Il “riconoscimento” dei bambini come soggetti e attori sociali inseriti in strutture generazionali di potere rimanda direttamente ai temi della cittadinanza. Se queste due questioni, agency e cittadinanza, sono ormai riconosciute e approfondite nell’ambito delle sfere pubbliche specializzate, al di fuori di queste permane ancora forte la convinzione che i bambini si possano comprendere solo in funzione del loro sviluppo evolutivo e in quanto adulti in formazione. Così quando si affrontano i temi della diseguaglianza sociale associati alla realizzazione della democrazia si indicano spesso il genere oppure la classe sociale come elementi chiave con cui verificare il grado di sviluppo concreto delle politiche di welfare, dimenticandosi spesso che la dimensione generazionale costituisce al tempo stesso un’altra, certamente non l’unica, ma anch’essa imprescindibile, prospettiva su cui misurare il grado di maturità di una società democratica. Si tratta di orientamenti la cui resistenza e forza sono sicuramente favoriti dall’operare di due principi regolatori tra loro in antagonismo: il ruolo attivo dei bambini nelle interazioni con gli adulti e nella costruzione della quotidianità si può attuare solo all’interno di un quadro di promozione e di protezione dei bambini realizzata dagli adulti che detengono la supremazia fisica, morale, sociale e politica dell’organizzazione societaria in cui i bambini, dalla nascita, si sono visti parte, non certo per loro scelta. L’esercizio della cittadinanza da parte dei bambini richiama tre termini, tra loro strettamente collegati, che fanno parte in modo profondo del patrimonio retorico dei diritti e che in questi anni sono stati sempre più al centro di studi, dibattiti, confronti e precisazioni: la “voce”, l’ascolto e la partecipazione. Alcuni tendono a sovrapporli oppure a pensare il secondo come un’articolazione del terzo come accade nella ormai vasta pubblicistica di area anglosassone. Ciò perché manca, come sostengono diversi studiosi, un’elaborazione convincente oppure una riflessione articolata e compiuta di cosa questi tre elementi indichino nel campo di interesse della cittadinanza dei bambini. Il presente contributo, in base alla rassegna di un’ampia letteratura di riferimento, mette in evidenza come ascoltare, seppur in modo attivo ed empatico, non implica necessariamente prender parte a nuove relazioni sociali intergenerazionali che favoriscono l’inclusione e riducono le simmetrie di potere tra bambini e adulti. Ascoltare non implica nemmeno prender direttamente o indirettamente parte alle decisioni o essere il decisore prevalente circa le scelte che riguardano la propria quotidianità oppure i processi sociali in cui si è coinvolti. In questo modo l’ascolto si configura al contempo sia come una dimensione propedeutica che interna alle diverse forme partecipative dei bambini e degli adolescenti. Se l’ascolto è l’istanza attraverso cui si possono svelare le capacità, le competenze e la soggettività delle persone, la partecipazione è la pratica che a queste dimensioni affianca, più di altri diritti, quella relazionale (tra pari e con gli adulti) e di autonomia. In generale, ascolto e partecipazione sono in primo luogo gli strumenti, oltre che il fine, per il pieno svolgimento dei vari diritti dei bambini e per il loro pieno riconoscimento sociale e giuridico. Se la “voce” è la parola chiave nell’ascolto, nella partecipazione la parola chiave che assume maggior peso, seppur non in modo escludente, è l’”agency”.

Ascolto e partecipazione dei bambini nei rapporti intergenerazionali

Valerio Belotti
2017

Abstract

Il “riconoscimento” dei bambini come soggetti e attori sociali inseriti in strutture generazionali di potere rimanda direttamente ai temi della cittadinanza. Se queste due questioni, agency e cittadinanza, sono ormai riconosciute e approfondite nell’ambito delle sfere pubbliche specializzate, al di fuori di queste permane ancora forte la convinzione che i bambini si possano comprendere solo in funzione del loro sviluppo evolutivo e in quanto adulti in formazione. Così quando si affrontano i temi della diseguaglianza sociale associati alla realizzazione della democrazia si indicano spesso il genere oppure la classe sociale come elementi chiave con cui verificare il grado di sviluppo concreto delle politiche di welfare, dimenticandosi spesso che la dimensione generazionale costituisce al tempo stesso un’altra, certamente non l’unica, ma anch’essa imprescindibile, prospettiva su cui misurare il grado di maturità di una società democratica. Si tratta di orientamenti la cui resistenza e forza sono sicuramente favoriti dall’operare di due principi regolatori tra loro in antagonismo: il ruolo attivo dei bambini nelle interazioni con gli adulti e nella costruzione della quotidianità si può attuare solo all’interno di un quadro di promozione e di protezione dei bambini realizzata dagli adulti che detengono la supremazia fisica, morale, sociale e politica dell’organizzazione societaria in cui i bambini, dalla nascita, si sono visti parte, non certo per loro scelta. L’esercizio della cittadinanza da parte dei bambini richiama tre termini, tra loro strettamente collegati, che fanno parte in modo profondo del patrimonio retorico dei diritti e che in questi anni sono stati sempre più al centro di studi, dibattiti, confronti e precisazioni: la “voce”, l’ascolto e la partecipazione. Alcuni tendono a sovrapporli oppure a pensare il secondo come un’articolazione del terzo come accade nella ormai vasta pubblicistica di area anglosassone. Ciò perché manca, come sostengono diversi studiosi, un’elaborazione convincente oppure una riflessione articolata e compiuta di cosa questi tre elementi indichino nel campo di interesse della cittadinanza dei bambini. Il presente contributo, in base alla rassegna di un’ampia letteratura di riferimento, mette in evidenza come ascoltare, seppur in modo attivo ed empatico, non implica necessariamente prender parte a nuove relazioni sociali intergenerazionali che favoriscono l’inclusione e riducono le simmetrie di potere tra bambini e adulti. Ascoltare non implica nemmeno prender direttamente o indirettamente parte alle decisioni o essere il decisore prevalente circa le scelte che riguardano la propria quotidianità oppure i processi sociali in cui si è coinvolti. In questo modo l’ascolto si configura al contempo sia come una dimensione propedeutica che interna alle diverse forme partecipative dei bambini e degli adolescenti. Se l’ascolto è l’istanza attraverso cui si possono svelare le capacità, le competenze e la soggettività delle persone, la partecipazione è la pratica che a queste dimensioni affianca, più di altri diritti, quella relazionale (tra pari e con gli adulti) e di autonomia. In generale, ascolto e partecipazione sono in primo luogo gli strumenti, oltre che il fine, per il pieno svolgimento dei vari diritti dei bambini e per il loro pieno riconoscimento sociale e giuridico. Se la “voce” è la parola chiave nell’ascolto, nella partecipazione la parola chiave che assume maggior peso, seppur non in modo escludente, è l’”agency”.
2017
"Ho fiducia in loro". Il diritto di bambini e adolescenti di essere ascoltati e di partecipare nell'intreccio delle generazioni
9788843077526
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3249422
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