La società nella quale stiamo vivendo viene spesso denominata in vari modi, fra cui ‘risk society’ o ‘società del rischio’, caratterizzata da crisi sociali, economiche e ambientali. Il significato di questa denominazione sta emergendo con sempre maggior chiarezza negli ultimi periodi in considerazione del fatto che ci stiamo rendendo conto delle conseguenze associate al deterioramento delle condizioni di vita, alla perdita delle sicurezze lavorative, assicurative, pensionistiche (Judt, 2010). Inoltre, anche se oramai ben sappiamo che il lavoro non è più lo stesso, con sempre più frequenti forme di contratti ‘insicuri’, da quelli temporanei, contingenti, a quelli freelance, part-time, atipici, a consulenza, ecc. (Savickas, 2012; Nota, Soresi, Ferrari e Ginevra, in press), cominciamo a percepire la propensione ad uno sfruttamento generalizzato del lavoro altrui, con la creazione di quelli che l’Istat (2013) chiama i working poor, ovvero i lavoratori a basso salario che accettano condizioni lavorative al limite della decenza e sono a rischio di indigenza. Ci stiamo anche accorgendo che il trovarsi in mezzo alle difficoltà avviene spesso in modo quasi repentino, in quanto la globalità che caratterizza questa società fa apparire il rischio e le conseguenze negative distanti, quasi invisibili, astratte. Così i fenomeni finanziari ed economici complessi che ne sono alla base, richiedendo per una buona comprensione conoscenze specialistiche, possedute da un numero limitato di persone, rimangono sostanzialmente ignare ai più. Tali condizioni tendono a ridurre la possibilità di costruire specifiche difese e di mettere a fuoco idee di fronteggiamento (O’Conner, 2012). A questo Baker e Comer (2012) aggiungono lo scoramento nei confronti della politica da parte della popolazione, l’emergere del divario sempre più grande fra ricchi e poveri, e il diffondersi del convincimento che non si possa fare un granché, che il potere è concentrato nelle mani di pochi, con conseguente affievolimento dell’‘energia sociale’ e dell’efficacia collettiva nei confronti delle crisi sperimentate. Così si registrano sentimenti diffusi di depressione. Ricordiamo che sono aumentate le pubblicazioni, sia in ambito medico che psicologico, relative agli effetti della crisi, fra cui il dilagare di sensazioni di impotenza, l’incremento dei tassi di suicidi e dell’abuso di alcol e droga, e il diffondersi di fenomeni di discriminazione nei confronti dei soggetti più a rischio. Queste condizioni stanno interessando fasce sempre più ampie della popolazione tanto che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme a riguardo, in particolare nei paesi occidentali (World Health Organization, 2011). Per altro lì dove la crisi è più forte non valgono nemmeno più i fattori di protezione del passato, come ad esempio l’essere sposati e l’avere figli, che sembra si stiano trasformando in ulteriori fattori di rischio (Goldman-Mellor et al., 2010; Economou et al., 2013). In questo contesto le persone in età lavorativa si trovano forse a sperimentare le conseguenze più pesanti, anche in considerazione delle responsabilità familiari e sociali che hanno. Così in questo capitolo concentreremo la nostra attenzione sugli adulti che vivono i nostri tempi, sia quelli che nutrono la speranza di poter avere una loro vita lavorativa, sia quelli che sono già presenti nel tessuto professionale ma che percepiscono incertezza e difficoltà. Il nostro lavoro, però, pur nella consapevolezza che quanto scritto rappresenta sicuramente una fotografia della realtà occidentale, si basa sul convincimento che viviamo in un’epoca senza precedenti, che vede nel complesso le condizioni di salute della popolazione mondiale migliorate, i minori tassi di analfabetismo mai registrati, maggiori possibilità di avere beni di consumo primari alla portata dei più. Riteniamo essenziale il continuare a lavorare per il progresso economico, per l’innovazione e il cambiamento, al fine di favorire ulteriori livelli di benessere, per un numero ancora più consistente di persone (Ridley, 2013; Nota, Ginevra e Santilli, in press). Per fare questo abbiamo bisogno di nuove strategie di fronteggiamento degli eventi negativi che possono accadere repentinamente e sostenere la lotta alla rassegnazione e alla rinuncia, e siamo convinti che ciò non si possa fare soffiando sulle vele del pessimismo, operazione che affievolisce le forze e la voglia di fare (Soresi e Nota, in press). La nostra società del rischio necessita di persone che riacquistino la speranza, l’ottimismo, la grinta per favorire nuovi cambiamenti e miglioramenti, che sostengano l’innovazione, che si adoperino per sfruttare, per il bene di tutti, l’intelligenza collettiva accumulata dall’umanità e facilitarne l’evoluzione. Così dopo questa introduzione, il resto del capitolo volgerà la sua attenzione a dimensioni, a dati di ricerca e a riflessioni che ci aiutino a muoverci in tale direzione, sintetizzando il lavoro fino a qui svolto nell’ambito dell’International Hope Research Team.

