Gli eventi dei quali sarebbe stato protagonista Manlio Capitolino nel 385/4 a.C., autore di una 'seditio' ampiamente trattata da Liv. 6.11-20 (nonché riportata in fonti greche), evocano forme di repressione capitale implicanti la sua condanna, considerata in dottrina un tassello fondamentale per inquadrare esattamente una serie di momenti posti nel punto di snodo tra quanto ancora appartiene alla primigenia concezione sacrale del diritto criminale, radicata in età monarchica, e la visione laicizzata sviluppatasi in progresso di tempo. La contestuale operatività di ''iudicia populi e di 'perduellio', attraverso tribuni plebei e 'duumviri perduellionis', è a lungo apparsa impossibile, in forza della natura assolutamente impermeabile riconosciuta al rito entro il quale ciascuno dei soggetti menzionati sarebbe intervenuto. Eppure, dalla 'seditio manliana' si desumerebbe un’architettura processuale in cui adempimenti riconducibili sommariamente a 'iudicia populi', in quel periodo forse non ancora pervenuti alla loro fase matura, si sarebbero saldati con residui della più antica (rimontando ai 'primordia civitatis') procedura monarchica volta a perseguire il 'perduellis'. Per effetto dell’ibridazione, ne sarebbe scaturito un processo contraddistinto da spinte innovatrici e persistenze arcaiche, compattate e vivificate nel loro complesso dalle esigenze politiche contingenti sottese alle forme di repressione criminale attivate in conseguenza. Esclusa la configurabilità di Manlio Capitolino come 'homo sacer', in assenza dei presupposti d’integrazione della fattispecie svelati nella loro compiutezza dalla dottrina prevalente, egli resta un 'perduellis', nel senso letterale di 'hostis' della 'civitas': la sua sorte non è rimessa alle determinazioni della divinità offesa (evanescente quanto ad individuazione), bensì a quella della comunità tramite la sua massima assemblea, che determina la pena in unica istanza dopo avere udito accusatori e accusato, su proposta dei 'duumviri perduellionis'. Dunque, le procedure esperite costituiscono il crocevia di due esperienze, l’una al tramonto (benché non ancora estintasi), l’altra in via di affermazione (seppure ancora in 'statu nascenti') e quindi destinate a coesistere per un certo lasso di tempo.

L’'adfectatio regni' di M. Capitolino: eliminazione 'sine iudicio' o persecuzione criminale ?

SCEVOLA, ROBERTO GIAMPIERO FRANCESCO
2013

Abstract

Gli eventi dei quali sarebbe stato protagonista Manlio Capitolino nel 385/4 a.C., autore di una 'seditio' ampiamente trattata da Liv. 6.11-20 (nonché riportata in fonti greche), evocano forme di repressione capitale implicanti la sua condanna, considerata in dottrina un tassello fondamentale per inquadrare esattamente una serie di momenti posti nel punto di snodo tra quanto ancora appartiene alla primigenia concezione sacrale del diritto criminale, radicata in età monarchica, e la visione laicizzata sviluppatasi in progresso di tempo. La contestuale operatività di ''iudicia populi e di 'perduellio', attraverso tribuni plebei e 'duumviri perduellionis', è a lungo apparsa impossibile, in forza della natura assolutamente impermeabile riconosciuta al rito entro il quale ciascuno dei soggetti menzionati sarebbe intervenuto. Eppure, dalla 'seditio manliana' si desumerebbe un’architettura processuale in cui adempimenti riconducibili sommariamente a 'iudicia populi', in quel periodo forse non ancora pervenuti alla loro fase matura, si sarebbero saldati con residui della più antica (rimontando ai 'primordia civitatis') procedura monarchica volta a perseguire il 'perduellis'. Per effetto dell’ibridazione, ne sarebbe scaturito un processo contraddistinto da spinte innovatrici e persistenze arcaiche, compattate e vivificate nel loro complesso dalle esigenze politiche contingenti sottese alle forme di repressione criminale attivate in conseguenza. Esclusa la configurabilità di Manlio Capitolino come 'homo sacer', in assenza dei presupposti d’integrazione della fattispecie svelati nella loro compiutezza dalla dottrina prevalente, egli resta un 'perduellis', nel senso letterale di 'hostis' della 'civitas': la sua sorte non è rimessa alle determinazioni della divinità offesa (evanescente quanto ad individuazione), bensì a quella della comunità tramite la sua massima assemblea, che determina la pena in unica istanza dopo avere udito accusatori e accusato, su proposta dei 'duumviri perduellionis'. Dunque, le procedure esperite costituiscono il crocevia di due esperienze, l’una al tramonto (benché non ancora estintasi), l’altra in via di affermazione (seppure ancora in 'statu nascenti') e quindi destinate a coesistere per un certo lasso di tempo.
2013
Sacertà e repressione criminale in Roma arcaica
9788824322980
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