi che emergono dalla contemporaneità e che il nascere delle nuove tecnologie inevitabilmente pone. Che cosa significa dignità dell’uomo? Che cosa significa vita? Il diritto è in grado di dircelo, o si tratta di una controversia che solo il filosofo morale può dirimere? E in questo caso quale soluzione offerta dal filosofo morale può ritenersi cogente per il giurista, stante il pluralismo morale che sempre più caratterizza le società tecnologicamente avanzate? Finché il diritto non sarà in grado di risolvere la questione dell’indeterminatezza semantica dei diritti umani, i diritti umani non potranno rivendicare alcun crisma giuridico. E forse proprio per queste ragioni i diritti umani sono apparsi ai più un discorso in grado di parlarci più col linguaggio dell’etica che con quello del diritto, a maggior ragione di fronte alle sfide della contemporaneità, quali quelle lanciate dallo sviluppo della scienza e della tecnica. Da questo punto di vista porre in questione il fatto del loro contenuto semantico (che cosa significano i singoli diritti come la libertà personale, la vita, l’uguaglianza etc.) può non essere vano e può consentire loro di uscire dall’impasse in cui si trovano, oltre che consentir loro di fornire risposte che forse non pensavamo nemmeno fossero in grado di dare.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2827633
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