Premessa la distinzione tra il concetto di rete di imprese da un lato quale concetto attinente al mondo economico e al mondo della analisi dei sistemi di organizzazione della produzione e la nozione di contratto di rete dall’altro quale qualificazione giuridica, il contributo si focalizza sull’analisi della c.d. giuridicizzazione del fenomeno “economico” delle reti di imprese. Partendo dalla rete di imprese quale categoria economica intesa come lo strumento per analizzare la produzione di valore scaturente dal coordinamento di attività tra imprese, si osserva come il legislatore italiano abbia tradotto tale produzione di valore nei termini di crescita, individuale e collettiva, della capacità innovativa e della competitività sul mercato di ciascuna impresa. Il lavoro parte della constatazione delle peculiarità di un contratto definito, o tipizzato che dir si voglia, in funzione dello scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la capacità innovativa e la competitività di ciascuna impresa aderente, anziché – come di regola accade - nella tipizzazione di un determinato scambio ovvero, in alternativa, nella tipizzazione dell’esercizio in comune di una attività economica. Scambio, collaborazione ed esercizio in comune di attività economica sono, invero, dopo il 2010, elementi che possono coesistere nell’oggetto del contratto di rete. Tre sono essenzialmente le fasi temporali che hanno scandito la creazione e la disciplina del contratto di rete tra imprese e sono le fasi corrispondenti agli interventi normativi susseguitisi nel 2009, nel 2010 e nel 2012. Successivamente all’introduzione nel 2009 della prima definizione legale di contratto di rete, la l. 180/2011, c.d. Statuto delle imprese ha introdotto la prima definizione normativa di rete di imprese, sottraendo tale espressione all’area economica e definendo reti di impresa le aggregazioni funzionali tra imprese che rientrano nelle definizioni recate dal decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, e dall'articolo 42 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. In tal modo, la categoria normativa della rete d’imprese sembra, dunque, circoscritta dalla l. 180/2011 alle sole aggregazioni funzionali tra imprese che rientrano nella definizione prevista dalla normativa italiana sul contratto di rete. Dalla sua introduzione nel 2009 sino ad oggi, ampio è stato il dibattito, specie tra i civilisti ma non solo, circa la natura giuridica del c.d. contratto di rete quale risultante dalla definizione datane dal legislatore italiano all’art. 3 commi 4ter e ss. del d.l. 5/2009 a seguito del complesso percorso iniziato appunto nel 2009: sono, infatti, note le discussioni se il contratto di rete, menzionato nella legislazione speciale dal legislatore italiano, sia realmente un nuovo tipo contrattuale (e in tal caso il dibattito si focalizza ulteriormente sul successivo quesito se si tratti di un contratto plurilaterale associativo o meno) o non dia, invece, luogo ad una fattispecie c.d. “Trans-tipica” che pone in crisi la tradizionale contrapposizione tra contratto di scambio e contratto per l’esercizio in comune di attività economica, se non addirittura ad una disciplina avente mera rilevanza tributaria, assimilando in un certo qual modo la funzione del termine “rete” a quelle che nell’ambito degli enti no-profit assume l’acronimo “Onlus”. Con la consapevolezza delle argomentazioni e dei diversi esiti cui è pervenuta la dottrina civilistica e giuscommercialistica nell’analisi della figura del contratto di rete sotto i profili di cui sopra, lo scopo del presente contributo è stato quello di analizzare l’impatto che l’introduzione di questa nuova poliedrica figura–ha assunto nel dibattito sulla crisi del contratto come categoria generale da un lato e in ordine alla discussione sulla rilevanza dell’operazione economica nella teoria del contratto dall’altro. Negli anni recenti il dibattito concernente il valore, sul piano dell’ordinamento, della nozione di operazione economica quale categoria concettuale e giuridica è stato intenso e spesso sollecitato dagli interventi legislativi degli ultimi anni, interventi caratterizzati, da un lato, da un processo di superamento del tipo tramite la tecnica del raggruppamento dei contratti finalizzata all’applicazione di un determinata disciplina protettiva e, dall’altro, ad una aggregazione nell’unità formale del tipo di operazione di fattispecie distinte, altrimenti riconducibili a diverse figure tipiche. E’ noto che il fatto economico acquista rilevanza giuridica e diventa, quindi, un fenomeno giuridico attraverso il contratto, ma il contratto, specie se disciplinato per tipi contrattuali legali predeterminati, non sempre è in grado di “esprimere l’unità dell’affare e quindi dell’atto di autonomia privata”, specie in un’economia complessa e interdipendente come quella attuale. Spesso i singoli tipi contrattuali non sono in grado, singolarmente e