Se nel riconsiderare il ruolo dell’architetto sembra scontato pensare in termini di aggiornamento, può essere utile ribaltare il punto di vista e contrapporre alla ricerca di novità una riflessione sui fondamenti. Nel ragionamento che prende le mosse da questo espediente logico, si intrecciano almeno tre questioni: la contrapposizione dialettica tra autonomia e eteronomia dell’arte; la trasmissibilità della disciplina del progetto; la divulgazione della cultura architettonica. Sui primi due punti si sono esercitate generazioni di studiosi; il terzo è stato generalmente trascurato. Dando per scontato il dibattito sulla questione autonomia/eteronomia, si sottolinea che l’autonomia disciplinare non va equivocata con un autistico arroccarsi su una torre d’avorio, quanto piuttosto identificata con la consapevolezza dell’esistenza di domini di validità di teorie e procedure e quindi di campi di azione e di limiti del lavoro dell’architetto: un invito a rinunciare alla pretesa di una pervasiva onnipotenza, per acquistare una potenza che va perseguita coltivando i fondamenti, piuttosto che gli aggiornamenti, nella trasmissione del sapere disciplinare. Se l’architetto ha una forma mentis che gli vale il riconoscimento di soggetto problem solving, lo deve all’esercizio di pratiche fondate su processi abduttivi propri dell’arte e non certo a incursioni extradisciplinari. Una formazione concentrata sui fondamenti dovrebbe salvaguardare dagli specialismi che distolgono l’architetto dal suo mestiere. Un obiettivo del dibattito interno alla comunità scientifica dovrebbe essere quello di riportare al centro il progetto, che sempre più cede il passo al programma, al processo, alla procedura e al proclama. È necessario riportare il nostro lavoro alla sua essenza di mestiere, di τέχνη, a partire dalla scuola. Da un lato il mestiere ci viene sottratto da un elefantiaco apparato normativo e le ottuse barriere imposte tra accademia e professione esasperano l’erosione della disciplina; dall’altro l’architetto diserta la disciplina, reinventandosi sociologo, mediatore, buffone di corte. E siamo al tema della divulgazione, della distanza tra linguaggio scientifico e quotidiano, della non sovrapponibilità dell’idea di architetto nell’immaginario collettivo e nel mondo accademico e professionale. Non sempre quello che la collettività si aspetta dall’architetto coincide con ciò che questi sa e dovrebbe essere chiamato a fare, e l’architetto non solo non si tira indietro, ma rilancia, riciclandosi in mille modi, indossando costumi stravaganti fino a non capire più qual è il suo vero abito, a non capire se ci fa o ci è. L’architetto si è tanto preoccupato di épater le bourgeois da disorientare anche se stesso. È necessario riconquistare quell’innocenza che ci consenta di riconoscere che, come nella fiaba di Andersen, l’architetto è nudo! E dovrebbe, per dignità, rivestire i suoi panni. È necessario riabilitare la figura dell’architetto agli occhi della società civile, stigmatizzando le tante mistificazioni e provando a spiegare con semplicità in cosa consiste il nostro mestiere.

L’architetto è nudo! Il mestiere dell’architetto e la collettività

STENDARDO, LUIGI
2015

Abstract

Se nel riconsiderare il ruolo dell’architetto sembra scontato pensare in termini di aggiornamento, può essere utile ribaltare il punto di vista e contrapporre alla ricerca di novità una riflessione sui fondamenti. Nel ragionamento che prende le mosse da questo espediente logico, si intrecciano almeno tre questioni: la contrapposizione dialettica tra autonomia e eteronomia dell’arte; la trasmissibilità della disciplina del progetto; la divulgazione della cultura architettonica. Sui primi due punti si sono esercitate generazioni di studiosi; il terzo è stato generalmente trascurato. Dando per scontato il dibattito sulla questione autonomia/eteronomia, si sottolinea che l’autonomia disciplinare non va equivocata con un autistico arroccarsi su una torre d’avorio, quanto piuttosto identificata con la consapevolezza dell’esistenza di domini di validità di teorie e procedure e quindi di campi di azione e di limiti del lavoro dell’architetto: un invito a rinunciare alla pretesa di una pervasiva onnipotenza, per acquistare una potenza che va perseguita coltivando i fondamenti, piuttosto che gli aggiornamenti, nella trasmissione del sapere disciplinare. Se l’architetto ha una forma mentis che gli vale il riconoscimento di soggetto problem solving, lo deve all’esercizio di pratiche fondate su processi abduttivi propri dell’arte e non certo a incursioni extradisciplinari. Una formazione concentrata sui fondamenti dovrebbe salvaguardare dagli specialismi che distolgono l’architetto dal suo mestiere. Un obiettivo del dibattito interno alla comunità scientifica dovrebbe essere quello di riportare al centro il progetto, che sempre più cede il passo al programma, al processo, alla procedura e al proclama. È necessario riportare il nostro lavoro alla sua essenza di mestiere, di τέχνη, a partire dalla scuola. Da un lato il mestiere ci viene sottratto da un elefantiaco apparato normativo e le ottuse barriere imposte tra accademia e professione esasperano l’erosione della disciplina; dall’altro l’architetto diserta la disciplina, reinventandosi sociologo, mediatore, buffone di corte. E siamo al tema della divulgazione, della distanza tra linguaggio scientifico e quotidiano, della non sovrapponibilità dell’idea di architetto nell’immaginario collettivo e nel mondo accademico e professionale. Non sempre quello che la collettività si aspetta dall’architetto coincide con ciò che questi sa e dovrebbe essere chiamato a fare, e l’architetto non solo non si tira indietro, ma rilancia, riciclandosi in mille modi, indossando costumi stravaganti fino a non capire più qual è il suo vero abito, a non capire se ci fa o ci è. L’architetto si è tanto preoccupato di épater le bourgeois da disorientare anche se stesso. È necessario riconquistare quell’innocenza che ci consenta di riconoscere che, come nella fiaba di Andersen, l’architetto è nudo! E dovrebbe, per dignità, rivestire i suoi panni. È necessario riabilitare la figura dell’architetto agli occhi della società civile, stigmatizzando le tante mistificazioni e provando a spiegare con semplicità in cosa consiste il nostro mestiere.
2015
La formazione dell’architetto. Problemi e prospettive
9788890905438
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3173006
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