Il ms. 720 della Biblioteca Antoniana di Padova, il cosiddetto “Codice del Tesoro”, così chiamato poiché è stato custodito fra le reliquie della Basilica del Santo, noto anche come codice O della tradizione, conserva i Sermones dominicales e i Sermones festivi di Antonio, cui fa seguito una raccolta di brevi testi, la cosiddetta Miscellanea, costituita cioè da 38 sermoni extravagantes e da 65 brani frammentari. Si tratta del testimone più antico e più completo dei sermoni di Antonio, che la devozione popolare ha attribuito alla mano dello stesso santo, almeno per le numerose glosse che lo arricchiscono, e che ha dunque venerato come reliquia antoniana. E proprio fra le reliquie antoniane, nella Cappella del Tesoro della Basilica del Santo di Padova, il codice è stato a lungo conservato. L’impressione forte che si ricava sfogliando il ms. 720 è che si abbia a che fare con un codice di lavoro, non solo perché sono notevoli le tracce del suo uso intenso, quali i frequenti rinvii interni, oppure le integrazioni testuali, di passi più ampi come anche di singoli lemmi, o anche le note esplicative, il cui tenore complessivo, soprattutto quando espandono per così dire il concetto espresso troppo sinteticamente, ha convinto più di uno studioso ad attribuirli all’intervento in primis proprio dello stesso Antonio, ma soprattutto perché è stato confezionato al fine di creare una sorta di prima edizione ne varietur, per dare insomma una veste stabilizzata all’opera di Antonio. L’autore probabilmente controllava o almeno coadiuvava l’opera di copiatura, svolta da quello che possiamo immaginare essere stati dei segretari/copisti. Dunque abbiamo a che fare con un idiografo, cioè con un codice confezionato sotto la stretta supervisione dell’autore dell’opera, che dunque non partecipa direttamente, ma solo lateralmente, per così dire alla di registrazione scritta di un suo testo. Se è possibile che abbiano lavorato contemporaneamente più scriptores, in realtà potrebbe essersi verificata una situazione opposta, per cui gli scribi hanno lavorato in successione, uno dopo l’altro, o alternandosi o piuttosto succedendosi nell’attività di trascrizione. È lecito in ogni caso immaginare che alla base dell’allestimento del codice vi sia stato una fase preventiva indispensabile, rappresentata da un lavoro di raccolta e di verifica del testo la cui prima redazione era in origine scritta in plagulae o schedulae.

Mitologia di un manoscritto, storia di un manoscritto, archeologia di un manoscritto. Il cosiddetto “Codice del Tesoro” (ms. 720) della Pontificia Biblioteca Antoniana di Padova

NICOLETTA GIOVE'
2017

Abstract

Il ms. 720 della Biblioteca Antoniana di Padova, il cosiddetto “Codice del Tesoro”, così chiamato poiché è stato custodito fra le reliquie della Basilica del Santo, noto anche come codice O della tradizione, conserva i Sermones dominicales e i Sermones festivi di Antonio, cui fa seguito una raccolta di brevi testi, la cosiddetta Miscellanea, costituita cioè da 38 sermoni extravagantes e da 65 brani frammentari. Si tratta del testimone più antico e più completo dei sermoni di Antonio, che la devozione popolare ha attribuito alla mano dello stesso santo, almeno per le numerose glosse che lo arricchiscono, e che ha dunque venerato come reliquia antoniana. E proprio fra le reliquie antoniane, nella Cappella del Tesoro della Basilica del Santo di Padova, il codice è stato a lungo conservato. L’impressione forte che si ricava sfogliando il ms. 720 è che si abbia a che fare con un codice di lavoro, non solo perché sono notevoli le tracce del suo uso intenso, quali i frequenti rinvii interni, oppure le integrazioni testuali, di passi più ampi come anche di singoli lemmi, o anche le note esplicative, il cui tenore complessivo, soprattutto quando espandono per così dire il concetto espresso troppo sinteticamente, ha convinto più di uno studioso ad attribuirli all’intervento in primis proprio dello stesso Antonio, ma soprattutto perché è stato confezionato al fine di creare una sorta di prima edizione ne varietur, per dare insomma una veste stabilizzata all’opera di Antonio. L’autore probabilmente controllava o almeno coadiuvava l’opera di copiatura, svolta da quello che possiamo immaginare essere stati dei segretari/copisti. Dunque abbiamo a che fare con un idiografo, cioè con un codice confezionato sotto la stretta supervisione dell’autore dell’opera, che dunque non partecipa direttamente, ma solo lateralmente, per così dire alla di registrazione scritta di un suo testo. Se è possibile che abbiano lavorato contemporaneamente più scriptores, in realtà potrebbe essersi verificata una situazione opposta, per cui gli scribi hanno lavorato in successione, uno dopo l’altro, o alternandosi o piuttosto succedendosi nell’attività di trascrizione. È lecito in ogni caso immaginare che alla base dell’allestimento del codice vi sia stato una fase preventiva indispensabile, rappresentata da un lavoro di raccolta e di verifica del testo la cui prima redazione era in origine scritta in plagulae o schedulae.
2017
Antonio di Padova e le sue immagini, Atti del XLIV Convegno internazionale (Assisi, 13-15 ottobre 2016)
978-88-6809-149-1
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11577/3257303
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