isolatamente presi, di dare adeguata regolazione agli interessi sottostanti: il che è evidente nelle relazioni complesse, dove spesso l’unità dell’affare si coglie nel fenomeno del collegamento negoziale e quindi nella dipendenza dei rapporti contrattuali da un lato e nella rilevanza della causa in concreto dall’altro. La rilevanza dell’operazione economica non si limita al profilo ermeneutico, ma - come è stato osservato - assurge anche a tecnica legislativa di tipizzazione, ora diretta ora indiretta, per comprendere in una unità formale, spesso a tutela della parte debole, una pluralità di interessi, come è accaduto, ad esempio, con la disciplina sull’abuso di dipendenza economica: come è stato osservato dal fautore della operazione economica quale categoria ordinante il diritto dei contratti, negli anni recenti si è assistito al passaggio dalla tipizzazione del contratto alla tipizzazione per operazione economica e, conseguentemente il contratto, non è più soltanto una “veste giuridica” , ma diventa esso stesso “realtà economica”. La fattispecie del contratto di rete quale delineata dal legislatore italiano rappresenta uno strumento giuridico cui le imprese possono ricorrere per disciplinare in maniera unitaria e coordinata i loro complessi rapporti relazionali e le loro rispettive attività d’impresa, componendo in un unico schema formale interessi individuali e interessi collettivi, in cui la trama unificante è data dal perseguimento dello scopo di accrescere individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. Prima dell’introduzione dello specifico strumento del contratto di rete, le imprese che avessero voluto coordinare le loro attività di impresa dovevano ricorrere ad altri strumenti, dall’ambito applicativo e dalle potenzialità più ridotte, quali ad esempio il contratto di consorzio, e spesso dovevano ricorrere ad una combinazione di contratti tra loro collegati per formalizzare i reciproci rapporti di collaborazione, di scambio e di esercizio in comune di una o più attività, segmentando artificiosamente le “formalizzazioni giuridiche”, nonostante l’unitarietà del progetto economico condiviso dalle imprese in funzione della loro crescita individuale e collettiva. Il contratto di rete viene, dunque, a ricondurre ad unità gli interessi individuali e collettivi delle imprese e, come è stato efficacemente detto rappresenta un processo di tipizzazione diretta di un’operazione economica e consente di dare rilievo sia alle circostanze di fatto e di diritto che permeano l’affare, sia alle caratteristiche soggettive dei contraenti sia al contesto in cui l’affare si realizza. Il prezzo da pagare per tale tipizzazione per operazione economica, come è stato sopra osservato, è stato quello di rinunciare ad ogni regolamentazione contenutistica preventiva da parte del legislatore del contratto di rete: nella fattispecie contratto di rete il legislatore, infatti, non individua né diritti, né obblighi né doveri delle parti, né prestazioni caratteristiche, tant’è che taluni autori, con riguardo a tale figura contrattuale hanno parlato di atipicità del contenuto. La tipizzazione per tipi contrattuali è finalizzata all’individuazione e alla distribuzione degli effetti legali naturali propri del tipo, ove non esclusi dalle parti; nel contratto di rete, invece, dove la tipizzazione ha ad oggetto più l’operazione economica in sé, che non il paradigma contenutistico ovvero la combinazione formale delle prestazioni, assistiamo ad un contratto dove il testo del regolamento contrattuale, per essere completo, deve essere delineato e possibilmente anche esplicitato in tutti i suoi elementi all’interno del perimetro tipologico offerto dal legislatore: il contratto di rete, infatti, come si è visto, si presenta quale tipo contrattuale solo quanto all’aspetto definitorio, essendo (volutamente) carente la disciplina legale dello stesso sotto il profilo contenutistico. L’ampio spazio riconosciuto all’autonomia privata dallo strumento del contratto di rete rappresenta da un lato uno strumento molto versatile e duttile, ma dall’altro costituisce anche una sfida per i privati, affidando un ruolo determinante ai modelli contrattuali e alla combinazione di clausole elaborati dalla prassi. Nel mutato panorama delle fonti del diritto che non vede più il monopolio del legislatore nella produzione del diritto e dove il diritto non si riduce alla legge, diventa pertanto sempre più rilevante – specie con riguardo a figure contrattuali come appunto il contratto di rete - il ruolo svolto nella creazione e interpretazione del diritto non solo dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ma anche dai professionisti delle aree giuridiche i quali devono essere consapevoli del loro ruolo, anche creativo del diritto, nella attuale società globalizzata, società profondamente incisa nei suoi assetti produttivi e sociali dalla preponderanza della tecnologia e dell’informatica.