PSICOLOGIA POSITIVA E I LAVORATORI DI OGGI E DEL PROSSIMO FUTURO

SANTILLI, SARA;NOTA, LAURA;SORESI, SALVATORE
2015

Abstract

La società nella quale stiamo vivendo viene spesso denominata in vari modi, fra cui ‘risk society’ o ‘società del rischio’, caratterizzata da crisi sociali, economiche e ambientali. Il significato di questa denominazione sta emergendo con sempre maggior chiarezza negli ultimi periodi in considerazione del fatto che ci stiamo rendendo conto delle conseguenze associate al deterioramento delle condizioni di vita, alla perdita delle sicurezze lavorative, assicurative, pensionistiche (Judt, 2010). Inoltre, anche se oramai ben sappiamo che il lavoro non è più lo stesso, con sempre più frequenti forme di contratti ‘insicuri’, da quelli temporanei, contingenti, a quelli freelance, part-time, atipici, a consulenza, ecc. (Savickas, 2012; Nota, Soresi, Ferrari e Ginevra, in press), cominciamo a percepire la propensione ad uno sfruttamento generalizzato del lavoro altrui, con la creazione di quelli che l’Istat (2013) chiama i working poor, ovvero i lavoratori a basso salario che accettano condizioni lavorative al limite della decenza e sono a rischio di indigenza. Ci stiamo anche accorgendo che il trovarsi in mezzo alle difficoltà avviene spesso in modo quasi repentino, in quanto la globalità che caratterizza questa società fa apparire il rischio e le conseguenze negative distanti, quasi invisibili, astratte. Così i fenomeni finanziari ed economici complessi che ne sono alla base, richiedendo per una buona comprensione conoscenze specialistiche, possedute da un numero limitato di persone, rimangono sostanzialmente ignare ai più. Tali condizioni tendono a ridurre la possibilità di costruire specifiche difese e di mettere a fuoco idee di fronteggiamento (O’Conner, 2012). A questo Baker e Comer (2012) aggiungono lo scoramento nei confronti della politica da parte della popolazione, l’emergere del divario sempre più grande fra ricchi e poveri, e il diffondersi del convincimento che non si possa fare un granché, che il potere è concentrato nelle mani di pochi, con conseguente affievolimento dell’‘energia sociale’ e dell’efficacia collettiva nei confronti delle crisi sperimentate. Così si registrano sentimenti diffusi di depressione. Ricordiamo che sono aumentate le pubblicazioni, sia in ambito medico che psicologico, relative agli effetti della crisi, fra cui il dilagare di sensazioni di impotenza, l’incremento dei tassi di suicidi e dell’abuso di alcol e droga, e il diffondersi di fenomeni di discriminazione nei confronti dei soggetti più a rischio. Queste condizioni stanno interessando fasce sempre più ampie della popolazione tanto che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme a riguardo, in particolare nei paesi occidentali (World Health Organization, 2011). Per altro lì dove la crisi è più forte non valgono nemmeno più i fattori di protezione del passato, come ad esempio l’essere sposati e l’avere figli, che sembra si stiano trasformando in ulteriori fattori di rischio (Goldman-Mellor et al., 2010; Economou et al., 2013). In questo contesto le persone in età lavorativa si trovano forse a sperimentare le conseguenze più pesanti, anche in considerazione delle responsabilità familiari e sociali che hanno. Così in questo capitolo concentreremo la nostra attenzione sugli adulti che vivono i nostri tempi, sia quelli che nutrono la speranza di poter avere una loro vita lavorativa, sia quelli che sono già presenti nel tessuto professionale ma che percepiscono incertezza e difficoltà. Il nostro lavoro, però, pur nella consapevolezza che quanto scritto rappresenta sicuramente una fotografia della realtà occidentale, si basa sul convincimento che viviamo in un’epoca senza precedenti, che vede nel complesso le condizioni di salute della popolazione mondiale migliorate, i minori tassi di analfabetismo mai registrati, maggiori possibilità di avere beni di consumo primari alla portata dei più. Riteniamo essenziale il continuare a lavorare per il progresso economico, per l’innovazione e il cambiamento, al fine di favorire ulteriori livelli di benessere, per un numero ancora più consistente di persone (Ridley, 2013; Nota, Ginevra e Santilli, in press). Per fare questo abbiamo bisogno di nuove strategie di fronteggiamento degli eventi negativi che possono accadere repentinamente e sostenere la lotta alla rassegnazione e alla rinuncia, e siamo convinti che ciò non si possa fare soffiando sulle vele del pessimismo, operazione che affievolisce le forze e la voglia di fare (Soresi e Nota, in press). La nostra società del rischio necessita di persone che riacquistino la speranza, l’ottimismo, la grinta per favorire nuovi cambiamenti e miglioramenti, che sostengano l’innovazione, che si adoperino per sfruttare, per il bene di tutti, l’intelligenza collettiva accumulata dall’umanità e facilitarne l’evoluzione. Così dopo questa introduzione, il resto del capitolo volgerà la sua attenzione a dimensioni, a dati di ricerca e a riflessioni che ci aiutino a muoverci in tale direzione, sintetizzando il lavoro fino a qui svolto nell’ambito dell’International Hope Research Team.
2015
La psicologia positiva per l'orientamento e il lavoro. Strumenti e contributi di ricerca
978-88-98542-13-0
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3233437
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