Nonostante l'arte pittorica bizantina, come espressione pratica del Neoplatonismo, sia "volutamente" in rottura con la rappresentazione classica, otticamente più realistica, nel medioevo i principi dell'Ottica si conservano e si tramandano nel mondo scientifico grazie ai philosophi perspectivi, avendo queste teorie anche ricadute pratiche nel campo della misurazione delle distanze, laddove proprio l'occhio viene utilizzato come “strumento”: interessanti in particolare gli sviluppi dell'Ottica Euclidea da parte degli arabi e, finalmente, dopo le traduzioni in latino degli ultimi secoli del Medioevo, l'interesse dei pensatori europei (Bacone, Pelacani, etc.). E sarà Giotto il primo a cogliere queste istanze scientifiche per tradurle in pittura, in un percorso artistico che va dalle opere giovanili nella Basilica di Assisi fino a quelle più mature eseguite nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Ma, agli inizi del '400, sempre a Padova, Donatello dimostrerà nuova sensibilità prospettica nei riguardi dello spazio, come per gli "stiacciati" destinati all'altare maggiore della Basilica del Santo. Evidentemente, Padova si configura come una fucina sperimentale per tutto ciò che concerne gli aspetti scientifici, sicuramente grazie alla presenza dell'Università, e quella tradizione medievale di ispirazione pratica della prospettiva sembra perdurare nell'opera di Andrea Mantegna, in particolare in una scena conservata nella Cappella Ovetari, quella che “racconta” di San Giacomo che viene condotto al martirio - affresco in cui la composizione prospettica asseconda effettivamente la posizione che l’occhio dell'osservatore assume nello spazio reale: e qui possono essere rintracciati alcuni principi pratici riguardo all’individuazione corretta della distanza dell’osservatore dal dipinto che saranno riassunti nel secolo successivo da Daniele Barbaro ne "La pratica della perspectiva" (Venezia 1568), dimostrando come tra l’Ottica medievale e la perspectiva artificialis del Rinascimento vi sia un comune denominatore che vede nella pratica degli artisti il suo fondamento.

I secoli dell'oblio o, meglio, della conservazione del sapere: dall'astrazione bizantina ai valori ottici della forma di Giotto, Mantegna e Donatello.

GIORDANO, ANDREA
2014

Abstract

Nonostante l'arte pittorica bizantina, come espressione pratica del Neoplatonismo, sia "volutamente" in rottura con la rappresentazione classica, otticamente più realistica, nel medioevo i principi dell'Ottica si conservano e si tramandano nel mondo scientifico grazie ai philosophi perspectivi, avendo queste teorie anche ricadute pratiche nel campo della misurazione delle distanze, laddove proprio l'occhio viene utilizzato come “strumento”: interessanti in particolare gli sviluppi dell'Ottica Euclidea da parte degli arabi e, finalmente, dopo le traduzioni in latino degli ultimi secoli del Medioevo, l'interesse dei pensatori europei (Bacone, Pelacani, etc.). E sarà Giotto il primo a cogliere queste istanze scientifiche per tradurle in pittura, in un percorso artistico che va dalle opere giovanili nella Basilica di Assisi fino a quelle più mature eseguite nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Ma, agli inizi del '400, sempre a Padova, Donatello dimostrerà nuova sensibilità prospettica nei riguardi dello spazio, come per gli "stiacciati" destinati all'altare maggiore della Basilica del Santo. Evidentemente, Padova si configura come una fucina sperimentale per tutto ciò che concerne gli aspetti scientifici, sicuramente grazie alla presenza dell'Università, e quella tradizione medievale di ispirazione pratica della prospettiva sembra perdurare nell'opera di Andrea Mantegna, in particolare in una scena conservata nella Cappella Ovetari, quella che “racconta” di San Giacomo che viene condotto al martirio - affresco in cui la composizione prospettica asseconda effettivamente la posizione che l’occhio dell'osservatore assume nello spazio reale: e qui possono essere rintracciati alcuni principi pratici riguardo all’individuazione corretta della distanza dell’osservatore dal dipinto che saranno riassunti nel secolo successivo da Daniele Barbaro ne "La pratica della perspectiva" (Venezia 1568), dimostrando come tra l’Ottica medievale e la perspectiva artificialis del Rinascimento vi sia un comune denominatore che vede nella pratica degli artisti il suo fondamento.
2014
La geometria descrittiva dalla tradizione alla innovazione
9788854875326
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