In questo capitolo abbiamo considerato come la figura della madre giochi un ruolo cruciale nel passaggio dal SWF al TWF e di come nel processo di evoluzione siano intervenuti due fattori di primaria importanza: il pensiero psicoanalitico e l’azione della tecnica che progressivamente sta cambiando le forme della gestione del corpo della donna e dunque la sua agency. Partendo dall’assunto che il linguaggio psicoanalitico sia troppo complesso e che quindi non sia idoneo a garantire alla massa delle donne e in particolare a quelle che sono vittime di abuso, violenza e sopraffazione, il necessario percorso di autocoscienza per la loro liberazione, tant’è il consciousness raising ha interessato sostanzialmente un’élite intellettuale di donne ma si è poi progressivamente concluso negli anni ottanta senza lasciare radici da cui far spiccare nuove esperienze, abbiamo presentato gli esiti di una ricerca-azione in cui si è proposto di lavorare in gruppo con donne vittime di violenza utilizzando lo psicodramma. Dall’analisi dei report, esito del costante monitoraggio dell’intervento, emerge che questa tecnica può promuovere efficacemente percorsi di presa di coscienza, senza mobilitare categorie linguistiche e relazionali troppo complesse, come invece lo sono quelle psicoanalitiche, risultando dunque facilmente gestibili da parte delle donne. L’operazione infatti di “abiezione” del materno, inteso come assunzione acritica di un mandato extralinguistico inconsapevolmente interiorizzato, è trasfigurata in per un verso attraverso la rabbia evocata in prossimità della rappresentazione dell’imago materna interiorizzata e per l’altro come riconoscimento di bisogni disattesi. Tra questi certamente emergono gli aspetti affettivi negativi di un’intimità fallimentare, ma anche quelli più squisitamente cognitivi, tra i quali svettano per importanza il rendersi conto che la madre “non ha insegnato niente” e che altresì ha insegnato a subire la violenza stando zitte. Quanto ipotizzato rispetto ai Paesi della tratta e della subordinazione viene quindi confermato, ma appare che altresì anche l’Europa Occidentale rappresentata dal Portogallo presenta problemi simili, probabilmente a causa di una cultura ancora in parte tradizionalista. L’Austria è invece il luogo in cui l’agency si manifesta in forma più completa, ovvero trasformando la presa di coscienza del ruolo di subordinazione interiorizzato in progettualità di cambiamento, almeno desiderata e pensata. Per concludere vogliamo però riprendere quanto indicato dalle donne albanesi, ovvero il denunciare che la madre non ha insegnato niente. Nell’asserire questo, esse si riferiscono al fatto che il modo in cui si sono trovate a vivere era totalmente diverso da quello per il quale erano state preparate dall’educazione materna cui si erano affidate. Se la vera “abiezione della madre”, intesa come abbandono del territorio extralinguistico della natura, si esercita in nome dell’entrata nel linguaggio sociale, così come accade per il figlio grazie alla sua presa in carico da parte del padre, è certamente venuto il tempo in cui bisogna insegnare alle madri un nuovo modo di educare le figlie rispetto al come gestire il potere sociale. Ma questo è certamente un passaggio che deve ancora vedere l’alba.
Effetti materni: dall’abiezione psicoanalitica all’elaborazione psicodrammatica
TESTONI, INES
2013
Abstract
In questo capitolo abbiamo considerato come la figura della madre giochi un ruolo cruciale nel passaggio dal SWF al TWF e di come nel processo di evoluzione siano intervenuti due fattori di primaria importanza: il pensiero psicoanalitico e l’azione della tecnica che progressivamente sta cambiando le forme della gestione del corpo della donna e dunque la sua agency. Partendo dall’assunto che il linguaggio psicoanalitico sia troppo complesso e che quindi non sia idoneo a garantire alla massa delle donne e in particolare a quelle che sono vittime di abuso, violenza e sopraffazione, il necessario percorso di autocoscienza per la loro liberazione, tant’è il consciousness raising ha interessato sostanzialmente un’élite intellettuale di donne ma si è poi progressivamente concluso negli anni ottanta senza lasciare radici da cui far spiccare nuove esperienze, abbiamo presentato gli esiti di una ricerca-azione in cui si è proposto di lavorare in gruppo con donne vittime di violenza utilizzando lo psicodramma. Dall’analisi dei report, esito del costante monitoraggio dell’intervento, emerge che questa tecnica può promuovere efficacemente percorsi di presa di coscienza, senza mobilitare categorie linguistiche e relazionali troppo complesse, come invece lo sono quelle psicoanalitiche, risultando dunque facilmente gestibili da parte delle donne. L’operazione infatti di “abiezione” del materno, inteso come assunzione acritica di un mandato extralinguistico inconsapevolmente interiorizzato, è trasfigurata in per un verso attraverso la rabbia evocata in prossimità della rappresentazione dell’imago materna interiorizzata e per l’altro come riconoscimento di bisogni disattesi. Tra questi certamente emergono gli aspetti affettivi negativi di un’intimità fallimentare, ma anche quelli più squisitamente cognitivi, tra i quali svettano per importanza il rendersi conto che la madre “non ha insegnato niente” e che altresì ha insegnato a subire la violenza stando zitte. Quanto ipotizzato rispetto ai Paesi della tratta e della subordinazione viene quindi confermato, ma appare che altresì anche l’Europa Occidentale rappresentata dal Portogallo presenta problemi simili, probabilmente a causa di una cultura ancora in parte tradizionalista. L’Austria è invece il luogo in cui l’agency si manifesta in forma più completa, ovvero trasformando la presa di coscienza del ruolo di subordinazione interiorizzato in progettualità di cambiamento, almeno desiderata e pensata. Per concludere vogliamo però riprendere quanto indicato dalle donne albanesi, ovvero il denunciare che la madre non ha insegnato niente. Nell’asserire questo, esse si riferiscono al fatto che il modo in cui si sono trovate a vivere era totalmente diverso da quello per il quale erano state preparate dall’educazione materna cui si erano affidate. Se la vera “abiezione della madre”, intesa come abbandono del territorio extralinguistico della natura, si esercita in nome dell’entrata nel linguaggio sociale, così come accade per il figlio grazie alla sua presa in carico da parte del padre, è certamente venuto il tempo in cui bisogna insegnare alle madri un nuovo modo di educare le figlie rispetto al come gestire il potere sociale. Ma questo è certamente un passaggio che deve ancora vedere l’alba.Pubblicazioni consigliate
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