Il saggio racconta la vicenda della committenza e dell'esecuzione, fino allo scoprimento, dell'affresco del Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina, l’opera che non solo segna il ritorno dell’artista al muro e quindi alla difficilissima tecnica dell’affresco, ma che cambierà per sempre il modo stesso di intendere la pittura. La commissione, le cui prime tracce risalgono all’estate del 1533, fu frutto delle scelte e del volere di Clemente VII. Il soggetto gravido di toni minacciosi e terrificanti (che si avvale di fonti bibliche e dantesche), tradisce l’impulso da parte del pontefice a promuovere una rappresentazione che illustrasse in forma simbolica la catastrofe del suo pontificato, tra l’infuriare delle contese religiose e la rovina della città caput mundi. La sorte però non concesse a Clemente VII di vedere l’opera compiuta, in quanto morì il 25 settembre 1534. Come raccontano Vasari e Condivi, Michelangelo cercò di liberarsi o quantomeno di rimandare l’impresa volendo tornare al progetto della Sepoltura di Giulio II. Le sue speranze andarono ancora una volta deluse dal neo eletto papa Paolo III Farnese, che volle a tutti i costi portare avanti il progetto del suo predecessore. I lavori presero avvio nell’aprile del 1535 con la costruzione dei ponteggi, ma è solo nella primavera del 1536 che Michelangelo mise mano alla pittura. Il Giudizio Universale venne svelato al pubblico il giorno d’Ognissanti del 1541, fra i clamori degli estimatori dell’opera e lo sbigottimento dei detrattori, scandalizzati dall’originalità dell’iconografia e dall’ostentazione dei nudi, e che pure ne promossero la distruzione. Il risultato finale è uno sconcertante vortice di corpi: «uno schianto di muscoli e di vene» (S. Quasimodo 1966) che si diparte dal gesto imperioso del Cristo Giudice in uno spazio immaginario di profondità indefinibile, svincolato da ogni contingenza di luogo e di tempo. Sotto le proporzioni massicce e lo stile lapidario della cosiddetta forma ‘cubica’ con cui Michelangelo affronta queste figure, premono, ancora una volta, le sollecitazioni della scultura. L’indeterminata vastità dell’universo, non scandito da elementi architettonici fittizi e geometrici, ma con i soli mezzi offerti dal disegno e dalla pittura, è la vera sfida lanciata da Michelangelo alla parete del Giudizio e alla cultura prospettica rinascimentale; sfida che, immediatamente accolta dagli artisti della Maniera moderna e non solo, stravolgerà per sempre il volto e il modo di intendere l’arte occidentale.

1534-1541. Il Giudizio finale

Grosso Marsel
2014

Abstract

Il saggio racconta la vicenda della committenza e dell'esecuzione, fino allo scoprimento, dell'affresco del Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina, l’opera che non solo segna il ritorno dell’artista al muro e quindi alla difficilissima tecnica dell’affresco, ma che cambierà per sempre il modo stesso di intendere la pittura. La commissione, le cui prime tracce risalgono all’estate del 1533, fu frutto delle scelte e del volere di Clemente VII. Il soggetto gravido di toni minacciosi e terrificanti (che si avvale di fonti bibliche e dantesche), tradisce l’impulso da parte del pontefice a promuovere una rappresentazione che illustrasse in forma simbolica la catastrofe del suo pontificato, tra l’infuriare delle contese religiose e la rovina della città caput mundi. La sorte però non concesse a Clemente VII di vedere l’opera compiuta, in quanto morì il 25 settembre 1534. Come raccontano Vasari e Condivi, Michelangelo cercò di liberarsi o quantomeno di rimandare l’impresa volendo tornare al progetto della Sepoltura di Giulio II. Le sue speranze andarono ancora una volta deluse dal neo eletto papa Paolo III Farnese, che volle a tutti i costi portare avanti il progetto del suo predecessore. I lavori presero avvio nell’aprile del 1535 con la costruzione dei ponteggi, ma è solo nella primavera del 1536 che Michelangelo mise mano alla pittura. Il Giudizio Universale venne svelato al pubblico il giorno d’Ognissanti del 1541, fra i clamori degli estimatori dell’opera e lo sbigottimento dei detrattori, scandalizzati dall’originalità dell’iconografia e dall’ostentazione dei nudi, e che pure ne promossero la distruzione. Il risultato finale è uno sconcertante vortice di corpi: «uno schianto di muscoli e di vene» (S. Quasimodo 1966) che si diparte dal gesto imperioso del Cristo Giudice in uno spazio immaginario di profondità indefinibile, svincolato da ogni contingenza di luogo e di tempo. Sotto le proporzioni massicce e lo stile lapidario della cosiddetta forma ‘cubica’ con cui Michelangelo affronta queste figure, premono, ancora una volta, le sollecitazioni della scultura. L’indeterminata vastità dell’universo, non scandito da elementi architettonici fittizi e geometrici, ma con i soli mezzi offerti dal disegno e dalla pittura, è la vera sfida lanciata da Michelangelo alla parete del Giudizio e alla cultura prospettica rinascimentale; sfida che, immediatamente accolta dagli artisti della Maniera moderna e non solo, stravolgerà per sempre il volto e il modo di intendere l’arte occidentale.
2014
Michelangelo un vita
9788897737384
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3038903
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