I riferimenti di natura musicale che si susseguono nei canti X-XIV del Paradiso, più che richiamare forme concretamente definite, rientrano in un’unica immagine retorica che non ha alcun riferimento a una possibile esecuzione. Dante non specifica di quale canto si tratti, né fornisce indizi per riconoscerlo e neppure indica quale sia la melodia. Le precisazioni date sono funzionali al tentativo di rendere intelligibile un grado di bellezza e di perfezione che non può essere espresso attraverso un’esecuzione concreta, ma che è alla portata solamente degli spiriti sapienti. Pertanto, il problema non è se i termini misura, quantità, tempo, movimento e luce vadano interpretati in funzione di una qualche forma di musica polifonica, anche se non è da escludere ma non è essenziale. Il significato autentico della loro associazione consiste nel percorso cognitivo che deve compiere chi intende conquistare e gustare la dulcedo di quella perfezione che, non essendo soggetta al divenire temporale, va percepita tutta assieme ed è da contemplare simultaneamente. Non c’è una forma di musica che presenti prerogative simili se non il canto liturgico, perché unito alla parola rivelata che è una parola eterna, continuamente presente e immutabile nella sua verità. È il canto piano della Chiesa occidentale, vocale, modale e amensurale, connaturato all’essere di quella specifica parola. È un canto monodico, ma che alla fine del sec. XIII era prassi documentata anche biscantare a due voci. È quel cantus planus binatim al quale i contemporanei di Dante attribuivano la virtù di suscitare «tanta deletança»e che ancora agli inizi del sec. XV sarà definito un «modus dulcissimus cantandi ubi voces pares et dulces inveniantur».

"Compié 'l cantare e 'l volger sua misura". Il concetto di "quantitas in plana musica" (sec. XIII-XIV)

Antonio, Lovato
2017

Abstract

I riferimenti di natura musicale che si susseguono nei canti X-XIV del Paradiso, più che richiamare forme concretamente definite, rientrano in un’unica immagine retorica che non ha alcun riferimento a una possibile esecuzione. Dante non specifica di quale canto si tratti, né fornisce indizi per riconoscerlo e neppure indica quale sia la melodia. Le precisazioni date sono funzionali al tentativo di rendere intelligibile un grado di bellezza e di perfezione che non può essere espresso attraverso un’esecuzione concreta, ma che è alla portata solamente degli spiriti sapienti. Pertanto, il problema non è se i termini misura, quantità, tempo, movimento e luce vadano interpretati in funzione di una qualche forma di musica polifonica, anche se non è da escludere ma non è essenziale. Il significato autentico della loro associazione consiste nel percorso cognitivo che deve compiere chi intende conquistare e gustare la dulcedo di quella perfezione che, non essendo soggetta al divenire temporale, va percepita tutta assieme ed è da contemplare simultaneamente. Non c’è una forma di musica che presenti prerogative simili se non il canto liturgico, perché unito alla parola rivelata che è una parola eterna, continuamente presente e immutabile nella sua verità. È il canto piano della Chiesa occidentale, vocale, modale e amensurale, connaturato all’essere di quella specifica parola. È un canto monodico, ma che alla fine del sec. XIII era prassi documentata anche biscantare a due voci. È quel cantus planus binatim al quale i contemporanei di Dante attribuivano la virtù di suscitare «tanta deletança»e che ancora agli inizi del sec. XV sarà definito un «modus dulcissimus cantandi ubi voces pares et dulces inveniantur».
2017
Nel 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri. Letteratura e musica del Duecento e del Trecento
9788894226003
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