La dipendenza da lavoro è ancora oggi un fenomeno sottovalutato e misconosciuto; è una dipendenza sociale sottovalutata perché non si colloca nella dimensione della trasgressione, del vietato, del disapprovato ma, al contrario, nasce e si costituisce all’interno della quotidianità di ognuno di noi (Monaco, 2010). Spesso viene anche descritta come “la più pulita delle dipendenze” (Schaef, Fassel, 1989), “la dipendenza ben vestita” (Robinson, 1998), oppure “il male che gli altri approvano” (Neikirk, 1998). Da queste espressioni emerge il paradosso proprio di tale fenomeno: si parla di un problema che, però, è qualificato in termini positivi. Tutto ciò fa intuire la complessità di investire di un’accezione negativa la parola “lavoro” accostandola al termine “dipendenza”. Il tratto più subdolo della dipendenza è il suo essere congruente (al contrario della maggior parte delle altre dipendenze) con le aspettative sociali: essere produttivi è una delle attese più pressanti della nostra società (Castiello d’Antonio, 2009). Il lavoro perde il suo significato e la sua funzione originaria e diventa un modo per definire il proprio sé. Questo è l’aspetto più rilevante di tale dipendenza dove l’identità personale in realtà dovrebbe distinguersi da ciò che si fa e lasciare al lavoro, al pari di altre attività, il ruolo di un’estensione della propria identità. Per attestare il proprio valore si dovrebbe, quindi, passare da una referenza esterna ad una prospettiva più olistica, che guardi l’individuo nel suo complesso: “dal workaholism al work - holism” (Lavanco & Milio, 2006). Ecco che il lavoro da mezzo per raggiungere un risultato diviene meta in se stesso. Oggi il lavoro è indispensabile per integrarsi nell’ambiente socioculturale, per essere accettati a pieno diritto dagli altri, per conquistare la libertà personale. Inoltre “la società del consumo impone ritmi molto pressanti; si è spinti a lavorare molto per guadagnare di più e assicurarsi un tenore di vita orientato al possesso di beni materiali. Lo sviluppo del concetto di professione, esprime sempre più un senso di realizzazione personale tramite il lavoro, che diventa parte integrante del nostro senso di identità (Del Miglio, Corbelli, 2003). Perciò esso può divenire una fonte di piacere indiretto. Da qui, l’aumento del peso dell’identità lavorativa sull’identità personale e il sempre crescente spazio che si riserva al lavoro. Di conseguenza il lavoro viene considerato sempre meno un ambito della vita, con le sue legittime aspirazioni di realizzazione e riconoscimento e sempre più una dimensione centrale totalizzante che, con il consenso, apparentemente libero, di chi vi si presta, si è auto assegnata la missione di dar senso alla vita, fornendo valori-guida, paradigmi di condotta, principi valutativi nei confronti di se stessi e degli altri. La vita lavorativa diventa la vita tout court. Il lavoro, da mezzo, un fine (Marzano, 2009).

Significato del lavoro e workaholism: alcune riflessioni

MAERAN, ROBERTA
2011

Abstract

La dipendenza da lavoro è ancora oggi un fenomeno sottovalutato e misconosciuto; è una dipendenza sociale sottovalutata perché non si colloca nella dimensione della trasgressione, del vietato, del disapprovato ma, al contrario, nasce e si costituisce all’interno della quotidianità di ognuno di noi (Monaco, 2010). Spesso viene anche descritta come “la più pulita delle dipendenze” (Schaef, Fassel, 1989), “la dipendenza ben vestita” (Robinson, 1998), oppure “il male che gli altri approvano” (Neikirk, 1998). Da queste espressioni emerge il paradosso proprio di tale fenomeno: si parla di un problema che, però, è qualificato in termini positivi. Tutto ciò fa intuire la complessità di investire di un’accezione negativa la parola “lavoro” accostandola al termine “dipendenza”. Il tratto più subdolo della dipendenza è il suo essere congruente (al contrario della maggior parte delle altre dipendenze) con le aspettative sociali: essere produttivi è una delle attese più pressanti della nostra società (Castiello d’Antonio, 2009). Il lavoro perde il suo significato e la sua funzione originaria e diventa un modo per definire il proprio sé. Questo è l’aspetto più rilevante di tale dipendenza dove l’identità personale in realtà dovrebbe distinguersi da ciò che si fa e lasciare al lavoro, al pari di altre attività, il ruolo di un’estensione della propria identità. Per attestare il proprio valore si dovrebbe, quindi, passare da una referenza esterna ad una prospettiva più olistica, che guardi l’individuo nel suo complesso: “dal workaholism al work - holism” (Lavanco & Milio, 2006). Ecco che il lavoro da mezzo per raggiungere un risultato diviene meta in se stesso. Oggi il lavoro è indispensabile per integrarsi nell’ambiente socioculturale, per essere accettati a pieno diritto dagli altri, per conquistare la libertà personale. Inoltre “la società del consumo impone ritmi molto pressanti; si è spinti a lavorare molto per guadagnare di più e assicurarsi un tenore di vita orientato al possesso di beni materiali. Lo sviluppo del concetto di professione, esprime sempre più un senso di realizzazione personale tramite il lavoro, che diventa parte integrante del nostro senso di identità (Del Miglio, Corbelli, 2003). Perciò esso può divenire una fonte di piacere indiretto. Da qui, l’aumento del peso dell’identità lavorativa sull’identità personale e il sempre crescente spazio che si riserva al lavoro. Di conseguenza il lavoro viene considerato sempre meno un ambito della vita, con le sue legittime aspirazioni di realizzazione e riconoscimento e sempre più una dimensione centrale totalizzante che, con il consenso, apparentemente libero, di chi vi si presta, si è auto assegnata la missione di dar senso alla vita, fornendo valori-guida, paradigmi di condotta, principi valutativi nei confronti di se stessi e degli altri. La vita lavorativa diventa la vita tout court. Il lavoro, da mezzo, un fine (Marzano, 2009).
2011
Senso e prospettive dell'applicare - nuove declinazioni della psicologia del lavoro e delle organizzazioni
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/2836123
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