L’operare nel campo della formazione alla professionalità educativa e della consulenza pedagogica mi ha fatto incontrare una situazione ricorrente. La domanda delle organizzazioni educative è spesso legata al bisogno di migliorare gli strumenti e l’efficacia educativa che in un qualche modo – complice l’evoluzione dei servizi e la complessificazione delle istanze socio-educative – si sentono venir meno. Per tale esigenza, si invocano di norma soluzioni agili e rapidamente spendibili. Tuttavia esse appaiono inappropriate, poiché ciò che mi ha mostrato l’esperienza è che alla base dei bisogni dichiarati vi era una (poco percepita) debolezza dell’impianto pedagogico e una manchevolezza nel rigore progettuale e procedurale. Portare le organizzazioni e i loro operatori sul terreno sinistro dell’epistemologia pedagogica è difficile: guida e attrezzature appropriate, consentono però loro di esplorare un ambiente nel quale riconoscere diversamente la loro esperienza e un terreno dove meglio radicare la possibilità delle loro istanze. Per illustrare come nella mia ricerca-azione il tema dei modelli pedagogici sia devenuto centrale, bisogna partire dal fatto che l’azione educativa – segnatamente distinta dagli “eventi educativi” – nella sua duplice dimensione intenzionale e attuativa richiama il nesso pedagogico “teoria-prassi”, meglio argomentabile in prospettiva “tridimensionale”, nella circolarità “teoria-prassi-teoria” (Scaglioso 1995, 2009, Dalle Fratte 1995, 2005): si pone dunque il problema della definizione di una razionalità pedagogica (Cunti 2005), ossia – in prospettiva epistemologica – dell’esistenza (o meno) di una specifica logica secondo la quale ideare, progettare e agire l’educazione. Tale, in altre parole, è il problema del modello, quale dispositivo capace di stabilire i necessari parametri logici e prassici che l’azione (e in essa il “progetto” che la dispone) deve rispettare per essere efficace nello specifico del campo educativo. Per garantire compiutamente il passaggio dall’intenzione pedagogica come teoria all’azione educativa, occorre cioè un “meccanismo di mediazione” tra le intenzioni (T) e il progetto (P), volto a garantire una forma logica atta a realizzare la specifica razionalità pedagogica e l’azione educativa (A): tale è la funzione del modello (M). In questo modo la sequenza logica conseguente può essere riassunta nei seguenti termini: T→M→P→A. In campo formativo e di consulenza, il lavoro rifondativo sull’esplicitazione dell’impianto pedagogico e del modello di logica ad esso sotteso consente di rispondere alle istanze poste dalle organizzazioni attraverso i propri stessi “rimossi” fondamenti. Ben sapendo che vi possono essere diverse tipologie di modelli anche in campo pedagogico (Baldacci 2010), quello adottato nelle esperienze sin qui condotte è stato il Modello in pedagogia (Dalle Fratte 1986), il quale ha dimostrato una notevole proprietà euristica nei confronti delle problematicità contestuali, flessibilità di adozione nelle pratiche professionali e sostenibilità d’esercizio, dando luogo ad interessanti impianti pedagogici (Agostinetto 2013). Il contributo, infine, propone una parziale esemplificazioni di tali risultanze.

Alle radici dell’agire educativo. Formazione e modelli pedagogici: logica, progetti ed esempi

AGOSTINETTO, LUCA
2017

Abstract

L’operare nel campo della formazione alla professionalità educativa e della consulenza pedagogica mi ha fatto incontrare una situazione ricorrente. La domanda delle organizzazioni educative è spesso legata al bisogno di migliorare gli strumenti e l’efficacia educativa che in un qualche modo – complice l’evoluzione dei servizi e la complessificazione delle istanze socio-educative – si sentono venir meno. Per tale esigenza, si invocano di norma soluzioni agili e rapidamente spendibili. Tuttavia esse appaiono inappropriate, poiché ciò che mi ha mostrato l’esperienza è che alla base dei bisogni dichiarati vi era una (poco percepita) debolezza dell’impianto pedagogico e una manchevolezza nel rigore progettuale e procedurale. Portare le organizzazioni e i loro operatori sul terreno sinistro dell’epistemologia pedagogica è difficile: guida e attrezzature appropriate, consentono però loro di esplorare un ambiente nel quale riconoscere diversamente la loro esperienza e un terreno dove meglio radicare la possibilità delle loro istanze. Per illustrare come nella mia ricerca-azione il tema dei modelli pedagogici sia devenuto centrale, bisogna partire dal fatto che l’azione educativa – segnatamente distinta dagli “eventi educativi” – nella sua duplice dimensione intenzionale e attuativa richiama il nesso pedagogico “teoria-prassi”, meglio argomentabile in prospettiva “tridimensionale”, nella circolarità “teoria-prassi-teoria” (Scaglioso 1995, 2009, Dalle Fratte 1995, 2005): si pone dunque il problema della definizione di una razionalità pedagogica (Cunti 2005), ossia – in prospettiva epistemologica – dell’esistenza (o meno) di una specifica logica secondo la quale ideare, progettare e agire l’educazione. Tale, in altre parole, è il problema del modello, quale dispositivo capace di stabilire i necessari parametri logici e prassici che l’azione (e in essa il “progetto” che la dispone) deve rispettare per essere efficace nello specifico del campo educativo. Per garantire compiutamente il passaggio dall’intenzione pedagogica come teoria all’azione educativa, occorre cioè un “meccanismo di mediazione” tra le intenzioni (T) e il progetto (P), volto a garantire una forma logica atta a realizzare la specifica razionalità pedagogica e l’azione educativa (A): tale è la funzione del modello (M). In questo modo la sequenza logica conseguente può essere riassunta nei seguenti termini: T→M→P→A. In campo formativo e di consulenza, il lavoro rifondativo sull’esplicitazione dell’impianto pedagogico e del modello di logica ad esso sotteso consente di rispondere alle istanze poste dalle organizzazioni attraverso i propri stessi “rimossi” fondamenti. Ben sapendo che vi possono essere diverse tipologie di modelli anche in campo pedagogico (Baldacci 2010), quello adottato nelle esperienze sin qui condotte è stato il Modello in pedagogia (Dalle Fratte 1986), il quale ha dimostrato una notevole proprietà euristica nei confronti delle problematicità contestuali, flessibilità di adozione nelle pratiche professionali e sostenibilità d’esercizio, dando luogo ad interessanti impianti pedagogici (Agostinetto 2013). Il contributo, infine, propone una parziale esemplificazioni di tali risultanze.
2017
L'Educatore. Il “differenziale ” di una professione pedagogica
978-88-6760-419-7
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3227374
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