Nel processo di costruzione dello spazio antropizzato, l’uomo svolge un duplice ruolo. Da un lato egli è osservatore, contemplatore e conservatore dell’ambiente e delle preesistenze storico culturali. Dall’altro è promotore di azioni di trasformazioni volte alla ricerca di un nuovo ordine spaziale e funzionale. Si tratta di un comportamento antitetico, per il quale agisce ora da ispiratore di nuovi ordini e nuovi paesaggi, ora da conservatore di una realtà che, spesso, difficilmente risponde alle mutate esigenze del vivere odierno. Il paesaggio diventa un processo dinamico di sedimentazione continua, in cui l'uomo a volte riesce a sostituire i landmark con nuovi riferimenti, mentre altre volte deve puntare sulla conservazione perché incapace di costruirne di nuovi. La trasformazione è il tentativo di creare un nuovo ordine che, per non ricadere nell’incapacità progettuale, deve sapere relazionare le esigenze della memoria con quelle della rifunzionalizzazione. Di qui la necessità di osservare il presente per comprendere quali siano le corrette vie di intervento all’interno del mosaico paesistico affinché questo non diventi l’esito di una carenza propositiva, ma riproponga piuttosto il nostro passato sotto nuove forme. Tale riflessione è nata affrontando il tema dei villaggi industriali (veri e propri paesaggi culturali), i quali necessitano oggi di ritrovare un nuovo ruolo ed una nuova funzionalità proprio attraverso la reinvezione delle proprie funzioni e la conservazione di quei segni che sono il simbolo dell’organizzazione dello spazio antropizzato. Infatti tali sistemi insediativi ed i paesaggi che li rappresentano costituiscono un patrimonio imprescindibile sia dal punto di vista meramente paesaggistico che come testimonianza dell’evoluzione, nel tempo e nello spazio (dalla scala urbana a quella di area vasta), del sistema produttivo locale. Lo studio ha cercato di focalizzare le modalità di intervento all’interno dei paesaggi della produzione al fine di recuperare ed attualizzare i legami esistenti tra gli elementi che costituiscono lo specifico paesaggio culturale e le nuove matrici insediative urbane e di area vasta. I casi sono stati affrontati prendendo in considerazione il profilo storico, culturale e dell’inserimento nel contesto (quest’ultimo, assieme alla ricerca del carattere identitario, è il principio cardine che sovrintende a tutti gli altri), la funzionalità residua (elemento fondamentale per qualsiasi operazione di recupero per non fermarsi ad una mera salvaguardia), le caratteristiche intrinseche dei beni, nonché le dinamiche in atto e le pressioni che tendono a modificarlo. Le conclusioni hanno mostrato proprio due posizioni antitetiche. La prima, quella della conservazione tout court attraverso l’apposizione di un vincolo che ingessa e mantiene fermi gli oggetti mentre l’intorno si trasforma, creando a volte un bibelot, elemento estraneo all’insieme che fornisce però un’aura di memoria. Dal lato opposto la sostituzione degli stessi senza nemmeno porsi il probelmi dei legami territoriali che si vanno a recidere, riscrivendo una matrice che, raramente, riesce a diventare un nuovo genius loci. Sia la trasformazione che la conservazione possono quindi essere uno scempio incapace di conservare la memoria del luogo, perché incapaci di tessere rinnovate trame insediative. Di qui la necessità di proporre una modalità di intervento basata sul riconoscimento del livello di integrità non tanto dei singoli oggetti quanto dei caratteri che compongono la matrice del paesaggio culturale a scala territoriale (rapporto tra elementi spaziali diversi come possono essere la fabbrica ed il quartiere) ed edilizia (relativa ai diversi elementi che compongono il singolo manufatto) al fine di fornire degli spunti metodologici (e normativi) per gli interventi di pianificazione urbana e territoriale.