Contratto di rete e operazione economica nel volume I contratti di rete e le nuove frontiere del contratto: modelli giuridici e strutture economiche a confronto

Lorenza Bullo
2017

Abstract

Premessa la distinzione tra il concetto di rete di imprese da un lato quale concetto attinente al mondo economico e al mondo della analisi dei sistemi di organizzazione della produzione e la nozione di contratto di rete dall’altro quale qualificazione giuridica, il contributo si focalizza sull’analisi della c.d. giuridicizzazione del fenomeno “economico” delle reti di imprese. Partendo dalla rete di imprese quale categoria economica intesa come lo strumento per analizzare la produzione di valore scaturente dal coordinamento di attività tra imprese, si osserva come il legislatore italiano abbia tradotto tale produzione di valore nei termini di crescita, individuale e collettiva, della capacità innovativa e della competitività sul mercato di ciascuna impresa. Il lavoro parte della constatazione delle peculiarità di un contratto definito, o tipizzato che dir si voglia, in funzione dello scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la capacità innovativa e la competitività di ciascuna impresa aderente, anziché – come di regola accade - nella tipizzazione di un determinato scambio ovvero, in alternativa, nella tipizzazione dell’esercizio in comune di una attività economica. Scambio, collaborazione ed esercizio in comune di attività economica sono, invero, dopo il 2010, elementi che possono coesistere nell’oggetto del contratto di rete. Tre sono essenzialmente le fasi temporali che hanno scandito la creazione e la disciplina del contratto di rete tra imprese e sono le fasi corrispondenti agli interventi normativi susseguitisi nel 2009, nel 2010 e nel 2012. Successivamente all’introduzione nel 2009 della prima definizione legale di contratto di rete, la l. 180/2011, c.d. Statuto delle imprese ha introdotto la prima definizione normativa di rete di imprese, sottraendo tale espressione all’area economica e definendo reti di impresa le aggregazioni funzionali tra imprese che rientrano nelle definizioni recate dal decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, e dall'articolo 42 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. In tal modo, la categoria normativa della rete d’imprese sembra, dunque, circoscritta dalla l. 180/2011 alle sole aggregazioni funzionali tra imprese che rientrano nella definizione prevista dalla normativa italiana sul contratto di rete. Dalla sua introduzione nel 2009 sino ad oggi, ampio è stato il dibattito, specie tra i civilisti ma non solo, circa la natura giuridica del c.d. contratto di rete quale risultante dalla definizione datane dal legislatore italiano all’art. 3 commi 4ter e ss. del d.l. 5/2009 a seguito del complesso percorso iniziato appunto nel 2009: sono, infatti, note le discussioni se il contratto di rete, menzionato nella legislazione speciale dal legislatore italiano, sia realmente un nuovo tipo contrattuale (e in tal caso il dibattito si focalizza ulteriormente sul successivo quesito se si tratti di un contratto plurilaterale associativo o meno) o non dia, invece, luogo ad una fattispecie c.d. “Trans-tipica” che pone in crisi la tradizionale contrapposizione tra contratto di scambio e contratto per l’esercizio in comune di attività economica, se non addirittura ad una disciplina avente mera rilevanza tributaria, assimilando in un certo qual modo la funzione del termine “rete” a quelle che nell’ambito degli enti no-profit assume l’acronimo “Onlus”. Con la consapevolezza delle argomentazioni e dei diversi esiti cui è pervenuta la dottrina civilistica e giuscommercialistica nell’analisi della figura del contratto di rete sotto i profili di cui sopra, lo scopo del presente contributo è stato quello di analizzare l’impatto che l’introduzione di questa nuova poliedrica figura–ha assunto nel dibattito sulla crisi del contratto come categoria generale da un lato e in ordine alla discussione sulla rilevanza dell’operazione economica nella teoria del contratto dall’altro. Negli anni recenti il dibattito concernente il valore, sul piano dell’ordinamento, della nozione di operazione economica quale categoria concettuale e giuridica è stato intenso e spesso sollecitato dagli interventi legislativi degli ultimi anni, interventi caratterizzati, da un lato, da un processo di superamento del tipo tramite la tecnica del raggruppamento dei contratti finalizzata all’applicazione di un determinata disciplina protettiva e, dall’altro, ad una aggregazione nell’unità formale del tipo di operazione di fattispecie distinte, altrimenti riconducibili a diverse figure tipiche. E’ noto che il fatto economico acquista rilevanza giuridica e diventa, quindi, un fenomeno giuridico attraverso il contratto, ma il contratto, specie se disciplinato per tipi contrattuali legali predeterminati, non sempre è in grado di “esprimere l’unità dell’affare e quindi dell’atto di autonomia privata”, specie in un’economia complessa e interdipendente come quella attuale. Spesso i singoli tipi contrattuali non sono in grado, singolarmente