Il lavoro sommerso (o, nel linguaggio gergale, lavoro “nero”), secondo la definizione di cui all’art. 22, co. 1, d.lgs. n. 151/2015, («impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato» ), in linea con le indicazioni comunitarie , è fattispecie che, per il suo particolare disvalore, attira su di sé una molteplicità di sanzioni , tutte volte a censurare un comportamento che, nella sua materialità, può dirsi sostanzialmente unitario: l’occultamento di un rapporto di lavoro subordinato, agevolato da irregolarità (rectius: omissioni, ma anche falsificazioni) di carattere documentale, e finalizzato all’aggiramento delle norme lavoristiche, previdenziali e fiscali . L’impiego di un lavoratore subordinato in “nero” comporta, in caso di mancato versamento di contributi e premi oltre una certa soglia, una triplice sanzione: penale (art. 37, co. 1, l. n. 689/1981), «civile» (art. 116, co. 8, lett. b), l. n. 388/2000), e «amministrativa pecuniaria» (art. 3, co. 3, d.l. n. 12/2002). Il saggio mira ad appurare se questa sovrapposizione di sanzioni possa generare problemi di compatibilità, alla luce dell’orientamento espresso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza del 4 marzo 2014 resa nel Ricorso n. 18640/10 - Grande Stevens e altri c. Italia, in cui è stata ravvisata una violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (che sancisce il principio del ne bis in idem) perché erano stati avviati nuovi procedimenti penali dopo la condanna definitiva subita dai ricorrenti nel procedimento di opposizione alle sanzioni amministrative pecuniarie inflitte dalla CONSOB.

L’impianto sanzionatorio del lavoro sommerso: criticità del «doppio binario» alla luce della sentenza C. EDU «Grande Stevens»?

VIANELLO, RICCARDO
2016

Abstract

Il lavoro sommerso (o, nel linguaggio gergale, lavoro “nero”), secondo la definizione di cui all’art. 22, co. 1, d.lgs. n. 151/2015, («impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato» ), in linea con le indicazioni comunitarie , è fattispecie che, per il suo particolare disvalore, attira su di sé una molteplicità di sanzioni , tutte volte a censurare un comportamento che, nella sua materialità, può dirsi sostanzialmente unitario: l’occultamento di un rapporto di lavoro subordinato, agevolato da irregolarità (rectius: omissioni, ma anche falsificazioni) di carattere documentale, e finalizzato all’aggiramento delle norme lavoristiche, previdenziali e fiscali . L’impiego di un lavoratore subordinato in “nero” comporta, in caso di mancato versamento di contributi e premi oltre una certa soglia, una triplice sanzione: penale (art. 37, co. 1, l. n. 689/1981), «civile» (art. 116, co. 8, lett. b), l. n. 388/2000), e «amministrativa pecuniaria» (art. 3, co. 3, d.l. n. 12/2002). Il saggio mira ad appurare se questa sovrapposizione di sanzioni possa generare problemi di compatibilità, alla luce dell’orientamento espresso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza del 4 marzo 2014 resa nel Ricorso n. 18640/10 - Grande Stevens e altri c. Italia, in cui è stata ravvisata una violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (che sancisce il principio del ne bis in idem) perché erano stati avviati nuovi procedimenti penali dopo la condanna definitiva subita dai ricorrenti nel procedimento di opposizione alle sanzioni amministrative pecuniarie inflitte dalla CONSOB.
2016
Legalità e rapporto di lavoro – Incentivi e sanzioni
978-88-8303-737-5
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