L’arte non vuole essere “uno specchio del mondo, ma piuttosto la creazione di un mondo quello in seno al quale si muove l’artista, un mondo in cui è permesso di entrare, ma che in nessun modo si impone a noi come un universo comune a priori” (Ferry, 1986, p. 15). L’arte è un “fatto sociale” che vede l’artista mettersi in mostra, per far fruire le sue opere e per innescare il processo di legittimazione che lo fa accettare dal fruitore, dalla critica e dalla società. L’arte ha il compito di rinsaldare i legami sociali, indipendentemente dall’epoca e l’immaginario dell’arte permette al fruitore, attraverso l’opera, di partecipare a un’“ulteriore ineffabile società” (Duvignaud, 1969, p. 12). L’arte è sempre nuova ed è sempre contemporanea; le forme del nuovo sono spesso “irritanti” fino a che non vengono socializzate o abbandonate. C’è un generale bisogno di nuovo che l’arte permette di soddisfare a patto che i fruitori o gli artisti siamo disposti a “vedere di più, udire di più, sentire di più” (De Kerckhove, 1995, p. 93; Riccioni, 2009). Per questo l’opera d’arte non rimane immutata nel tempo, nel corso delle epoche essa si modifica come “valore culturale vivente” (Teige, 1973). Si può affermare che ogni generazione di interpreti si pone in una nuova prospettiva rispetto a quelle precedenti sia perché cambiano gli interrogativi che l’opera suscita sia perché mutano i metodi di lettura, i modelli culturali e in definitiva le aspettative. L’opera d’arte non si esaurisce nel momento in cui si è realizzata, anzi da quel momento con la vitalità che le è intrinseca agisce incessantemente sull’esistenza di altri uomini continuando ad agire innescando il suo “significato” in epoche diverse attraverso ciò che all’apparenza resta sempre lo stesso “significante”. Lo sforzo di comprendere l’opera d’arte è umano perché dall’etimologia del termine “com-prendere” si intuisce che il desiderio dell’uomo di fronte all’opera d’arte è di “intenderla appieno”, “abbracciarla con la mente”. Ciò che è importante socialmente e che fa di un’opera d’arte qualcosa di diverso da un oggetto della vita quotidiana è proprio la capacità di stimolare il desiderio di “comprensione” che non ha nulla a che fare con un’eventuale funzionalità, ma solo con la sua essenza. Uno dei compiti della sociologia dell’arte consiste proprio nello studio di come generazioni differenti di fruitori si “incontrano” con opere contemporanee o del passato, di come intervengono nella facilitazione di questo incontro le politiche culturali di enti pubblici o privati e la scuola; di come gli artisti, i critici o altre figure intermediarie tra artista e pubblico, intendono le opere e realizzano quel “senso comune” che Kant definiva “sentimento universale di partecipazione”. Uno dei compiti della sociologia dell’arte consiste proprio nello studio di come generazioni differenti di fruitori si “incontrano” con opere contemporanee o del passato, di come intervengono nella facilitazione di questo incontro le politiche culturali di enti pubblici o privati e la scuola; di come gli artisti, i critici o altre figure intermediarie tra artista e pubblico, intendono le opere e realizzano quel “senso comune” che Kant definiva “sentimento universale di partecipazione” (cit. in Dalhlhaus, Eggebrecht, 1988, p. 116).

Complessità dell’approccio sociologico allo studio delle arti

TESSAROLO, MARISELDA
2013

Abstract

L’arte non vuole essere “uno specchio del mondo, ma piuttosto la creazione di un mondo quello in seno al quale si muove l’artista, un mondo in cui è permesso di entrare, ma che in nessun modo si impone a noi come un universo comune a priori” (Ferry, 1986, p. 15). L’arte è un “fatto sociale” che vede l’artista mettersi in mostra, per far fruire le sue opere e per innescare il processo di legittimazione che lo fa accettare dal fruitore, dalla critica e dalla società. L’arte ha il compito di rinsaldare i legami sociali, indipendentemente dall’epoca e l’immaginario dell’arte permette al fruitore, attraverso l’opera, di partecipare a un’“ulteriore ineffabile società” (Duvignaud, 1969, p. 12). L’arte è sempre nuova ed è sempre contemporanea; le forme del nuovo sono spesso “irritanti” fino a che non vengono socializzate o abbandonate. C’è un generale bisogno di nuovo che l’arte permette di soddisfare a patto che i fruitori o gli artisti siamo disposti a “vedere di più, udire di più, sentire di più” (De Kerckhove, 1995, p. 93; Riccioni, 2009). Per questo l’opera d’arte non rimane immutata nel tempo, nel corso delle epoche essa si modifica come “valore culturale vivente” (Teige, 1973). Si può affermare che ogni generazione di interpreti si pone in una nuova prospettiva rispetto a quelle precedenti sia perché cambiano gli interrogativi che l’opera suscita sia perché mutano i metodi di lettura, i modelli culturali e in definitiva le aspettative. L’opera d’arte non si esaurisce nel momento in cui si è realizzata, anzi da quel momento con la vitalità che le è intrinseca agisce incessantemente sull’esistenza di altri uomini continuando ad agire innescando il suo “significato” in epoche diverse attraverso ciò che all’apparenza resta sempre lo stesso “significante”. Lo sforzo di comprendere l’opera d’arte è umano perché dall’etimologia del termine “com-prendere” si intuisce che il desiderio dell’uomo di fronte all’opera d’arte è di “intenderla appieno”, “abbracciarla con la mente”. Ciò che è importante socialmente e che fa di un’opera d’arte qualcosa di diverso da un oggetto della vita quotidiana è proprio la capacità di stimolare il desiderio di “comprensione” che non ha nulla a che fare con un’eventuale funzionalità, ma solo con la sua essenza. Uno dei compiti della sociologia dell’arte consiste proprio nello studio di come generazioni differenti di fruitori si “incontrano” con opere contemporanee o del passato, di come intervengono nella facilitazione di questo incontro le politiche culturali di enti pubblici o privati e la scuola; di come gli artisti, i critici o altre figure intermediarie tra artista e pubblico, intendono le opere e realizzano quel “senso comune” che Kant definiva “sentimento universale di partecipazione”. Uno dei compiti della sociologia dell’arte consiste proprio nello studio di come generazioni differenti di fruitori si “incontrano” con opere contemporanee o del passato, di come intervengono nella facilitazione di questo incontro le politiche culturali di enti pubblici o privati e la scuola; di come gli artisti, i critici o altre figure intermediarie tra artista e pubblico, intendono le opere e realizzano quel “senso comune” che Kant definiva “sentimento universale di partecipazione” (cit. in Dalhlhaus, Eggebrecht, 1988, p. 116).
2013
Storie di vita di artiste europee
9788867870264
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