e isolatamente presi, di dare adeguata regolazione agli interessi sottostanti: il che è evidente nelle relazioni complesse, dove spesso l’unità dell’affare si coglie nel fenomeno del collegamento negoziale e quindi nella dipendenza dei rapporti contrattuali da un lato e nella rilevanza della causa in concreto dall’altro. La rilevanza dell’operazione economica non si limita al profilo ermeneutico, ma - come è stato osservato - assurge anche a tecnica legislativa di tipizzazione, ora diretta ora indiretta, per comprendere in una unità formale, spesso a tutela della parte debole, una pluralità di interessi, come è accaduto, ad esempio, con la disciplina sull’abuso di dipendenza economica: come è stato osservato dal fautore della operazione economica quale categoria ordinante il diritto dei contratti, negli anni recenti si è assistito al passaggio dalla tipizzazione del contratto alla tipizzazione per operazione economica e, conseguentemente il contratto, non è più soltanto una “veste giuridica” , ma diventa esso stesso “realtà economica”. La fattispecie del contratto di rete quale delineata dal legislatore italiano rappresenta uno strumento giuridico cui le imprese possono ricorrere per disciplinare in maniera unitaria e coordinata i loro complessi rapporti relazionali e le loro rispettive attività d’impresa, componendo in un unico schema formale interessi individuali e interessi collettivi, in cui la trama unificante è data dal perseguimento dello scopo di accrescere individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. Prima dell’introduzione dello specifico strumento del contratto di rete, le imprese che avessero voluto coordinare le loro attività di impresa dovevano ricorrere ad altri strumenti, dall’ambito applicativo e dalle potenzialità più ridotte, quali ad esempio il contratto di consorzio, e spesso dovevano ricorrere ad una combinazione di contratti tra loro collegati per formalizzare i reciproci rapporti di collaborazione, di scambio e di esercizio in comune di una o più attività, segmentando artificiosamente le “formalizzazioni giuridiche”, nonostante l’unitarietà del progetto economico condiviso dalle imprese in funzione della loro crescita individuale e collettiva. Il contratto di rete viene, dunque, a ricondurre ad unità gli interessi individuali e collettivi delle imprese e, come è stato efficacemente detto rappresenta un processo di tipizzazione diretta di un’operazione economica e consente di dare rilievo sia alle circostanze di fatto e di diritto che permeano l’affare, sia alle caratteristiche soggettive dei contraenti sia al contesto in cui l’affare si realizza. Il prezzo da pagare per tale tipizzazione per operazione economica, come è stato sopra osservato, è stato quello di rinunciare ad ogni regolamentazione contenutistica preventiva da parte del legislatore del contratto di rete: nella fattispecie contratto di rete il legislatore, infatti, non individua né diritti, né obblighi né doveri delle parti, né prestazioni caratteristiche, tant’è che taluni autori, con riguardo a tale figura contrattuale hanno parlato di atipicità del contenuto. La tipizzazione per tipi contrattuali è finalizzata all’individuazione e alla distribuzione degli effetti legali naturali propri del tipo, ove non esclusi dalle parti; nel contratto di rete, invece, dove la tipizzazione ha ad oggetto più l’operazione economica in sé, che non il paradigma contenutistico ovvero la combinazione formale delle prestazioni, assistiamo ad un contratto dove il testo del regolamento contrattuale, per essere completo, deve essere delineato e possibilmente anche esplicitato in tutti i suoi elementi all’interno del perimetro tipologico offerto dal legislatore: il contratto di rete, infatti, come si è visto, si presenta quale tipo contrattuale solo quanto all’aspetto definitorio, essendo (volutamente) carente la disciplina legale dello stesso sotto il profilo contenutistico. L’ampio spazio riconosciuto all’autonomia privata dallo strumento del contratto di rete rappresenta da un lato uno strumento molto versatile e duttile, ma dall’altro costituisce anche una sfida per i privati, affidando un ruolo determinante ai modelli contrattuali e alla combinazione di clausole elaborati dalla prassi. Nel mutato panorama delle fonti del diritto che non vede più il monopolio del legislatore nella produzione del diritto e dove il diritto non si riduce alla legge, diventa pertanto sempre più rilevante – specie con riguardo a figure contrattuali come appunto il contratto di rete - il ruolo svolto nella creazione e interpretazione del diritto non solo dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ma anche dai professionisti delle aree giuridiche i quali devono essere consapevoli del loro ruolo, anche creativo del diritto, nella attuale società globalizzata, società profondamente incisa nei suoi assetti produttivi e sociali dalla preponderanza della tecnologia e dell’informatica.
2017
I contratti di rete e le nuove frontiere del contratto: modelli giuridici e strutture economiche a confronto
978-88-13-36763-3
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