I modelli più accreditati di interpretazione e analisi delle tematiche associate alle disabilità che sono stati riassunti nella prima parte di questo volume e i nodi cruciali che ci hanno portato a parlare di «inclusione senza se e senza ma» per tutti ruotano attorno al convincimento che tutte le persone aspirano alla felicità, a vivere una vita ricca di significato, a svolgere un lavoro soddisfacente e dignitoso, a poter decidere e scegliere come realizzarsi, e così via. Potremmo tranquillamente ammettere che, sebbene si sia dovuto attendere la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo1 per poter constatare su di essa un’«universale condivisione», questa tensione al benessere e alla qualità della vita è stata probabilmente sempre presente negli esseri umani che da millenni hanno popolato la nostra terra. Dato che «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo» e ha stimolato la lotta alla discriminazione e l’avvento dell’era dell’inclusione, riportiamo gli articoli che più di altri tutti coloro che hanno a cuore le tematiche delle disabilità dovrebbero sistematicamente continuare a pubblicizzare (cfr. tab. 14.1). Si tratta di un riferimento a nostro avviso importante e necessario in quanto, come vedremo in queste pagine, parlare di qualità della vita (QdV) di una persona significa di fatto uscire da ottiche prettamente private e individualistiche in favore di visioni marcatamente sistemiche dal momento che essa è relata e dipende dalla qualità dei contesti e delle relazioni nelle quali si trova inserita. Ovviamente ciò equivale a dire che il bene, il benessere e la soddisfazione comuni e individuali vanno di pari passo e non possono essere trattati in modo indipendente e separato. In tutto questo anche la ricerca psicologica ha fatto la sua parte occupandosi di questo costrutto in presenza di situazioni di disabilità attribuendogli, addirittura, il ruolo di criterio di legittimazione e validazione degli stessi interventi biomedici, abilitativi e riabilitativi che vengono posti in essere in loro favore nel convincimento che lo scopo ultimo di ogni trattamento debba essere quello di far sperimentare alla persona che lo riceve condizioni di vita e livelli di soddisfazione per la propria esistenza decisamente più consistenti di quelli precedentemente esperiti. Se un tempo erano i tassi di mortalità e di morbilità a essere considerati attendibili e validi indicatori di salute, è grazie al costrutto della QdV che essi, per quanto importanti e utili debbano ancora essere ritenuti, appaiono sempre più frequentemente insoddisfacenti per descrivere sia lo stato di benessere delle persone che l’efficacia e la validità dei trattamenti e delle cure che vengono organizzate e poste in essere lanciando di fatto una delle più importanti sfide alle tradizionali e obsolete modalità prettamente sanitarie di occuparsi di queste questioni. Ma cosa si intende per qualità della vita? A quali definizioni possiamo ancorare le nostre riflessioni? E quali misure potremmo raccogliere per stimarne la presenza e l’intensità?

Promuovere una vita di qualità per tutti

NOTA, LAURA;FERRARI, LEA;SORESI, SALVATORE;SGARAMELLA, TERESA MARIA
2016

Abstract

I modelli più accreditati di interpretazione e analisi delle tematiche associate alle disabilità che sono stati riassunti nella prima parte di questo volume e i nodi cruciali che ci hanno portato a parlare di «inclusione senza se e senza ma» per tutti ruotano attorno al convincimento che tutte le persone aspirano alla felicità, a vivere una vita ricca di significato, a svolgere un lavoro soddisfacente e dignitoso, a poter decidere e scegliere come realizzarsi, e così via. Potremmo tranquillamente ammettere che, sebbene si sia dovuto attendere la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo1 per poter constatare su di essa un’«universale condivisione», questa tensione al benessere e alla qualità della vita è stata probabilmente sempre presente negli esseri umani che da millenni hanno popolato la nostra terra. Dato che «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo» e ha stimolato la lotta alla discriminazione e l’avvento dell’era dell’inclusione, riportiamo gli articoli che più di altri tutti coloro che hanno a cuore le tematiche delle disabilità dovrebbero sistematicamente continuare a pubblicizzare (cfr. tab. 14.1). Si tratta di un riferimento a nostro avviso importante e necessario in quanto, come vedremo in queste pagine, parlare di qualità della vita (QdV) di una persona significa di fatto uscire da ottiche prettamente private e individualistiche in favore di visioni marcatamente sistemiche dal momento che essa è relata e dipende dalla qualità dei contesti e delle relazioni nelle quali si trova inserita. Ovviamente ciò equivale a dire che il bene, il benessere e la soddisfazione comuni e individuali vanno di pari passo e non possono essere trattati in modo indipendente e separato. In tutto questo anche la ricerca psicologica ha fatto la sua parte occupandosi di questo costrutto in presenza di situazioni di disabilità attribuendogli, addirittura, il ruolo di criterio di legittimazione e validazione degli stessi interventi biomedici, abilitativi e riabilitativi che vengono posti in essere in loro favore nel convincimento che lo scopo ultimo di ogni trattamento debba essere quello di far sperimentare alla persona che lo riceve condizioni di vita e livelli di soddisfazione per la propria esistenza decisamente più consistenti di quelli precedentemente esperiti. Se un tempo erano i tassi di mortalità e di morbilità a essere considerati attendibili e validi indicatori di salute, è grazie al costrutto della QdV che essi, per quanto importanti e utili debbano ancora essere ritenuti, appaiono sempre più frequentemente insoddisfacenti per descrivere sia lo stato di benessere delle persone che l’efficacia e la validità dei trattamenti e delle cure che vengono organizzate e poste in essere lanciando di fatto una delle più importanti sfide alle tradizionali e obsolete modalità prettamente sanitarie di occuparsi di queste questioni. Ma cosa si intende per qualità della vita? A quali definizioni possiamo ancorare le nostre riflessioni? E quali misure potremmo raccogliere per stimarne la presenza e l’intensità?
2016
Psicologia delle disabilità e dell’inclusione
978-88-15-26561-6
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