La perdita di identità nel paesaggio urbano: il caso dei villaggi industriali

BOVE, ALESSANDRO
2012

Abstract

Nel processo di costruzione dello spazio antropizzato, l’uomo svolge un duplice ruolo. Da un lato egli è osservatore, contemplatore e conservatore dell’ambiente e delle preesistenze storico culturali. Dall’altro è promotore di azioni di trasformazioni volte alla ricerca di un nuovo ordine spaziale e funzionale. Si tratta di un comportamento antitetico, per il quale agisce ora da ispiratore di nuovi ordini e nuovi paesaggi, ora da conservatore di una realtà che, spesso, difficilmente risponde alle mutate esigenze del vivere odierno. Il paesaggio diventa un processo dinamico di sedimentazione continua, in cui l'uomo a volte riesce a sostituire i landmark con nuovi riferimenti, mentre altre volte deve puntare sulla conservazione perché incapace di costruirne di nuovi. La trasformazione è il tentativo di creare un nuovo ordine che, per non ricadere nell’incapacità progettuale, deve sapere relazionare le esigenze della memoria con quelle della rifunzionalizzazione. Di qui la necessità di osservare il presente per comprendere quali siano le corrette vie di intervento all’interno del mosaico paesistico affinché questo non diventi l’esito di una carenza propositiva, ma riproponga piuttosto il nostro passato sotto nuove forme. Tale riflessione è nata affrontando il tema dei villaggi industriali (veri e propri paesaggi culturali), i quali necessitano oggi di ritrovare un nuovo ruolo ed una nuova funzionalità proprio attraverso la reinvezione delle proprie funzioni e la conservazione di quei segni che sono il simbolo dell’organizzazione dello spazio antropizzato. Infatti tali sistemi insediativi ed i paesaggi che li rappresentano costituiscono un patrimonio imprescindibile sia dal punto di vista meramente paesaggistico che come testimonianza dell’evoluzione, nel tempo e nello spazio (dalla scala urbana a quella di area vasta), del sistema produttivo locale. Lo studio ha cercato di focalizzare le modalità di intervento all’interno dei paesaggi della produzione al fine di recuperare ed attualizzare i legami esistenti tra gli elementi che costituiscono lo specifico paesaggio culturale e le nuove matrici insediative urbane e di area vasta. I casi sono stati affrontati prendendo in considerazione il profilo storico, culturale e dell’inserimento nel contesto (quest’ultimo, assieme alla ricerca del carattere identitario, è il principio cardine che sovrintende a tutti gli altri), la funzionalità residua (elemento fondamentale per qualsiasi operazione di recupero per non fermarsi ad una mera salvaguardia), le caratteristiche intrinseche dei beni, nonché le dinamiche in atto e le pressioni che tendono a modificarlo. Le conclusioni hanno mostrato proprio due posizioni antitetiche. La prima, quella della conservazione tout court attraverso l’apposizione di un vincolo che ingessa e mantiene fermi gli oggetti mentre l’intorno si trasforma, creando a volte un bibelot, elemento estraneo all’insieme che fornisce però un’aura di memoria. Dal lato opposto la sostituzione degli stessi senza nemmeno porsi il probelmi dei legami territoriali che si vanno a recidere, riscrivendo una matrice che, raramente, riesce a diventare un nuovo genius loci. Sia la trasformazione che la conservazione possono quindi essere uno scempio incapace di conservare la memoria del luogo, perché incapaci di tessere rinnovate trame insediative. Di qui la necessità di proporre una modalità di intervento basata sul riconoscimento del livello di integrità non tanto dei singoli oggetti quanto dei caratteri che compongono la matrice del paesaggio culturale a scala territoriale (rapporto tra elementi spaziali diversi come possono essere la fabbrica ed il quartiere) ed edilizia (relativa ai diversi elementi che compongono il singolo manufatto) al fine di fornire degli spunti metodologici (e normativi) per gli interventi di pianificazione urbana e territoriale.
2012
Paysage Topscape
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2829081
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